venerdì, novembre 30, 2012

Anime Belle

Ieri sera, di ritorno dalla piscina, ho seguito, su La7, "Servizio pubblico". Si parlava di Ilva. Erano presenti alcuni cittadini di Taranto. Con dignità, a volte in maniera confusa, travolti dalla rabbia e dall'emozione, raccontavano come si vive a Taranto, aprendo le finestre e lasciando entrare polveri sottili e sostanze chimiche che uccidono, rendono sterili le donne e sradicano la vita dai bambini. Dall'altra parte i soliti giornalisti, politici e ministri incapaci di rispondere al dolore, alla paura ed alla disperazione delle persone. Di fronte ad una madre incapace di mentire al figlio che le domanda se anche lui si ammalerà, io ho provato vergogna e tristezza. Tristezza pensano al quotidiano di quelle persone e vergogna per l'incapacità del nostro Paese, inabissato nella corruzione, nell'egoismo e nell'avidità di fornire a quella donna una risposta da dare a suo figlio. E quello che colpisce di questo dramma, che si consuma da decine di anni, è che il problema di tutto pare sia la Magistratura che oggi dice "Basta". Nel corto circuito in cui da anni è precipitato il nostro Paese, di fronte all'orrore che si consuma quotidianamente in quella terra, l'unica responsabilità che si riesce a trovare è quella dei magistrati che, prima di tutto, mettono la salute delle persone. L'attenzione non è focalizzata su chi e perché si sia voltato dall'altra parte. Su come sia stato pensabile che la piu' grande acciaieria d'Europa abbia potuto tirare avanti contaminando acqua suolo sino a questi giorni senza che nessuno abbia posto le piu' elementari domande. Senza che nessuno abbia chiesto che un'industria come quella producesse rispettando le norme di rispetto dell'ambiente e della salute. Ma l'attenzione è sui magistrati che, come non hanno fatti altri prima di loro, non si voltano dall'altra parte e bloccano un risanamento che, se va bene, finirà tra quattro anni con un costo di circa 3/4 miliardi di euro (viene anche da chiedersi dove si conta di ritrovare quei soldi...). E conoscendo il nostro Paese sono sicuro che tutto il processo genererà corruzione, sprechi e, probabilmente, non risolverà il problema Infine sarebbe utile che le anime belle del giornalismo, che ora si sorprendono e scoprono questo disastro, si dimettessero e cambiassero mestiere. Perché siamo un paese capace di dedicare decine e decine di trasmissioni ed articoli ad un omicidio o al naufragio di una nave ma siamo incapaci di chiedere Giustizia per questa che non è solo una tragedia umana ed ecologica per quella terra e per l'Italia, ma è anche una tragedia economica perché mostra come il patrimonio industriale del nostro Paese sia stato svenduto e lasciato invecchiare ed infine morire di malaffare e corruzione. L'epitaffio l'ho letto oggi pomeriggio su Internazionale. Il Frankfurter Allgemeine Zeitung, dalle sue colonne, osserva "gli italiani dovrebbero chiedersi se sono in grado di sviluppare e gestire impianti così complessi". Il Maresciallo

sabato, novembre 17, 2012

Sul tram

Il tram che mi porta al lavoro è di quelli vecchi. Mi piace, alla fermata, vederlo sbucare da dietro la curva e ondeggiare rapido verso di me. Pare sbucare dal nulla come avesse traversato ore ed ore di viaggio. La sagoma del suo muso giallo si ingrandisce sino a fermarsi in uno stridore di freni ed un sapore di ferro che si può persin sentire sulla lingua. Un vagone di acciaio, legno, cuoio e panche lucide. Nelle giornate d'inverno è piacevolmente freddo. In quelle d'estate la luce lo invade come l'aria fresca che soffia attraverso i finestrini a ghigliottina. Ci sono autobus piu' veloci, tram piu rapidi, ma nessuno ha il suo fascino. Sembra che le panche, i porta lampade di vetro la meccanica, le manovelle ottonate del guidatore che paiono fuggire alla morsa del tempo inducano tutti ad essere piu' gentili. Come si navigasse lungo un fiume, Milano scorre dolce ed educata ai suoi fianchi. Spesso trovo posto a sedere. Dalla borsa tiro fuori un libro e leggo. A seconda dell'orario, incontro quasi sempre le stesse facce. Non ci salutiamo mai. Nemmeno un sorriso. Ma ci riconosciamo. Questo basta. Il vagone è silenzioso. Di rado qualcuno parla ed è come se, facendolo, rompesse un tacito patto tra noi passeggeri. Restiamo in silenzio preparando la giornata da affrontare. E quando il motore ed i cigoli si fermano, tutto tace. Le conversazioni telefoniche, unica concessione, si arrestano. E' possibile immaginare che dall'altro capo della linea siano spiazzati da quell'improvviso silenzio. Sale una donna anziana con il bastone. Il bestione albanese con la barba sfatta ed il giubbotto di plastica che sembra pelle è il piu' lesto ad alzarsi e a lasciarle il posto accompagnandola nella sua incerta seduta con un gesto attento. Uno tira fuori un Ipad e comincia a battere le dita sullo schermo con foga. Lo fa con aria distratta ma sa che ha gli occhi di tutti su di sè. Molti accarezzano ossessivamente il cellulare e aggiornano furiosamente la costruzione della loro identità. Una ragazza solleva lo sguardo dallo smartphone cercando in aria la risposta giusta da dare. Pare trovarla e, afferrandola in aria con l'indice, la infila nello schermo che ora le illumina il volto e gli occhi di una luce gelida. Sorride. Qualcuno ripassa freneticamente appunti in vista di un interrogazione, un esame o una presentazione al lavoro. Si perde con lo sguardo oltre i finestrini e sussurra qualche frase saggiandone l'effetto e assaporando sulle labbra le parole. Tanti leggono. Il corpulento africano, il capo infilato in un cappello di lana grigia, è da un mese che studia il cinese. Una donnone con i capelli in disordine, gli occhiali dalla sgraziata montature nera legge "50 sfumature di grigio". Mi sporgo sul libro e scorro le righe che parlano di sesso spinto sino a che lei, imbarazzata, non chiude il libro e lo ripone in borsa. Ogni tanto alzo lo sguardo. Sospendo la lettura. Lo faccio quando passiamo di fianco al parco. Mi piace pensare ogni mattina di poter scendere ed attraversarlo a piedi. Guardo la distesa di foglie, verdi, scintillanti nel sole del mattino, o incendiate di arancio e marrone. Via Vincenzo Monti è un passaggio scuro. Penso agli scapigliati, al Manzoni alla Milano dell'800. Nelle mattine di sole, la luce che cola sui tronchi dei rami degli alberi, ripenso agli anni del liceo. Immagino che avrò nostalgia anche di questi anni. Forse invecchiare porta questa consapevolezza. A Cadorna scendono quasi tutti. Il tram si svuota e subito si riempie. Salgono i paesani. Ci sono le due ultra quarantenni un po appesantite che salgono da dietro. Lanciano uno sguardo rapace alla carrozza e ondeggiano i grossi culi su tacchi troppo alti verso il loro posto. Se c'è il sole si nascondono dietro enormi occhiali neri. Se il cielo è troppo grigio nulla nasconde occhi fiaccati e stanchi di cercare. Gli uomini, con pettinature e cravatte assurde, barcollano mentre il tram riparte. La voce gracchiante che annuncia le fermate sbaglia l'accento della fermata. Qualcuno, sorridendo, ripete l'errata pronuncia. Quella concessione alla modernità, gli altoparlanti che annunciano le fermate, sembrano le uniche cose, su quel vecchio vagone, incapaci di essere affidabili. Scendo un paio di fermate prima e faccio un tratto a piedi. Cammino svelto. Svolto in Cordusio ed ecco che ricompare. Impieghiamo lo stesso tempo, facendo strade diverse, per ricoprire lo stesso tratto. Lo osservo ripartire. La giornata è iniziata... Guglielmo

domenica, novembre 04, 2012

B612

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