mercoledì, agosto 31, 2005

Di padre in figlio...

“Queste colline, Guglielmo, cingono la nostra casa come un corona!” così diceva fieramente mia nonna, mentre carezzava i miei ispidi capelli di adolescente, indicando tutto intorno alla nostra casa. Questa era una costruzione risalente all’inizio del ‘900. Un villone a tre piani posto in cima ad una collinetta ai margini di un paese nel Comasco. Le facciate, arabescata da inferriate dipinte di nero, erano intonacate con un vermiglio che, nei giorni di pioggia, sembrava color del sangue.

Ricordo ancora quella tiepida estate. Ricordo ogni singola pagina dei numerosi libri che lessi in quei tre mesi scarsi. Ogni pagina, Steinbeck, London, Stevenson, Melville, Saint’Exupery, Bierce, Conrad, Zola, Exquemelin, bruciava nel mio animo del fuoco lussurioso dell’adolescenza. I morbidi fianchi di donne perdute sulle banchine dei porti affacciati sullo stretto di Malacca, i petti ansiosi delle spose degli uomini imbarcati sulle baleniere che varcavano gli oceani, le rotte ed i sentieri inesplorati intarsiati nel cielo dei deserti, tra le onde rissose o nelle foreste impenetrabili. Erano dunque questi i palpitanti sogni che animavano le mie notti.

Compii 17 anni quell’agosto. Mio padre era morto da 15 anni. Trovato sfracellato tra le rocce del torrente che, a fianco della strada che portava a casa nostra, procedeva a balzi. Qualcuno osò parlare di suicidio ma fu messo a tacere dal denaro o dalle minacce e ben prestò tutta la faccenda divenne, nelle chiacchiere del paese, una tragica fatalità.

La mia famiglia era infatti padrona di quasi tutta la valle e mia nonna sosteneva che un nostro avo, Guglielmo anche lui, fosse morto difendendo la cappella dei Templari ad Acri. Credo che cercasse solo di regalare nobiltà ad una famiglia che traeva regalità solo dal denaro. Mio nonno, subito dopo la Seconda Guerra Mondiale, era divenuto ricchissimo con un cementificio. Intuendo che molto ci sarebbe stato da ricostruire in tutta la Lombardia, aveva investito i pochi risparmi in quella attività. Ben presto aveva esteso i suoi interessi ad ogni attività che portasse denaro. Ricordo che soleva dire che “Nessuno in queste valli può nascere o morire senza avermi dato un po’ di soldi!”. A scanso di equivoci, per tener fede a quel motto, si era subito accaparrato l’unica ditta di onoranze funebri della valle.
Uno degli ultimi giorni di quella lunga vacanza ero sceso in paese per comprare il giornale. Non avendo molta voglia di tornare a casa iniziai a girovagare. Entrai in una pasticceria e presi un caffè ed una brioche che feci mettere in un sacchetto di carta. Con il giornale sottobraccio mi avviai verso il parco del paese. Era il giardino di una villa che era sfuggita all’ingordigia di mio nonno eche era stato espropriato dal comune per farne un parco pubblico. Larghi sentieri di ghiaia percorrevano quell’appezzamento disseminato di ruderi e vecchi abeti. I bambini giocavano a nascondino scivolando dietro le alte siepi ed in ciò che restava delle case della servitù. Una torre di pietra grigia, parzialmente crollata ma messa in sicurezza, sembrava inghiottire i giocatori lasciandoli riemergere, grazie a cunicoli sotterranei, diversi metri più in nlà. Mi sedetti dunque nei pressi dei giochi all’ombra ristoratrice di un abete provvisto di generosi rami ed iniziai a sfogliare il Corriere della Sera. Dopo un paio di articoli iniziai a far fatica a seguire il fluire della prosa. Qualcosa mi disturbava. Senza sollevare lo sguardo mi concentrai dunque sui rumori che udivo. Tra il vociare dei bambini che si gettavano dagli scivoli o ondeggiavano pericolosamente sulle altalene, isolai la voce di uomo. Una voce squillante e potente, senza incrinature o accenti. Il tono era allegro. Reso folle da quella allegria...

martedì, agosto 30, 2005

Pedalata assistita

Li vedi che sfrecciano (per modo di dire...) nel traffico. Scendono dal marciapiede e prendono contromano la corsia preferenziale. Belli come il sole, i capelli nel vento. Sono loro, i ragazzi della pedalata assistita. La pedalata assistita è la pedalata di quelle bici elettriche che stanno tornando in auge. Un piccolo motorino consente di arrivare in ufficio senza sudare e senza subire le regole ed i rischi del traffico.

Il mio sogno segreto è di essere trasferito vicino casa e di andare al lavoro con la mia Solex.

La sera tornerei a casa ed attaccherei il motore alla presa.

Mia moglie dice che gli “assistiti” hanno tutti la faccia da idioti...

Secondo me, hanno la faccia di gente felice!

Pazienza...quando chiudo gli occhi mi vedo sfrecciare sui marciapiedi libero dalla schiavitu’ dalla benzina, delle targhe e dei mezzi pubblici...io....che pedalo assistito con la faccia da idiota!


Guglielmo

nota di servizio

a causa del proliferare di spamming nei commenti (cose interessanti, come operazioni per "aumentare di dimensione i gioielli di famiglia), che ho sempre rimosso non appena comparsi, ho inserito un "truschino": una volta scritto il commento bisognerà trascrivere una parola che blogger mostrerà. sarà una piccola menata, lo so.
saluti
tec

lunedì, agosto 29, 2005

la letteratura italiana

stamane in edicola, oltre al corrierun, mi hanno dato il solito volume della interminabile serie. stranamente questo ha suscitato in me, non dico un interesse, ma una certa curiosità: avere una summa della letteratura italiana non mi dispiacerebbe. l'ho sfogliato, ho guardato chi sono i curatori, ho toccato la carta (un giorno racconterò come si muove il connestabile sulle bancarelle dei libri), insomma alla fine era solo una questione di prezzo. i volumi sono 18, uno è regalato, quanto costano i rimanenti 17?
il corriere non lo dice, il sito nemmeno...
e visto che di secondo nome non faccio "pazienza", che si dannino... mi compro la PSP!!!

giovedì, agosto 25, 2005

Il Re della Montagnetta - Sul pinnacolo

A quel punto corro a casa e, come per magia( come cantano i Negrita e dice il mago Silvan), cambio la camera d’aria ( Sussulto ad ogni ruimore perchè temo che nella luce della porta del cortile compaia Big Sandrone a valutare il mio operato...). Mi precipito in strada ed inizio a pedalare verso la montagnetta. I pensieri si dissolvono. Mentre tutto il corpo è impegnato sui pedali rifletto, sogno e progetto. Devo solo pedalare ed assecondare il fluire delle ruote. Arrivo al Monte Stella ed inizio a girare nell’anello piu’ basso per scaldarmi e poi inizio a salire. Subito il primo ostacolo; penna bianca. Penna bianca è un esperto di calcio. Conosce il risultato di partite giocate anni fa ed è in grado di descriverne le azioni salienti con commenti tecnici accurati. Oltre a ciò penna bianca ha due grossi limiti: è milanista e logorroico. Anche provando a svicolarsi non ce la si fa. Lui non molla...anche dicendo “Guardi, devo portare questo siero per mia nonna che è stata morsa da un cobra reale ed ha circa 5 minuti di vita...” lui continuerà con la descrizione di quella volta che puliciclone... Voi capirete che per un uomo in lotta con crono l’incontro con penna bianca equivale ad una rottura del telaio con doppia foratura. L’unica soluzione è stargli alla larga. Inizio quindi una serie di deviazioni per sfuggirgli. Niente da fare, mi ha avvistato in lontananza e si sbraccia come un polipo gigantesco uscito dalle pagine di Verne. Non resisto. Raddrizzo il busto e sollevo le mani al cielo come a sollevare una coppa immensa. Un chiaro richiamo ai recenti successi neroazzurri. Lui inizia a sbavare. Chisssà quali recriminazioni e commenti ha elaborato in questi giorni. Al suo fianco un altro milanista. Una specie di fondamentalista del Milan che una volta mi ha ricoperto di epiteti ed ingiurie quando ho osato affermare che Baresi F. era un fabbro. Lo hanno portato via a braccia due energumeni prima che facesse scempio del mio corpo. Anche lui schizza dalla panchina su cui riposa ed inizia ad inveire come un ossesso. Non resisto. La Supercoppa diventa la Coppa dei Campioni e cambio di conseguenza l’impugnatura. Non so se colgono la finezza estetica ma il talebano sembra in preda alle convulsioni mentre penna bianca ride e con le mani mima la ricostruzione del fuorigioco inesistente di Trezeguet. Il percorso è ormai bruciato. Salgo ancora. Ad un certo punto lancio il missile in discesa. Si materializza a meta discesa un altro ostacolo: donna di mezza età con cane senza guinzaglio. Il soggetto sente la mia sagoma che fende il vento, si ferma nel cuore del sentiero e si volta verso di me. Il suo volto gareggia per stupore ed orrore con quello del colonnello Wohigemuth quando, mentre tentava con il suo reparto di Tirolesi di accerchiare Carlo Alberto, si vide piombare addosso dal nulla il maggiore Negri di Sanfront con il suo squadrone di Carabinieri (Carica di Pastrengo). La canuta sa che non la prenderò ma vuole mostrare che sono un terrorista del pedale. Vuole far capire quanto sia rischioso scendere in velocità su quel sentiero. Ma piu’ di ogni altra cosa vuole vedermi cadere. Con la faccia ancora sconvolta dall’orrore inizia a dimenare i piedi con passi degni della notte della taranta. Ondeggia, trema e lancia squittii di orrore. A quel punto si rischia grosso. La velocità e sostenuta e se scelgo di cambiare direzione non potrò piu’ ne frenare ne riprendere la vecchia traiettoria. La soluzione è una sola: la guardo negli occhi e do un colpo di pedale. Lei capisce che non cambio direzione. Che se continua con il suo giochino di finte rischia come minimo il femore e di passare i prossimi due giorni cercando una polacca che l’assista in casa per i prossimi sei mesi. Capisce che non scherzo e si immobilizza. Dopo che ha letto il numero di matricola del telaio della mia bici inizia ad urlare: “Vai piano! Ma sei pazzo?”. Io tiro una sgommata e, lasciando andare ancora la bici, mi giro verso di lei ed urlo “Il guinzaglio!”. A quel punto se il cane e’ un molosso si rischia grosso ed è per questo che non arresto il velocipede. L’oretta scarsa è trascorsa. C’è giusto il tempo per arrampicarsi verso la vetta. Una salita, un’altra ancora e poi lo strappo finale. I muscoli bruciano ed i polmoni sono affamati ma non mollo. Arrivo in vetta , su quel pinnacolo che sovrasta l’intera città. In lontananza, sbiadite nello smog, galleggiano le guglie del Duomo. Giro la bici, attingo dalla borraccia e precipito di nuovo verso il basso...sono il Re della Montagnetta...

Guillaume, l'uomo che volle farsi Re

Laico

Sisitemato il pigro lavoro di Agosto, provo a raccontarvi qualche suggestione che ho riscontrato in vacanza. Breve, intensa, con persone simpatiche, la mi avacanza è stata caratterizzata dalle Marche, superba regione, dalla bellezza sconosciuta ai più. Avrò modo di raccontarvi quello che ho visto, comincio con una piccola riflessione che ho fatto.
Il linguaggio è un potentissimo strumento, tra le altre cose, di conoscenza. Facciamo un esempio: il termine
laico
. Oggi questo termine indica chi, nei suoi gesti, nella sua vita, si separa dalla fede, dalla religione: abbiamo quindi atteggiamenti laici, giornali laici, etc. E poi ci sono i laici, che sono le persone. Infine il laicismo, che, come denota il sufficsmo estremizzante in -ismo, significa atteggiamento di chi è laico, di chi intende essere consapevolmente indipendente da scelte aprioristiche e da dogmi religiosi, etici, ideologici, (de Mauro).
In verità dovremmo tornare al Tommaseo e al suo dizionario per capire che laico è un termine di matrice cristiana. Laico, originariamente, non è colui che si distacca dalla Chiesa per rivendicare autonomia da essa, ma è colui che non è sacerdote o canonico, ma è parte di una comunità cristiana. Deriva da laos, in greco: popolo. E'la comunità della Chiesa, insomma.
Oggi, laico è una brutta parola, comoda per tutti, usata a sproposito per nascondere il proprio livore verso la Chiesa.
Come diceva Hugo, di chi la colpa?

mercoledì, agosto 24, 2005

Il Re della Montagnetta

Questa mattina mi alzo con un programmino pepato. Spesa, sistematina in casa(piccoli lavoretti) e poi bici. Mi presento al gabbiotto in cortile dove tengo il missile. Tragedia: la gomma anteriore è bucata. Sono le 10.30. Inizia una corsa contro il tempo.Va subito precisato che quando mi metto in testa di andare in bici nulla puo’ farmi cambiare idea. Smonto la ruota anteriore, risalgo a casa e mi cambio. Perendo la macchina e a tutta velocità mi dirigo verso l’unico ciclista aperto in zona; una specie di boutique del ciclo dove vendono bici da discesa, corpetti, protezioni e magliette da fighetti. Attraverso il centro commerciale a passo di carica con la ruota tra le mani. La gente mi scansa ed un tizio mi lancia un aria sospettosa.
“Mai vista una ruota?” lo apostrofo.
Finge di nulla e si allontana. In effetti non ho l’aria normale: barba sfatta, capelli da risveglio, maglietta nera stinta sudata e pantalone verde militare cascante.
Arrivo nella boutique.
Si avvicina un tizio che con uno straccetto cn cui spolvera sellini e telai come vasi orientali:
“Dimmi”. Mi sforzo di ricordare quando è stata l’ultima volta che abbiamo pranzato insieme ma è chiaro che è solo un ultrà della confidenza a tutti i costi. Io rimango sulle mie:
“Mi darebbe due camere d’aria per questa ruota per favore?”
“Che dimensione?”
Per come la so io quelle della mtb sono standard. Vorrei dirgli:
“Scusi oltre a spolverare capisce anche un po di bici?”

Gli metto in mano la ruota e lui la osserva con attenzione alla ricerca del diametro.

“Che tipo vuole bello o bellissimo?”

“Quanto costa bello e bellissimo?”

“Bello 4 euro, bellissimo 6!”
“Direi che bello va bene.”

“Bene...vai alla cassa!”

Arrivo alla cassa e dietro la macchinetta c’è un ragazzetto di circa trenta chili che finge di nulla. Io rimango li con in mano le mie camere d’aria e 10 euro. Il cassiere armeggia con un registro contabile e un manciata di banconote. E’ evidente che ha dovuto lasciare la LONDON BUSSINES SCHOOL dopo pochi mesi dall'inizio dei coprsi. Ritorna lo spolveratore e segnala la mia presenza” deve pagare...”.

“Un momento...”risponde piccato il cassiere che sembra di fronte ad un quesito insolubile.

Alza il telefono e con in mano i soldi chiama il titolare. E’ chiaro che punta ad un posto di responsabilità nel settore fili dei freni o quantomeno ginocchiere perchè alza il telefono e dice

“Rudy, quindi in cassa metto una banconota da 20, una da 10, una da 50 e una da 5?”

Intanto al piccoletto parte un tic di quelli brutti. E’ il classico soggetto che fa l’occhiolino a tutti per segnalare che è d’accordo o che c’è sintonia. Mentre parla con Rudy l’occhiolino parte a raffica. A quel punto la mia pazienza è al limite. Vorrei prenderlo per le spalle e tirarlo fuori dalla sua cassa e dirgli: “Vedi figliolo, la fuori è in corso una guerra. Una guerra tra me e il dio crono. Tu devi solo scegliere con chi stare...”

Lascio perdere, pago e torno a casa...

l'ultima carica

oggi non si imparano più le date quando si studia la Storia. è solo un groviglio di accadimenti, buttati lì a caso, per fare massa nel cervello.
oltre a quelle importanti, miliari, esistono altre date, piccole date di piccoli avvenimenti che meritano di essere ricordati. come oggi: 24 agosto, Isbuschenskij. quello di sessantatrè anni addietro. quando un pazzo mandò, oltre ai fanti assolutamente non pronti per una campagna lunga e impervia, un reggimento di cavalleria, il Savoia, in Russia. cavalleria contro carriarmati. una genialata, secondo Von Clausewitz.
il 24 agosto ci fu l'ultima carica della nostra cavalleria. e vinsero.
penso sia giusto ricordare.
Tec

lunedì, agosto 22, 2005

Sandrone colpisce ancora

Sandrone è come l’impero. Quando meno te lo aspetti...colpisce.

Giovedi scorso mi chiama
“Cosa hai da fare domani?”
Non attende risposta “Un cazzo come al solito immagino...ascolta vengo a prendere le due poltrone di vimini che hai giu nel gabbiotto in cortile che le porto in cantina nella casa nuova. Usiamo la tua macchina e ce la caviamo in un attimo. Poi ti sistemo il catenaccio della porta che è tutto svirgolato..Che cazzo hai combinato?”

In effetti gli occhielli in cui entra il lucchetto sono praticamente divelti. Sono stato io con una pinza a ridurli cosi. Avevo perso la chiave del lucchetto Non sono riuscito a forzare la porta installata da Sandrone ed alla fine ho ritrovato la chiave.

“Tentativo di furto: Gli zingarelli si arrampicano ovunque, hanno scavalcato ad hanno provato il colpo grosso! Ci sarebbe anche da sistemare la persiana papà...”
”L’hai rotta ancora? Cosa ci fai con quella persiana ?”
“Possiamo fare settimana prossima?”
“No...A che ora facciamo?”
“presto...”
“Cos’è devi andare in bici?”
“Si...possiamo fare settimana prossima?”
“no! venerdi alle 8.30!”

Venerdi alle 8.30 Sandrone si presenta in gran forma a casa mia. Indossa jeans scoloriti e ultra sformati. Maglietta blu e gilerino imbottito da lavoro. Sacchetto di plastica blu con dentro preziosi ferri da lavoro. Il primo passo è recuperare la mia macchina dal box. Il box è di proprietà del Sandrone...

Apro la saracinesca, tiro fuori la Corolla e comincio a togliere vari pezzi e smontare i sedili per aumentare la capacità di carico. Sandrone gigioneggia nel box. Dall’antro oscuro la sua voce è come quella di un orco:

“Va.-..va...va che schifo: terra, foglie...prendi sta scopa e dai una pulita! Si fa fatica eh!? Va..va...va...!!!”
NOOOOOOO! Ha scoperto che ho rotto il cavetto che serve per abbassare la saracinesca.
“Va che lavoro! Mica lo dici che l’hai rotta!!!” Con un colpo secco estirpa i rimasugli del cavo dalla serranda.
“Come tratti la roba! Fosse roba tua terresti un po piu’ pulito!”
A quel punto ho tra le mani il paletto di alluminio che sostiene la cappelliera. La tentazione di utilizzarlo come spada è fortissima ma quasi sicuramente si piegherebbe sulla schiena del patriarca e dopo dovrei chiedergli pure di ripararla .

Apro il portoncino e Sandrone attacca:

“Che casino c’hai qua dentro? Va..va...va...” indica in giro il disordine che c’è.

“Fai fatica ad appendere le bici?”
“Dove le appendo se ci sono le poltrone di vimini?”
“So io dove!” Fingo di non capire ma la tensione è altissima tipo crisi cubana dei missili. Si rischia il conflitto termonucleare totale. Basta una parola..

Estraiamo le due poltrone di vimini. Il mio ricordo di loro si perde nella notte dei tempi. Avranno circa 20 anni. Sono racchiuse in due teli di plastica sigillati con lo scotch. La polvere, piu’ che altro terra, di circa 15 anni giace su di loro.
Sandrone le spazzola con una scopa più sporca di loro trovata in cortile e dice che sono pulite.
Inutile obiettare.

Tengo i finestrini chiusi per evitare che la polvere vada ovunque ed arrivo sudato fradicio nella cantina di Big Sandrone.

La cantina deve essere consegnata ad una affittuaria. Sandrone la consegna già stipata di oggettistica varia. La cantina è grossomodo grande come il bagagliaio di una Panda e riempita con le due poltrone ha spazio giusto per un paio di sci ed un pallone da basket sgonfio.

“Papa ma qui cosa vuoi che ci metta?”
La risposta è da censurare.
“Papà” dico io” quando Riccardo troverà queste poltrone avrà 50 anni! Probabilmente saranno ancora in questa plastica e nessuno le avrà mai utilizzate! Non è il caso di buttarle?”
“Butta! Butta! Che cazzo butti? Sono ancora buone!”

Tira fuori intanto due sbarre da letto per anziani.
“Toh, caricale in macchina!”
Procedo.
“Le metto nel mio box” mi dice “...cosi quando ti serviranno Riccardo, che avrà 50 anni, saprà dove trovarle!”

libri, una riflessione

tra una cosa e l'altra, son capitato sul sito internet book shop, curiosando a destra e manca ho trovato la lista dei 10 libri libri più venduti in italia. due su dieci riguardano il su doku. ognuno tragga la conclusione che vuole.

giovedì, agosto 11, 2005

Miti estivi: le vacanze disagiate

Io non so se il fenomeno in questione e' limitato solo al mio luogo di lavoro (ogni comunita' sviluppa una sua cultura, quindi magari e' un tratto specifico di dove lavoro io...) ma quando quest'anno descrivevo con un leggero sorriso sulle labrra la placida pineta toscana in cui avrei trascorso le mie vacanze, venivo guardato alla stregua di un iscritto al dopolavoro delle ferrovie che bramava di iniziare la sua partita a Ramino.

Tendenza di questi ultimi anni e' infatti quella di trascorrere la vacanza piu' faticosa e disagevole possibile.

Quest'anno ho contato tra le altre:
- Una traversata a piedi dell'Islanda in trekking, dormendo due notti all'aperto ed una in bed & breakfast (purtroppo pare non si potesse farne a meno di entrare in contatto con la civilta' con cosi' tanta frequenza). Poiche' l'alternativa era di fare lo stesso in Canada, al mio suggerimento che forse in Canada c'era piu' da vedere, mi e' stato risposto che non era una buona scelta perche' era piu' camminata che trekking...

- Sempre traversata, ma in carovana di un qualche deserto dell'Afghanistan. A parte che credo si possa vedere lo stesso panorama di dune sabbiose senza vita che si presentera' al malcapitato per 15 gg presentandosi sulla spiaggia di Fregene alle 6.40 del mattino (ma poi probabilmente puoi mangiarti un bel maritozzo con la panna...), pare che il divertimento consista nel portarsi da casa tonno e M&Ms da mangiare perche' il cibo locale provoca gastriti (come minimo)

- Forse potrebbe piacere a Tec e Gughi: risalita in barca del Mekong sulle tracce del Colonnello Kurz. 10 giorni risalendo le acque limacciose del fiume, dormendo sulla barca (che credo sia un residuato del film di Coppola) o sfruttando l'ospitalita' dei locali (sperando che non vi siano Khmer rossi in giro... cosi' non fosse si perde forse un'occasione?)

- Carovana in Tunisia: arrivati a Marakkech, ci si unisce ad una carovana di Berberi che regolarmente viene nella citta' e con loro si girano le loro tipiche citta'. Anche in questo caso, 10 giorni comodamente in groppa ad un cammello... Per il paesaggio, vedi il punto su Fregene di cui sopra.

P.S.
Alla fine la traversata in Islanda e' saltata: erano in due ad averla prenotata (la mia collega ed il suo ragazzo). Hanno ripiegato per il Cile: strano, non mi pare ci sia stato un colpo di stato di recente da quelle parti...

mercoledì, agosto 10, 2005

il mosaico digitale più grande del mondo

Vah che roba!
ovviamente io ho già "aplodato" la mia foto.
tec

storie di ordinaria follia

commedia in svariati atti con 3 protagonisti: il subfornitore, il fornitore e il cliente. il cliente chiama il fornitore e gli dice: carissimo, potresti farmi sapere quanto costa quella cosa là? il fornitore chiama il subfornitore e gli dice: il cliente ha chiesto quella cosa là, quanto costa la tua parte? il subfornitore, dopo un'attenta analisi dice: caro fornitore, costa 100. il fornitore chiama il cliente e gli dice: carissimo, quella cosa là costa 150. il cliente dice: ah no! sono disposto a pagare 80 (come quando sono stato dal concessionario della BMW e ho detto che l'X3 l'avrei pagata al massimo 25.000€, ovviamente me ne hanno date due, in fronte). il fornitore richiama il subfornitore e gli dice: quanto sei caro! il cliente è disposto a pagare 30! o me la vendi a 30 o non se ne fa niente.
poi, siccome il mondo è piccolo, il subfornitore parla con il cliente e scopre la storia degli 80. quindi chiama il fornitore e gli dice, guarda, meno di 70 non posso, fai tu!
dopo sei mesi finisce così: il cliente paga 80, il fornitore paga 70 e, su tre soggetti, uno ha vinto su tutta la linea, e due l'han preso in quel posto... e tutto perchè i geni che lavorano dal fornitore non sanno gestire una trattativa commerciale: braccia rubate all'agricoltura!

lunedì, agosto 08, 2005

Uno sporco lavoro ovvero dedicato a chi sarà padre

Il carnina (ultimo nome affibbiatogli per la tenerezza delle sue carni. Gettandosi nei marosi in tempesta, vista la sua altezza qualsiasi onda oltre i 15 cm, gridava “Arriva Carnina!”,con il dito proteso al cielo) è un ribelle.

Va anche detto che è un esserino estremamente prudente... Se cammina in una via di montagna e sente il rumore di un motore inzia a guardarsi in giro come un leprotto che abbia udito un falco svolazzzare in cielo. Si appiattisce contro un muro e con gli occhi sgranati dice “ARRIVA MACCHINA!”. A quel punto smuovere il carnina è un'impresa. Solo dopo che è passata una macchina o che si è convinto che si tratta di falso allarme, riprenderà il cammino interrotto.

Non accetta però imposizioni o vincoli. E siccome sono un padre democratico che confida nell’intelligenza dell’uomo apro, nel caso di contrasto, ampie trattative. Trattative, ovviamente, che non sono baratti o tentativi di corruzione. Cerco solo di portare il carnina a ragionare sulle conseguenze dei suoi atti, sulle sue negligenze e sulla necessità fare una cosa (mangiare, dormire, abbandonare il parco quando è ora, non strapparmi gli occhiali dal volto gettandoli a terra, non lanciare i cellulari sul pavimento, non tirare i sassi ed ogni altro gesto contro la normale convivenza).

C’ da dire che il piccoletto è coriaceo e se io gli dico “Riccardo, ho detto basta”. Lui ribatte: “NO! Io dico basta te!” e alzando il dito come io sto facendo mi guarda torvo. Inclina il capino in avanti e tende il suo corpicino come un toro pronto a caricare. Punta gli occhi verso i miei e mi fa capire che proprio non ce n’è. Mi minaccia dunque fisicamente A quel punto, secondo me, ma pure secondo mio padre, la via è una sola: non cedere. Io ribatto ed il piccolo Temugin alza il tono dello scontro. Come i Russi durante la crisi cubana il piccoletto cerca di uscire salvando la faccia davanti alla sua mamma ed eventuali avventori. Come Kennedy con Kruscev anch’io gli do una chance : “Guarda che le prendi! Finiscila e...(gli dico cosa deve fare!” il tono è suadente. Del tipo: “dai carnina, la ribellione ci sta. Sei cazzuto. Qui tutti ti ammiriamo perchè hai tue opinioni riguardo a quando cambiare il patello. Ma non sempre ha ragione. Finiscila qui. É impensabile che con i tuoi scarsi 13 chili possa avere la meglio sui miei 90 ed imporre la tua volontà, tipo restare al parco fino a notte inoltrata o gettarsi in acqua quando tura vento freddo). Si aprono tre strade: la prima prevede che il carnina ceda. Comprende che la sfida che sta aprendo con me è insostenibile e che la mamma (con una sola parola glielo ha segnalato...) lo ha abbandonato al suo destino. Allora il piccoletto finge di ragionarci su (ma lo ha già fatto...) e si fa accondiscendente. Raccoglie il plauso degli astanti ed in trionfo procede verso i suoi doveri. La seconda strada è rara ma si realizza. La sua mamma mi segnala che non mi appoggerà nella mia sfida (me lo ha fatto capire con una parola...). Il carnina si fa di granito. Se poi esce da malattia, in giornata è già stato stangato o non lo vedo da parecchio, cedo. Apro un baratto (o corruzione) ed assecondo alcune richieste di Gengis Khan.

La terza via è la più dolorosa. Per tutti. Il carnina è in delirio mussoliniano. Dalla sua personale Piazza Venezia minaccia ripercussioni gravissime per me. Affronta i nemici sprezzante certo che non andrò a veder il suo bluff. In genere mi apostrofa cosi “Brutto ceffo tu vai via!” Gonfia il petto come un galletto da combattimento e con la manina aperta in aria minaccia di abbattere la sua furia su di me. La soluzione è una sola. Lo prendo e gli assesto una sberla dimostrativa sul sedere. Il piccoletto non molla. Ormai è confronto termonucleare. Cedere vuol dire, secondi i libri che ho letto, creare un tiranno. A quel punto il sedere di Saladino viene colpito con durezza ed il carnina cede. Piange grosse lacrime, si dispera, si dichiara incompreso dalla civiltà occidentale e cerca conforto in sua madre( che non gliene da) o altri complici compiacenti. Ora mi guarda con dolore e sorpresa ed i suo occhietti azzurri paiono dire. “Proprio tu! Tui che mi hai comprato quando sono nato quel prestigioso carillon da 90 mila lire! Proprio tu che scrivi di me con amore sul Blog!Proprio tu che mi tormenti di baci e carezze ad ogni istante!”.

A quel punto tutto è dimenticato: gli interminabili tornei di calcio in corridoio, le interminabili mattine trascorse insieme giocando io e lui quando aveva pochi mesi e le pappe ricche di verdure che confezionavo prima di metterlo amorevolmente a letto. Le acrobazie per portarlo a giocare all’area verde nelle mattine in cui era chiusa. Tutti gli insegnamenti segreti che gli ho impartito e la fiducia che gli ho accordato mille volte. Tutto dimenticato...

In quei momenti la durezza del duro lavoro di padre è lampante. Si diventa come un sergente dei Marines. Si apprezza la durezza e la freddezza mostrate dal suddetto durante l' addestramento solo quando si sarà in battaglia. Solo allora ci si ricorderà con amore dei suoi “no” e delle sue imposizioni perchè si comprenderà che ogni “no” era detto per amore.

Ed allora il papà diventa un giudice severo ed un osservatore attento ed implacabile. Un baluardo tra il caos e l’ordine. Capace di affetto ed amore ma anche capace di mollare sberle e negare ciò che agli occhi di un bambino è un diritto. Sicuramente è una presenza rassicurante , di quelle da avere vicino nei momenti difficili ma non certo uno con cui andare in vacanza a Creta (terra di tentazione e piacere).

Ieri sera, quando l’ho lasciato con Susanna nella casetta sperduta che abbiamo affittato, gli ho spiegato che sarei sceso a Milano per lavorare.

Due sono state le sue preoccupazioni: che la mamma restasse con lui e che restasse con lui anche la Corolla:
"No, tu non vai via senza Crolla! No no no!"(il carnina usa le parole un po a casaccio ma il senso era chiaro)

Quando gli ho spiegato che avrei portato via la macchina lasciandogli l’altra si è sfiorata la crisi. Allora gli ho chiesto “La mamma la guida la Corolla?”
“NO!” ha riposto deciso preoccupato che la sua macchina finisse in mani inadeguate.
“E allora devo lasciarti la BrumBrum (la Seat sta studiando di ribattezzare cosi’ l’Ibiza)!”
“Si!”,

Stamattina li ho chiamati. Ha risposto il piccoletto. La sua prima domanda: “Come sta Corolla?”

L’ho tranquillizato.


Guglielmo, l'autista

Ps.

Essere padre è un lavoro sporco ma con a volte grandi ricompense. E’ infatti con le lacrime agli occhi che ho assistito ai festeggiamenti in mio onore che il carnina ha fatto settimana scorsa al mio arrivo nella sua residenza estiva.

patti chiari, amicizia lunga

se il professore, tra quindici/sedici anni, dovesse allungare le mani, Guglielmo ne pagherai le conseguenze...
tec

venerdì, agosto 05, 2005

Gerusalemme, la fine

Il poderoso esercito del Sultano si schierò all’alba. Le bandiera sgonfie nell’aria rovente. Gli Emiri, ritti dietro la prima fila, guardavano fieri verso i nostri spalti. Fu subito chiaro che avremmo avuto la peggio. Il Sultano passò in rassegna gli uomini su di un destriero bianco. Lo sguardo fisso sulla schiera e la scimitarra che mulinava nell’aria indicando San Giovanni d’Acri.

Ad un suo cenno un urlo terribile si levò al cielo. Le scimitarre batterono sugli scudi ed il frastuono ci investi come una tempesta. I petti dei soldati, coperti di sete preziose ricamate, si gonfiavano ritmicamente levando urla sempre più alte.

“Fratelli...” disse il nostro Gran Maestro sollevando la celata dell’usbergo e brandendo la spada di nudo ferro.

“L’oriente è perduto. Siamo stati abbandonati in questo ultimo lembo del Regno di Gerusalemme in attesa di un aiuto che non verrà mai. L’unica dono che possiamo ancora fare alla Cristianità è l’esempio. L’esempio di chi combatte per mantenere fede ai voti fatti. Siamo soldati ma prima di tutto monaci e come monaci terremo fede al giuramento prestato. Il nostro martirio risveglierà forse le coscienze sopite e riporterà all’attenzione la sorte della Terra Santa.

Vi ho detto che siamo prima di tutto monaci ma oggi, dopo aver pregato, dovremo affidarci alle nostre doti di cavalieri. Alcuni di noi oggi morranno, altri si metteranno in salvo a Cipro, altri ancora saranno uccisi perchè rifiuteranno la conversione. Qualsiasi sorte abbiate la pagina che scriveremo oggi entrerà nella storia del Tempio ed in quella del valore...Che Iddio vi sia al fianco!”

Un urlo tremendo si alzò verso il cielo come risposta a quella invocazione!


Una pioggia di frecce fiammeggianti colpì i tetti delle case. Piccoli incendi iniziarono a divampare qua e là. Le pesanti macchine da guerra del Sultano si misero all’opera e subito aprirono una breccia tra le mura. Le navi iniziarono dunque a salpare cariche di cavalieri, donne e bambini in fuga verso Cipro. Solo noi Templari restammo sulle mura a difendere ciò che restava di un sogno. Il grosso di noi si riversò verso la breccia dove capimmo che si sarebbe svolto lo scontro decisivo. Mentre le truppe nemiche tentavano di penetrare in città il Gran Maestro pose il suo possente corpo nella breccia. Dietro lui si accalcarono i compagni che, in pratica, si sostituirono alle pietre cadute. Le frecce mietevano vittime tra i Templari accorsi a seguire l’esempio di Guglielmo da Beaujeu.

Uno dei veterani chiamò a raccolta alcuni di noi giovani.

“Dobbiamo seppellire il Gran Maestro nella cripta della nostra cappella. Non possiamo permettere che le sue spoglia giacciano insepolte sul campo di battaglia.”

Raccogliemmo le spoglie di Guglielmo e corremmo verso la cappella.

Richiusa la pesante porta di cedro del libano alle nostre spalle piombammo nel silenziò piu’ assoluto. I nostri cuori si rasserenarono. Poggiammo il corpo del Gran Maestro, che non era ancora morto sull’altare e spostammo la pesante pietra che copriva la Cripta.

“Guglielmo...” sospirò il mio omonimo.

“Hai combattuto con onore...ora lasciami morire ma prima, ti prego, descrivi cosa vedevi al tramonto da quell’’altura....”

Guglielmo di Beaujeu morì mentre io, tra le lacrime, sussurravo per l’ultima volta al suo orecchio come Gerusalemme, da quella altura, appariva al tramonto del venerdì...

Seppellimmo il corpo di Guglielmo di Beaujeu mentre la città cadeva.

I miei compagni fuggirono verso le ultime navi che salpavano verso Cipro io decisi di restare per difendere fino all’ultimo il corpo del Gran Maestro e l’onore del Tempio.

Ed ora, mentre vergo queste ultime righe, odo le scimitarre battere contro la massiccia porta della nostra cappella. Ben presto cadrà e una sola spada rimarrà a difendere l’oriente cristiano...la mia....


Guglielmo, il Templare

A casa di Tec

Ieri sera Tec e signora ci hanno invitato per una pizza a casa loro. Gli era arrivato il tavolo nuovo ed hanno voluto inaugurarlo con amici. Non ne hanno trovati ed hanno chiamato noi.

Casa di Tec è una specie di casa delle meraviglie tecnologiche. La competizione con quella di Archie è serrata.Comunque...

Finita la cena le donne iniziano a parlare, come tutte le donne, di massimi sistemi. Filosofia, libri, cinema ed arte. La conversazione è colta e brillante. La moglie di Tec insiste che il ritiro dall’Iraq a questo punto sarebbe un errore. Mia moglie controbatte: Cita Rove, Wolfowitìze Bauer.
La moglie di Tec cambia argomento: le opere pubblicate postume di Richler. Mia moglie si lancia in una apologia della Versione di Barney. Si parla di Parigi, Londra e calcio. Marta dice che Figo per l’Inter è inutile. Susy risponde che Mancini giocava già con due ali offensive alla Lazio e che Adriano può giocare punta da solo con dietro Veron, Satnkovic ed il portoghese. La serata è spumeggiante. Non mi perderei la conversazione per nulla al mondo e rimango attaccato al sedia sorseggiando il mio Nescafè.

Ma a questo punto accade l’imprevedibile.

Tec scompare in camera da letto e ricompare dopo alcuni minuti. Indossa pantaloni mimetici, una canottiera nera con teschio sul petto ed una fascia nera che gli tiene il ciuffo. Calza stivaletti in gore tex ed i fianchi sono cinti da un cinturone con fondina e perfetta riproduzione di Beretta
92s.

“Ti va di fare quattro salti con l’XBOX?”

Non ho molta voglia ed in piu’ la conversazione mi affascina ma sono un ragazzo educato.

“Una partita veloce...e poi torniamo dalle ragazze!”

“Ok!” risponde lui.

Ci accomodiamo sul divano in pelle Tec mi mette in mano la manovella con mille bottoni.

Non sono un amante dei videogiochi ed in particolare di quelli di guerra.

Mi annoiano ma poichè sono un ragazzo educato fingo interesse. Tec mi spiega bottoni e levette ed avvia la missione.

Tec vuole comandare la pattuglia e mi da ordini. Inutile dire che se utilizzassimo le mie strategie la partita si concluderebbe in un istante e potremmo tornare dalle ragazze ( giova ricordare che su una lastra di marmo incastonata nella nera pietra dei monti del Galles è inciso “Guglielmo 12 ore 38 minuti e 45 secondi 1998”. Si riferisce al record che feci nel 1998 nella danza del Fan. La danza del Fan e la prova d’ingresso nei Sas di Sua Maestà e consiste in una marcia incredibile sui monti gallesi carichi di armi ed equipaggiamento).

Tec si ostina a correre verso i nemici sparando all’impazzata cantando l’inno dei Marines. Ad un certo punto, paddle alla mano, scavalca il divano e lasciando appena uscire il ciuffo dallo schienale estrae la Beretta e spara pallini di plastica rossi verso il televisore urlando “Fottuti nemici della liberta arriva TEEEEEEEEEEEEECCC!”

Le ragazze hanno intanto abbassato il volume di voce. Sicuramente stanno parlando di arredamento. Tende, cucina, parquet, zanzariere(mia moglie ne ha comprata ieri una da Botanic per la nostra prossima casa. Viste fattura e dimensione temo che tra qualche giorno mi dirà che vuole trasferirsi in Kenya. Sto cercando tra gli annunci di lavoro alla voce: Safari cercasi collaboratori)...mi sto perdendo il meglio.

Alla fine Tec verrà ucciso circa 40 volte. Io fingerò di essermi divertito. Mi ha detto che settimana prossima mi invita a casa sua e ci facciamo una seratina di birra ed xbox...gli ho detto che gli farò sapere ma che forse sarò impegnato perchè ho un colloquio di lavoro...a Nairobi.

Guillaume

...regolari cubani con armamento sovietico...


da qualche parte nei caraibi, ore 22:30 CET.
l'elicottero ci scarica a 100 metri dalla spiaggia. Gughi ed io, con due pinnate raggiungiamo la spiaggia. dobbiamo distruggere un piccolo aeroporto posto al centro dell'isoletta. dopo il briefing con il maggiore Highway, abbiamo deciso di entrare da sud, dopo aver bonificato delle piccole capanne. l'in-bocca-al-lupo del maggiore ci mette di buon umore: HUA! gridiamo felici: heard, understood and acknowledged!
Ora ci muoviamo silenziosi e letali (swift, silent and deadly). ci sono dei cubani, là a ore 11. silenziosi come dei serpenti, ci sdraiamo. puntiamo, miriamo e gli HK MP5 silenziati fanno il loro dovere. tre secondi, 5 terminati. non hanno avuto nemmeno il tempo di capire da dove fischiassero i proiettili.
bonifichiamo l'area: tutto libero, si può andare verso l'hangar. Gughi si muove veloce, a scatti. salta, rantola, si sdraia, si rialza. io, invece, sono già appostato: mentre attendo che finisca la sua danza maori, gli preparo anche un te e dei pasticcini...
mentre siamo appostati, pensiamo alle nostre mogli. a casa, magari sul balcone a bisbigliare chissà cosa. parleranno di noi. di quanto siamo dolci e premurosi...
(segue)

giovedì, agosto 04, 2005

Gerusalemme

Il 23 marzo del 1271 Il Krak des Chevaliers cadde miseramente. L’esercito del Sultano d’Egitto Baibars assedio’ per settimane quello che i musulmani chiamavano Qal’at al-Hisn e che per noi era una fortezza ritenuta inespugnabile. Il colpo fu tremendo per noi, asserragliati a San Giovanni d’Acri. Da chi sarebbe giunto soccorso se avessimo avuto bisogno? Dove saremmo fuggiti se Acri, ultima roccaforte, fosse caduta?

Si era infatti consumata l’irreparabile rottura tra fratelli templari d’occidente ed oriente. La poderosa Torre del Tempio di Parigi, il forziere nel quale l’Ordine custodiva i denari necessari alla riconquista del Santo Sepolcro e nel quale custodiva l’oro affidatogli dai potenti di tutta Europa, era ormai nelle mani di sergenti borghesi che non avevano assistito ad uno scontro con l’esercito del Sultano nemmeno al sicuro sulle mura di una qualche fortezza.

Piccoli uomini, cavalieri solo di nome, che avevano ceduto alla tentazione del lusso, della cupidigia e della corruzione. In vece delle tuniche bianche consunte portavano preziosi broccati damasceni e le armi usate e segnate da mille battaglia erano state sostituite da spade lucenti placcate d’oro ed impreziosite da fregi argentati e gioielli.

Noi, veterani di mille battaglie in Palestina, eravamo divenuti ormai simili alle reliquie che il nostro ordine aveva pazientemente raccolto nel corso degli anni.

Potevamo dunque attenderci aiuto da borghesi dediti solo a traffici finanziari?

Sugli spalti di Acri, il mediterraneo scintillante alle spalle, Guglielmo di Beaujeu, il nostro Gran Maestro, mi si avvicinò.

“Pochi mesi, Gughi, pochi mesi ancora e Acri cadrà. E ‘inevitabile..” mi disse
“Maestro non dite cosi, resisteremo.’!”
“Gughi, tu sei giovane e, come tutti i giovani, facilmente influenzabile dai sogni e dalle speranze ma qui, per noi, è finita. I Mussulmani si sono compattati ed è dunque inevitabile che verremo ricacciati in mare. In occidente nessuno si interessa piu’ a noi. Grandi parole vengono spese alle corti di Re ed Imperatori ma nessuno vuole piu’ prendere la croce. E' la Torre del Tempio il centro di tutto ormai. E’ il denaro figliolo mio.”

“Cosa faremo noi, Maestro? E Gerusalemme?” dissi quasi tra le lacrime sconvolto da quella dichiarazione di resa.

“Ci ritireremo a Cipro. Ma prima, Guglielmo, dovremo combattere con onore. Lasceremo Outremer ma porteremo con noi molti nemici e il nostro nome risuonerà per sempre al fianco di quello di Goffredo da Buglione, Riccardo Cuor di Leone e San Luigi!. Ah...Goffredo...il conquistatore di Gerusalemme... talmente umile da rifiutare il titolo di Re perchè non poteva essere Re nella città del redentore! Un’ultima cosa Guglielmo...so che qualche giorno scivoli fuori dalle mura per andare a vedere Gerusalemme al tramonto...bada di non farti catturare. Non avremmo modo di riscattarti... ”

Trascorsero pochi mesi e giunse ad Acri la notizia che un altro Sultano d’ Egitto, Malik al-Asbiraf, alla testa di un poderoso esercito marciava alla nostra volta.

Il giorno prima che fosse posto l’assedio scivolai fuori dalle mura e mi infilai nell’accampamento nemico. Rubai un cavallo ai Saraceni e galoppai fino allo sfinimento verso Gerusalemme. Vi giunsi al tramonto. La splendida Città si estendeva ai miei piedi. La cupola della roccia scintillava nel sole. Le mura ocra della città racchiudevano al loro interno la Storia dell’Umanità. Guardai con nostalgia la moschea di Al Aqsa che per lungo tempo era stata la residenza dei Templari. Invidiai i mie confratelli che poterono osservare con devozione l’immensa roccia del sacrifico di Isacco ogni giorno pregando. La stessa roccia da cui Maometto, secondo il Corano, spicco’ il suo volo verso il cielo. A tratti, portato da un vento benevolo, potevo percepire l’odore delle spezie che parevano impregnare i muri delle case ed udire le grida provenienti dal Bazar. Fiaccole iniziarono a vibrare nell’oscurità crescente. Gettai uno sguardo al Santo Sepolcro che il mio ordine aveva avuto l’ordine di difendere e cosi miseramente aveva fallito. Alcune lacrime rigarono il mio volto. Tornai mestamente ad Acri per prepararmi alla battaglia....

Luoghi

L’altra sera siamo usciti con una coppia di nostri cari amici. Erano rientrati da poco da due settimane nel Salento e si parlava di ferie.

Lui, sussurrando parole scelte accuratamente, mi ha descritto i paesi carichi di addobbi nel giorno di festa. Mi ha parlato di carretti, le ruote sporche della dura terra della campagna, ricolmi di sacchi di semi di zucca ed arachidi, della banda che marciava in testa ad un funerale e delle cassette di morbida frutta acquistati per pochi euro quasi dall’albero. E, mentre parlava, le luminarie sulle facciate stinte dal vento e dal mare iniziavano ad accendersi. Le rughe sul volto secco del contadino iniziavano a distinguersi. Il pennacchio nero, ritto sul capo del superbo cavallo, si muoveva lievemente nell’aria bollente.

E poi ho capito. Ho capito che la forza con cui evocava quello scenario nasceva dalla sua nostalgia. Ci ha confidato come il respiro, in quei momenti, si fermasse nel petto sopraffatto dall’onda dei ricordi. I ricordi della sua infanzia e dei viaggi fatti nella terra natale del padre: la Sicilia tanto amata dal Connestabile.

In quanti luoghi il respiro si è fermato per un istante nei polmoni?

In quanti istanti l’onda del ricordo ha compresso il nostro petto fino a lasciarci immobili sull’orlo del precipizio di brivido violento?

Il ricordo non solo dell’infanzia, ma il ricordo dei sogni, dei libri e delle storie che ci hanno accompagnato negli anni e delle vite che abbiamo mancato per qualche secolo e qualche migliaio di chilometri.

Io, posso contare quegli istanti…me ne sovvengono tre…

Di uno sono debitore di mia nonna, di uno sono debitore di mia moglie e del terzo solo di me stesso…

Guglielmo

martedì, agosto 02, 2005

Receptionist

c'è una mia collega che è una sagoma. dire che non ci arriva è farle un complimento.
settimana scorsa, in mensa, indica un collega dicendo che le piacerebbe conoscerlo. e io subito "lo conosco io, te lo presento?". e lei: "sì, per favore... come si chiama?". "amintore fanfani". "amintore?!?" mi fa lei. e candida come una rosa: "come si fa a chiamare un figlio amintore?"
ora vorrebbe conoscere: zaccagnini, la pira, lama, carniti e benvenuto.
devo inventarmi qualcosa di nuovo, qui pare di sparare su babbo natale
tec

ore 7:15 - traduzione bresciano italiano

mentre uno dei tenutari del presente blog è con le chiappe al sole della val d'aosta (quindi non parlo dell'altro tenutario che scrive poco, commenta meno e anch'egli mostra le terga al sole di una località marinara), il presente tenutario si trovava di fronte a casa del medesimo, nonchè sua ex magione, in attesa degli operai assunti per tinteggiare ed effettuare delle piccole modifiche. a fargli compagnia un personaggio d'antologia: il daddy. che di secondo nome non fa "pazienza", ma "Leone". il daddy era già incacchiato come un leone, nomen omen. dopo la buca data dai suddetti operai ieri mattina, anche oggi all'orizzonte si prospettava il nulla. ho avuto però la fortuna di assistere ad un paio di scene da antologia.
la prima è la telefonata fra il capomastro ed il daddy. il primo assicura il daddy che il "pittore" sarebbe arrivato da lì a poco. risposta del daddy: "pittore? se questa specie di raffaello non arriva tra 10 minuti le faccio scrivere dall'avvocato!". dentro di me mi son chiesto: per cosa?
la seconda è stata la conversazione fra daddy, raffaello ed un sottoposto. il daddy spiegava le cose, raffaello le traduceva in bresciano stretto al sottoposto il quale prendeva nota. ora mi chiedo: ma c'è gente a brescia che non parla italiano?

tec

lunedì, agosto 01, 2005

Ai colleghi che vanno in pausa

“Stai andando in pausa alle macchinette?” chiedo affannato
“Si! Hai bisogno?” risponde il collega con tono cortese.
“Si! Mi fai una sorpresa?” dico in tono mellifluo lasciando in sospeso.
Lui sorride dolcemente annuendo.
“Non tornare!”

Guglielmo

La stanza del dilettante

Dal sito www.amicisciascia.it, riceviamo e pubblichiamo. Vi consigliamo di iscrivervi alla newsletter.

La rubrica è intitolata “La stanza del Dilettante” non per caso. È la stanza di un Dilettante, appunto, un giovane professionista che vive e lavora a Milano, in un grande studio legale, e che, nei ritagli di tempo, si rifugia nella letteratura.
La letteratura è dunque specchio e finestra sul mondo, o meglio, è una mappa del tesoro, che conduce alla scoperta di strane meraviglie.
Da bravo Dilettante, ama seguire le tracce fintanto che questa ricerca dà piacere, fino a quando le indagini che portano ad altri scrittori, a rimandi e atmosfere, sono fonte di piacere, di diletto, appunto.
Dunque, quale scrittore migliore di Leonardo Sciascia per fare queste scorribande? I suoi libri sono inesauribile fonte di citazioni, sono romanzi che si aprono su altri romanzi, che li presuppongono e li comprendono, e li suscitano, molto spesso. (Come leggere Sciascia, senza leggere o aver letto Stendhal?)
Il Dilettante si sente allora come un giovane bucaniere intellettuale, che insegue i tesori della letteratura, dell’arte (quanti incisori!) e della storia (e la politica, poi?), con le “mappe” fornite dai libri del grande scrittore siciliano.
Con Sciascia, del resto, è così: una sorpresa continua, una sfida continua – insomma, l’avrete capito, un’avventura continua.
E perciò il Dilettante può finalmente dilettarsi, dopo le dure giornate di lavoro, dopo il professionismo ostentato, dopo la specializzazione estrema, svagatamente passeggiando tra libri e gallerie, seguendo e abbandonando piste, indagando percorsi intellettuali, artistici, cercando volumi usati in magazzini polverosi, incurante del tempo che passa, assaporando il piacere della scoperta, ma non solo, anche della trouvaille: quell’esplosione di felicità quando una sorpresa si svela, l’inatteso gioco del caso che conduce al giardino dei sentieri che si biforcano e che portano chissà dove!
In definitiva, questo contributo intende essere un piccolo tentativo di instaurare un dialogo tra due realtà forse distanti, tra due uomini apparentemente lontani: il ragazzo del 2005 e il Grande scrittore scomparso.
Qualche cosa il ragazzo ha imparato, qualche cosa va scoprendo e molto ha da imparare: in ogni caso…
***** ***** *****
Fu allora che scoprii Sciascia.
Il primo incontro con Sciascia è stato del tutto fortuito. A raccontarlo non ci si crede. Ho conosciuto Sciascia grazie a Borges.
Devo essere sincero, utilizzo impropriamente il termine “conoscere”, perché in realtà conosco gli scrittori solo mediati dalla loro opera: di persona, purtroppo, no.
In ogni caso, mi ero letteralmente appassionato alla prosa di Borges, alle sue alchimie, tanto che, dopo aver letto tutti i libri di Borges, sono andato alla ricerca dei libri su Borges.
Mi sono dunque imbattuto su un volumetto particolare intitolato “Borges e gli scrittori italiani”, di Roberto Paoli.
“Borges e Sciascia” era uno dei capitoli del libro. Ho scoperto allora che i libri di Sciascia sono pieni di riferimenti a Borges, anzi ho scoperto che proprio lui, tra i primi, lo ha “accolto” nel 1955 con una recensione sulla “Gazzetta di Parma”, definendolo – ed era in occasione del suo primo libro tradotto in Italia – già un classico.
Non solo, ma mi stupì parecchio scoprire che lo scrittore che credevo si occupasse semplicemente di mafia, di Sicilia, e solo sotto forma di “giallo”, era anche un amante delle geometriche costruzioni borgesiane. Era pure abile a scrivere romanzi storici, saggi e potenti critiche d’arte!
Se dapprima mi colpirono le citazioni, poi fui impressionato da come Sciascia avesse imparato la lezione borgesiana, da come la fece sua. I suoi gialli, non sono solo godibili romanzi, ma sono manifesti filosofici, prese di posizioni, indagini intellettuali che tutt’ora, con la società che è cambiata, con il mondo che si trasforma, hanno molto da dire.
Perfino le “inquisizioni” sciasciane (rectius: le sue Cronachette), sono occasioni impedibili di saggistica colta, che spaziano da argomenti apparentemente leggeri a temi aspri e scottanti.
È così che quando mi misi a leggere l’Affaire Moro, mi ritrovai catapultato oltre lo specchio, alla fine degli anni settanta, in un mondo a parte, eppure non così distante, non così impossibile. Sciascia è in grado di scrivere pagine e pagine di apparenti divagazioni, come quelle sul Dizionario del Tommaseo, sulle lucciole di Pasolini, oppure di citare l’“Esame dell’opera di Herbert Quain”, per far scoprire un’altra verità, più profonda, letteraria certo, di sicuro personalissima, mai scontata ed in grado di passare indenne, sola tra le tante, al vaglio della storia. Fu criticato, questo lo so, vi furono polemiche – sicuro – ma possiamo realmente immaginare di studiare il caso Moro senza leggere l’affaire? Io dico di no.
Adesso, e sono passati anni, mi trovo di fronte a due scrittori che conosco come conviene ad un bravo Dilettante.
Spesso riapro i loro libri, ne leggo dei brani, magari quelli che ricordo con più piacere, ma sono molto diversi gli scrittori che mi ritrovo davanti: uno troppo freddo, spesso ripetitivo, in ogni caso distante. L’altro, al contrario, più passa il tempo più ha qualche cosa da ricordarmi con la sua passione civile, con il suo continuo esporsi, prendere posizione. Mi ricorda che il coraggio dello scrittore è ben più che un’idea, è un calvario. Significa rinunciare alle amicizie, se del caso, significa essere scomodi e, a sedici anni dalla sua morte, perfino essere oggetto di continui ed infamanti attacchi personali.
Ho scoperto anche che i due avevano in comune, tra le tante cose, la passione per “L’isola del tesoro”, di Stevenson. Borges la definì “una delle possibili forme della felicità”, Sciascia ne scrisse due pagine mirabili nel suo “Il Cavaliere e la Morte”.
Ho sempre adorato il romanzo di Stevenson e forse le mappe che ritrovo nei romanzi di Sciascia mi appassionano proprio perché mi coinvolgono e mi fanno sentire un piccolo Jim Hawkins alla ricerca del tesoro segreto dello scrittore. Cosa sia il tesoro non lo so: se fosse vivo vorrei essere suo amico, per disturbarlo ogni volta che mi va e fare due chiacchiere. Questo non è più possibile, ora. Forse il tesoro è l’avventura stessa, come lascia intendere Stevenson, e dunque Sciascia rappresenta per me una delle possibili forme della felicità, ma diversa, più intellettuale e, contrariamente a quanto si pensi abitualmente, è fonte di continua speranza.
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