...pensa a me...
Mi stavo perdendo…il cavallo continuava a condurmi di qua e di la lungo i boschetti normanni. Il campo del torneo iniziava ad animarsi e piu’ il sole saliva più io sprofondavo nell’incertezza: a quale promessa avrei dovuto tener fede, a quella fatta alla Regina o quella fatta ad Eleonora? O piu’ semplicemente, Eleonora, mi aveva di proposito infilato in quel dilemma o semplicemente non se ne era resa conto? E ancora, pur arrivando a capire cosa voleva la donna non era meglio decidere in favore della Regina? Perdere il Ducato di Guienna significava perdere buona parte del potere e delle ricchezze che al momento le permettevano di tener testa al marito. La guerra per la successione ad Enrico e per il controllo dei possedimenti di Eleonora in Francia era arrivata al segno di non escludere persino l’assassinio…
La fedeltà, a quei tempi, era questione piuttosto complessa. La fedeltà era data agli amici piu’ intimi, agli uomini a cui si doveva omaggio per qualche terra o incarico e al Re. Ed anche qui, spesso, non ad un solo Re. Alcuni erano vassalli del Re di Francia per alcune terre e vassalli del Re d’Inghilterra per altre. Se alcuni degli uomini a cui si era legati da vincoli di fedeltà, parentela o omaggio entravano in conflitto spesso un cavaliere si trovava costretto a dover scegliere. Certo, ben conoscendo il meccanismo, nessuno avrebbe mai rinfacciato di aver, per cosi dire, tradito un legame piu’ debole in favore di uno piu’ forte. Ma spesso, di fronte a due uomini cui si era legati da ugual omaggio che si trovavano in conflitto, era necessario scegliere. Io, sempre, scelsi, di fronte a queste situazioni, di restar neutrale. Nessuno, passata la buriana, mi avrebbe potuto accusare di aver, mancato ad un giuramento. Ma questa volta, di fronte a due giuramenti opposti fatti alla stessa donna, in veste di donna e Regina, non sapevo che fare. Restare inattivo non era la risposta….
Gli araldi iniziarono a richiamare i cavalieri al campo di battaglia. I cavalieri esperti, i baroni ed i duchi erano soliti entrare nel vivo della battaglia quando il sole era già alto. Le prime schermaglie erano in genere affidate ai baccellieri che duellavano amabilmente nei pressi delle grandi tavolate dove gli altri si rifocillavano. Spesso accadeva che i combattimenti mattutini finivano con l’infrangersi sulle tavolate dei cavalieri e questi, rabbiosi, si gettavano nella mischia per vendicare l’interruzione delle libagioni. Quella mattina non accadde. Verso le 12 il grosso delle squadre entro in battaglia. Per tutto il campo si udiva il cozzo delle corazze e delle armi. Con i miei feci parecchi prigionieri e catturai parecchi splendidi cavalli che mettemmo subito al sicuro. Alcuni francesi, rientrati in gioco con altre armi e cavalcature, furono addirittura riscattati piu’ volte.
E quando facevo la mia apparizione in qualche mischia furibonda i mie lanciavano il mio urlo moltiplicando sforzi e risultati: “Ca, Dieu aide le Marechal!”
Si caricava lancia in resta, urtando, spronando e menando fendenti tremendi ma poi , solo con disciplina ed autocontrollo, avanzando tutti insieme, si potevano raccogliere i frutti degli temerari slanci. La vittoria fu splendente.
Finito lo scontro si sarebbe gareggiato tutta la notte in cortesia e saggezza di parole mentre gli araldi redigevano albo d’oro. Ma prima di gustare il frutto della vittoria dovevo ancora mantenere fede ad un giuramento.
Ad un cenno del Re, io e il signore di Lusignago, che spesso avevo battuto in Torneo, fummo chiamati alla palizzata. Era uno scontro a due. Ci saremmo lanciati l’uno contro l’altro ed avrebbe vinto chi, dopo aver scaraventato l’altro al suolo, sarebbe rimasto in sella.
Sulla piana dello scontro si fece silenzio. Il pubblico, che mai prima di allora, era stato cosi numeroso ( e mai, nei successivi tornei ne ricordai uno cosi…) lasciava scorrere lo sguardo dal palco del Re a noi. Di bocca in bocca era passata voce della tremenda scommessa fatta dal Re e dalla Regina e tutti aspettavano solo di veder uno dei due scornato.
Ci sistemammo sul fondo della palizzata che avrebbe protetto le cavalcature ed i impedito di scontrarci.
Il mio cavallo iniziò a trotterellare verso l’avversario.
“Aveva semplicemente chiesto a me di scegliere cosa fosse meglio fare? Salvare il Ducato e perdere me?”
Misi la lancia nella resta ed abbassai la celata. Sulla punta della lancia, ancora muovendosi lieve nel vento, stava il drappo cremisi donatomi dalla Regina.
“Forse voleva che, perdendo, rendessi omaggio alla donna…. ma cosi facendo avrei rovinato la Regina prima, e la donna stessa poi…”
Il signore di Lusignago mise lancia in resta ed abbassò la celata…
“…dovevo solo vincere. Perdere Eleonora e diventare uno degli uomini piu’ ricchi e potenti di Francia pur scontentando il mio Re.”
Aumentai l’andatura e lasciai vagare lo sguardo verso terra. La gualdrappa rossa e dorata del mio cavallo scintillava sull’erba smeraldo e la terra grassa ondeggiando al ritmo del galoppo che cresceva in potenza. Alzai lo sguardo verso l’avversario. Era, come di consueto per lui, troppo vicino alla palizzata. Individuai il punto tra scudo e la sella dove avrei infilato la lancia. Bastava avvicinarsi ancora. A pochi metri, con una lieve pressione delle ginocchia, avrei lasciato che il mio cavallo rallentasse (tutti i calcoli del Lusignago si sarebbero cosi infranti poco prima della sua corazza) e scartasse verso l’esterno in maniera quasi impercettibile ma, a sufficienza, per lasciare che la sua lancia scivolasse sulla mia spalla sinistra e che la mia si infrangesse sul suo petto. Non gli avrei fatto troppo male, avrei mirato sulla parte piu’ robusta della corazza.
Ora il galoppo era un rombo che si confondeva con quello del cielo. Di li a poco avrebbe piovuto.
Andate ad accrescere la vostra leggenda…perché questo, di voi, resterà…
Vorrei che esistessero davvero i cavalieri capaci di sublimi e disinteressati gesti
Cosa sapete delle segrete pene di non poter rendervi pubblico omaggio quando trionfo?
…temo,anzi ne sono certa, di veder svanire l’ultima illusione…
Con una lieve pressione delle ginocchia rallentai lievemente il furioso galoppo. Dal petto trassi il broccato candido che avevo sottratto ad Elenora quell’ultima notte e lo srinsi forte nel pugno guantato di ferro, feci scartare il cavallo verso l’interno e pensai, come mi aveva chiesto, a lei…
L’impatto fu tremendo. Tutto, per un istante, rimase sospeso. Nel silenzio di piombo calato sulle mie orecchie distinsi il rumore della corazza che si frantumava, del mio petto che gemeva e della lancia avversa che si spezzava come un albero colpito da un fulmine.
Caddi al suolo restando senza respiro. Vidi la gualdrappa nera del Lusignago sventolare sotto un cielo uniforme. Nella mano il broccato di Eleonora ed in bocca il sapore ferroso del sangue. Prima poche e poi una grandine di gocce batterono sulla mia corazza. Chiusi gli occhi….
“Domani nella battaglia pensa a me….”
Guglielmo