mercoledì, gennaio 27, 2010

Qualcuno dia un tranquillante al Tecnologo

Che oggi è il gran giorno...e arriva 'a lavagnetta!

martedì, gennaio 19, 2010

Giu, al confine...

La zona in cui vivo non è una zona centrale. E’ un paese che lentamente è affondato nella città. C’è un monumento dedicato non ai Caduti di Milano ma a quelli del paese che era prima che questo piatto pezzo di terra venisse innestato come un organo e collegato alle vene della città.

Ma, conoscendolo bene, è possibile definire con certezza i confini di questo angolo di città.

La vecchia trattoria in fondo alla via, che credo fosse dei miei bisnonni, e che sembra uscita da un film degli anni ‘70 (qualche sera uscirò di casa e ci andrò, con il piglio dello scrittore, a berci una birra. Resta da definire se sia piu’ rischioso andarci armato o meno. Cosa troverò? Assi polverose? Botole affacciate su bui scantinati ? piatti cucinati in vecchie cucine trasudanti grasso rappreso? Innominabili traffici?).

I giardini, a volte abbandonati a volte trasformati in orti, che d’estate splendono di odori e di verde selvaggio.

La trama delle case si sfilaccia in cortili, capannoni e fabbriche. Volendo, indossando un casco coloniale, ci si può addentare nelle vie che irrorano di rare auto il viale che delimita il quartiere (è una delle vie di accesso a Milano): portoni scrostati socchiusi su vecchi cortili, panni stesi, parabole e ringhiere. Diverse case risalgono agli inizi del secolo. Non sono orrendi palazzoni di periferia ma case dai colori tenui, dai tetti di tegole rosse,dalle cantine odorose ed umide e dai cancelli arrugginiti e scardinati.

Tra ritagli di muri, inaspettati scorci di alberi, edicole dagli affreschi ormai scrostati e cortili segreti. Ci sono ancora alcuni rari negozi in cui i vecchi si siedono per ore a parlare con i negozianti e se li si incontra in piazza del Duomo ( i vecchi) si fermano a parlare come farebbero due viaggiatori che si incontrino alla foce del fiume Volga.

Vecchi e grigi edifici liberty vuoti giacciono abbandonati (invitano all’esplorazione in attesa che vane promesse di riqualificazione si concretizzino) e sovrastati da nuovi palazzi che svettano verso il cielo con la loro corte di negozi ed un centro commerciale sfavillante.

Ogni tanto vago per la zona a piedi cercando di vedere i segni del passato. Cercando di immaginare la vita 60 anni fa, immaginando come sarà quando la furia dell’Expo si abbatterà sulla città passando da queste vie e cercando di capire quali vite scorrano dietro le persiano socchiuse.

Spero che dalla furia di cemento di questi anni ne esca una città migliore. Con piu’ verde, piu’ piste ciclabili, meno traffico e piu punti di aggregazione per tutte le generazioni.

Intanto mi limito ad immaginare cosa accade dietro le vetrine della trattoria, giù, al confine.

In attesa di quella sera in cui prenderò il coraggio a due mani….

Gughi

mercoledì, gennaio 13, 2010

Navigatore

Questa mattina ho riscoperto una piscina in cui non vado da anni. Apre prestissimo e mi permette quindi di fare una nuotata prima di andare al lavoro. Quando esco dalla vasca, dopo circa 45 minuti di nuoto, la mie mente è sgombra e tutto mi appare sotto una luce diversa. Resto quindi convinto che se avessi avuto la possibilità di vivere sull’isola di Moloka’i (Hawaii), con a disposizione un piscina naturale strappata all’Oceano Pacifico nella quale nuotare ogni giorno prima di colazione, tutto avrebbe avuto un sapore diverso.

Uscito dalla piscina mi sono immesso nel traffico. In una via a tre corsie mi sono trovato dietro ad una Opel che procedeva lentamente. Il semaforo verde ci invitava ad accelerare, ma lui niente. Dopo averlo sollecitato con una scarica di abbaglianti l’ho affiancato. L’anziano conducente in cappotto e cappello, trincerato sul sedile, era intento a guidare gettando un occhio al navigatore. Non dava l’idea di uno che cercasse qualche via. Penso trovasse nel luminoso oggetto attaccato al parabrezza una conferma delle sue scelte.

Il problema infatti non è piu’ che la gente non sappia perdersi (come declama la pubblicità della BMW) ma che la gente non faccia piu’ nulla senza un “supporto”. Senza qualcosa che confermi le sue scelte. In pochi anni il nostro mondo si sta trasformando. Gli oggetti con cui entriamo in contatto ogni giorno sono sempre piu’ complessi e ci permettono un’interazione prima impensabile. I televisori, le auto, i computer, i telefoni ci danno l’illusione di affacciarci continuamente su un mondo vastissimo nel quale la conoscenza è a portata di mano. Ma in realtà è una conoscenza frammentata a cui accediamo in maniera compulsiva e disordinata.

Guglielmo

venerdì, gennaio 08, 2010

La colpa è di chi ha tollerato

Cosi si liquida la faccenda calabrese. Fingendo che gli immigrati clandestini non siano uomini sfruttati. Non siano uomini privi di diritti la cui vita vale poco meno di qualche sacchetto delle arance e dei pomodori che colgono.
E’ inaccettabile che le nostre città e paesi vengano devastati e le popolazioni siano tenute in ostaggio. Ma è altresì inaccettabile che quegli uomini siano di fatto schiavi.
Basta leggere alcuni dei numerosi reportage degli ultimi anni per capire che quelle persone che hanno fatto, sbagliando, ricorso alla violenza sono esasperate. Esasperati come lo sono gli uomini che non hanno piu’ nulla da perdere se non la vita. La dignità, il rispetto, i diritti base di chi lavora sono calpestati.

Ho letto di uomini che mangiano mandarini per settimane sino a star male. Uomini che si infortunano e che se non vengono uccisi vengono abbandonati nelle baracche. Uomini sottopagati e oggetto del caporalato. Uomini che per sopravvivere sono costretti ad usare i pochi soldi della paga per fare acquisti in negozi controllati dalla criminalità.

La colpa non è di chi ha tollerato i clandestini ma di chi tollera che uomini che entrano clandestinamente ed illegalmente nel nostro paese vengano tollerati perché funzionali alla raccolta delle arance e dei pomodori. Quegli uomini fanno comodo ma si vorrebbe che sparissero come per magia con una manciata di euro in tasca nel momento in cui non servono piu’.

E già sui giornali si comincia a straparlare di Islam, presepi , tolleranza ed amenità varie.

Lo Stato deve bloccare l’immigrazione clandestina e regolamentare gli accessi ma deve anche garantire che sul suo territorio non ci siano situazioni che per un Paese come il nostro sono semplicemente vergognose.

Guglielmo

Considera l'aragosta


Capita di rado di trovare scrittori come Foster Wallace. Ho finito da poco “Considera l’aragosta”, una raccolta di articoli e saggi su argomenti disparati. Si va dalla notte degli Oscar del cinema porno a Las Vegas alla cronaca di una settimana al seguito della carovana elettorale di John McCain durante le primarie del 2000.

Come ho già scritto David Wallace padroneggia non solo la scrittura ma anche la capacità di esporre temi complessi in maniera chiara. E’ capace di riportare su carta, in maniera organica, la realtà descrivendola negli infiniti rivoli in cui si disperde. Ed è capace di parlare con la stessa cura ed amore del Festival delle aragoste del Maine e di Dostoevskij. Ed in entrambi i casi, che si parli del modo di uccidere le aragoste o che parli della letteratura come strumento al servizio dell’ideologia, Wallace ci sorprenderà dispiegando fiume di considerazioni e riflessioni (mai banali e mai fini a se stesse), mettendo in luce le implicazioni nella vita di tutti i giorni.

Wallace è un uomo che da speranza. Speranza che in un mondo come il nostro l’esercizio del pensiero sia ancora un modo per restare a galla. Che di fronte alla miseria della civiltà moderna esistano ancora spazi per riflettere sulle cose, cogliere scintille di umanità e che la nostra mente ed il linguaggio possano analizzare ogni cosa riconducendola all’umano.

Le pagine piu’ belle, per chi ama la parola, sono quelle dedicate ad "Autorità e uso della lingua ". La recensione di una nuova Guida all'uso dell'Inglese Americano diventa l’occasione per una riflessione sulla concezione dell’evoluzione del linguaggio che hanno descrittivisti e prescrittivisti. Il linguaggio è immutabile o si evolve sulla scia del linguaggio parlato? E se evolve, chi decide quando un modo di dire o una parola diventano parte del linguaggio? E chi ha il diritto di dire quali sono le forme ed i modi corretti della lingua?

Pagine che chi conosce l’inglese apprezza molto meglio di quanto non abbia fatto io ma pagine che comunque valgono anche per la nostra lingua perché trattano delle implicazioni sociali sull’uso del linguaggio e sulla relazione tra politica e linguaggio.

Insomma, David Foster Wallace è capace di appassionarsi ed appassionare.

Ed è doloroso constatare che la depressione abbia travolto ed ucciso un uomo cosi sensibile e colto munito di una mente di primissimo ordine.



Guglielmo

martedì, gennaio 05, 2010

L'ultima notte di pioggia

Finalmente è uscito il primo romanzo di Victor Toler!

Da leggere!

Vi allego qualche commento e la recensione del New York Time Book Review!

“Johnny Christmas è uno sbirro di Detroit. Forse non è nemmeno il piu’ corrotto di Motown ma ha smesso di chiederselo tanti anni fa. Chiude gli occhi su traffici odiosi ed il prezzo da pagare per il suo silenzio sono notti insonni ed una lenta discesa nell’abisso. C’è solo un modo per riscattarsi: ammazzare uno ad uno i trafficanti della città ed i poliziotti corrotti. Ma forse anche questa è un'illusione. E quando tutto sembra finito, riceve una lettera del suo vecchio professore di letteratura inglese della Illinois State University. Sono solo poche disperate righe in cui lo prega di recarsi a Baltimora e consultare un antico volume alla Peabody Library. Celata nella copertina troverà una lettera di Edgar Allan Poe ad Abramo Lincoln destinata a sconvolgere l’esistenza di Johnny, l’idea di romanzo poliziesco e la storia degli Stati Uniti. A quel punto la sottile linea che separa Stati Uniti e Canada diventa l’unica salvezza, ma qualcosa di troppo grande è ormai in moto. E quella che si appresta a vivere Johnny Christmas è forse l’ultima notte di pioggia.”


“Un libro di sconvolgente bellezza.” The New York Times Book Review
“Un’opera prima esplosiva!” The Detroit News
“Un nuovo genere letterario.”The New Yorker
“Sconvolgente!” The Washington Post
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