mercoledì, aprile 30, 2008

Un bambino di nome Fe-de

Come se tornassi da un lungo viaggio nel deserto con una carovana di mercanti. Come se il mio aereo, i motori ancora caldi e le ali sporche, fosse appena atterrato da un lungo viaggio aereopostale sulle Ande. Come se la mia nave avesse appena gettato l’ancora nella baia dopo una lunga e tempestosa traversata. Così, mi saluta Federico quando torno a casa dal lavoro. Che io compaia sulla soglia di casa a fine giornata è, per lui, una sorpresa bellissima. Corre per casa annunciando il mio rientro:”papà-papà” e poi mi corre incontro abbracciandomi e baciandomi. I suoi occhi si illuminano per la sorpresa e la gioia. Il suo corpicino sembra contenere a malapena quell’ondata di entusiasmo.

Da qualche giorno, su richiesta o mentre è intento a sbirciare qualche libretto, canticchia una canzoncina scritta e composta da lui. Cantato in falsetto, il motivetto fa: “Papipapapipapapi, papi, papipapi, papi, papà”.

Mentre cammino per casa lui mi saltella intorno o mi passa in mezzo alla gambe colpendomi con le sue manine paffute. Se si vuole ottenere qualcosa da lui, è sufficiente non insistere. Basta chiedere la cosa con fermezza ed aspettare. Alla seconda richiesta lui, sorridendo, farà ciò che gli viene chiesto. Insistendo si incupisce, piega la testa in avanti e si stringe nelle spalle rognando.

Ogni tanto lo inseguo, lo prendo in braccio e lo giro e lo rigiro morsicandolo. Lui ride come un matto sino a che non singhiozza.

Da pochi giorni ha imparato il suo nome. E’ un segreto che però dice a pochi.
“Come ti chiami?”
“Fe-de” scandisce indicando il suo petto.

Ogni tanto cammina fin sotto la finestra della cucina e con la manina, con cui si spiega e chiede, chiede di essere sollevato per guardare fuori. Allora lo abbraccio stretto e con la sua testa all’altezza della mia guardiamo il cortile, le biciclette posteggiate, i pochi alberi che si stagliano a pochi metri e le nuvole in cielo. Io gli parlo e lui, con pochissime parole, molti suoni e la sua manina, risponde e commenta quello che dico. Se è una giornata di sole, guardo i suoi occhi azzurri. Sembrano piccole pozze di luce. Acquamarine trasparenti. Osservandoli penso sempre che non esistano occhi piu’ belli. Allora lo stringo ancora di piu’ e lo bacio sulle guance grassottelle. Lui, incurante, continua a fissare verso il cortile ed io sorrido dell’attenzione con cui scruta il mondo sorprendendomi ancora per quanto siano trasparenti e belli i suoi occhi.

Guglielmo

domanda

Siamo sicuri che faccia male?
arrivare a 102 non è poco...
tec
ps per i sottodotati di umorismo: e' una battuta...

venerdì, aprile 25, 2008

25

Il 25 aprile è una festa strana. Ogni anno le solite polemiche. Come se il 25 non fosse quello del ’45, ma quello dell’anno prima. Le solite stantie polemiche sulla Resistenza e su Salò, incuranti del fatto che quando c’è una Guerra, quando il sangue inzuppa la terra, diventa difficile capire e ricostruire. Guardarsi alle spalle, anche di sessant’anni, è un’esperienza lacerante e dolorosa. Ci costringe a fare i conti con il passato e ad ammettere che siamo ancora una democrazia giovane ed immatura.

Prova ne siano le blande reazioni con cui alcune dichiarazioni del nostro premier in pectore hanno generato. L’eroismo di Mangano ed il disprezzo verso i giornali ed i giornalisti (rei di porre domande scomode) sono temi che in altri paesi avrebbero sollevato qualche riflessione e qualche domanda. Nel nostro Paese hanno invece sortito l’effetto di suscitare qualche sbadiglio.
Ho assistito al disastro di Super Walter con disagio. Speravo in un pareggio al Senato e nella possibilità che il PD trovasse i numeri per contare qualcosa nel quinquennio a venire. Invece scopro un Paese spaventato e pronto a farsi ancora una volta incantare dalle promesse di Silvio (anche se in realtà ha promesso lacrime e sangue) e a rifugiarsi nella grotta subalpina della Lega.

Guglielmo

giovedì, aprile 17, 2008

Di un blu profondo ed intenso...

Un’ ossessione. Questo è Marianna. L’ossessione che qualcuno potesse ancora vederlo come qualcosa di diverso da un ubriacone. Da un barbone. Che qualcosa potesse ancora cambiare. Meglio, che lui, Aurelio, potesse ancora cambiare qualcosa. Non essere piu’ solo un disperato sullo sfondo della città. Ecco. Aiutare quella donna ad uscire dalla sua solitudine e dal suo dolore. Dall’apnea in cui si trova. Dalla corsa, solitaria e vuota, che sta facendo. E quando davvero l’ha salvata da quei tre, l’ossessione si è dissolta. Per quanto fosse caduto, era ancora lui. In quell’istante ha scelto ed ha scelto ciò che era giusto. Qualcosa di lui, nell’anima annerita, è rimasto. Da quello, pensa Aurelio, posso ricominciare. Da quello e da un amico.

Alla sua età, quasi quarant’anni, ha scoperte il significato di parole che ha ascoltato sin da bambino ma alle quali non ha mai saputo dare un contenuto.

Sono passati diversi giorni in quell’ospedale dalle grandi finestre. Luca è tornato a trovarlo. Hanno scelto sul catalogo dell’Ikea i mobili per arredare la sua stanza. Luca gli aperto un conto corrente dove ha versato qualche centinaio di euro per le prime spese. Gli ha presentato qualche amico e qualche amica. E’ come se gli stesse ricostruendo intorno una nuova vita artificiale. Una serie di legami, di cose, di documenti per reintrodurlo alla vita. Aurelio sa che toccherà a lui ridare a tutto un senso.

Nella vita a volte basta una parola. Basta un gesto per cambiare tutto. Marianna resterà il simbolo di quel riscatto. Resterà l’unico dolce ricordo di una fase terribile della sua vita che, ora si interroga, non sa piu’ nemmeno come abbia potuto affrontare. E questo, forse, è il segno che è finita.

Il carrello della cena che gli passa di fronte mentre abbandona la sua stanza d’ospedale ha un odore familiare. Odore di carta e pane caldo. Luca, poche ore prima, gli ha portato una tuta bianca ed un paio di Nike nuove. Vuole tornare a correre. Per qualche settimana dovrà stare a riposo. Cosi gli ha detto il dottore che lo ha appena dimesso. Nelle mani stringe come una mappa il foglietto con l’indirizzo di casa di Luca. Malgrado la debolezza che sente alla gambe, ha il cuore leggero e gonfio di speranza. Davanti all’enorme vetrata del settimo piano dell’ospedale in cui si trova, un’infermiera sudamericana annaffia con amore tre piante in un grosso vaso. Una serie ininterrotta di cime incorona l’orizzonte oltre la finestra.

Si sorprende ancora per quanto siano vicine le montagne a Milano e come, nelle giornate in cui il cielo è una lastra di alluminio azzurrata, paiano essere distanti solo pochi chilometri. Il sole inonda i pochi metri quadrati antistanti gli ascensori dell’ospedale.

E lei è li. Rannicchiata nell’angolo tra la vetrata e la parete. Immersa nel calore e nella luce dell’intenso sole delle sei del pomeriggio. I capelli sciolti le coprono le orecchie per cadere poi sulle spalle e sul petto. Aurelio si ferma e quel poco di forza che aveva pare scivolargli via dalle mani e dall’inguine. Indossa una gonna lunga ed una giacca nera. La camicetta bianca ha polsini a sbuffo che paiono sfuggire dalle maniche della giacca. E’ appena uscita dall’ufficio, riesce a pensare Aurelio. Si sta mordicchiando il labbro inferiore e sembra che stia per piangere. Ha lo sguardo da bambina. Lo stesso sguardo di chi si sta staccando da una roccia dalla quale non si può tornare a riva ma che al contempo è l’unico appiglio che lo illude di non essere in balia del mare. Lo sguardo di chi ha paura di staccarsi da quella stessa roccia per affrontare il mare aperto e sconosciuto.

Aurelio continua a fissarla. Lei stacca a fatica le mani dalla sbarra di acciaio che scorre lungo tutta la vetrata. Fa il primo passo e poi, quasi correndo, affonda nel petto e nella giacca imbottita di Aurelio abbracciandolo

Aurelio, gli occhi pieni di lacrime, riesce solo ad alzare lo sguardo verso la vetrata e a stringerla a se.

Le piante del cortile sono piegata da un vento che ha spazzato completamente il cielo.

Quasi al tramonto è di un blu profondo ed intenso trafitto solo dalle prime stelle. Le montagne, malgrado la stagione avanzata, sono ancora incappucciate da un manto di neve.

Stringendola ancora piu’ forte, poggiando il naso nella scriminatura dei suoi capelli e carezzandole la nuca, riesce solo a dire: “Come ti chiami?”.

La risposta di lei è un sussurro che si smarrisce nel petto di Aurelio e tra le lacrime.

Ci sono giorni in cui un ottimista, particolarmente in forma, può ancora pensare che Milano sia un bel posto per vivere.

Guglielmo, il Maresciallo

Biscotti allo zenzero per tutti

Carissimi cittadini e cari i miei elettori,
un sentito ringraziamento a tutti coloro che hanno espresso il loro voto per me (eccetto un furbone che, avendo scritto il mio nome sulla riga del Pd, mi ha fatto annullare un voto... ).
Il mio comune va al ballottaggio, in queste ore la mia lista civica sta decidendo da che parte schierarsi, purtroppo già temo quale sarà il verdetto...

In ogni caso, nel mio piccolo, ho vinto la scommessa fatta con me stessa, ho preso più voti di quelli che mi aspettassi, molti dei quali non ho idea da chi provengano...

Per il resto, devo dire che ho iniziato a prenderci gusto, penso proprio che questa non sarà la mia unica esperienza in politica, ne farò altre con maggiore consapevolezza, esperienza e determinazione...

Perciò, come mi ha detto qualcuno, se vado avanti così, posso essere candidata premier nel 2140!

Da qualche parte, lontano...

Due televisori Mivar. Altri tre letti. Vuoti. La maschera dell’ossigeno. Un sapore sconosciuto, chimico, in gola. Il fiato caldo di ospedale. Un misto di minestra e disinfettante. La sensazione delle lenzuola pulite e di un letto in cui distendere le gambe. Con i piedi, come faceva da bambino, percorre debolmente il fondo del letto, dove le lenzuola sono ancora tese. Come se il letto fosse appena rifatto. Prova a sfilare le lenzuola da sotto il materasso ma una fitta gli dilania il fianco.

Sono ancora vivo. Le gambe si muovono ancora.

Una flebo, appesa ad un trespolo ai lati del letto, si infila nel braccio. Gli occhi si chiudono.

Come è dolce dormire al caldo. Lasciando che il corpo affondi nel materasso senza timore di essere derubato o picchiato. Non ricorda nulla. L’unica vaga certezza è la sensazione che Marianna sia al sicuro. Da qualche parte. Lontano.

“Aurelio…Aurelio…” una faccia conosciuta nel via vai dei volti anonimi dei medici e rassicuranti
delle infermiere.

“Luca…” Aurelio sorride debolmente. Si accorge di faticare a parlare ed anche ridere provoca contrazioni dolorose allo stomaco.

“Come ti senti…?” gli dice il poliziotto.
“Non bene…Marianna? Cosa è successo?” riprende Aurelio come se la faccia di Luca lo avesse all’improvviso riportato alla realtà da un lungo sonno.

“Marianna sta bene. Ti hanno sparato. Ma te la caverai. Prima che ti seppellissero al Parco delle Groane sono arrivato io.”

“Marianna?”

“Marianna sta bene. È riuscita a scappare. Grazie a te. L’ho vista che scappava. Lei ci è corsa incontro e ci ha detto dov’eri.”

“Cosa facevi li?” quello che accaduto, seguendo le parole di Luca, si ricompone nella mente di Aurelio.

“La tua telefonata…”

“Ma non sapevi dove fossi!”

“Si che lo sapevo…ti…” ridacchia imbarazzato” ti ho seguito Aurelio. Dopo che mi avevi raccontato che Marianna era ricomparsa ho avuto paura che tu potessi fare qualche pazzia. Ti ho seguito per tre giorni. Ti ho osservato mentre guardavi Marianna e mentre le lasciavi i biglietti alle sbarre. Al terzo giorno però mi sono sentito come se ti stessi spiando ed ho smesso. Quando ho ricevuto la tua chiamata ero in servizio. Ti ho sentito correre ed ho immaginato che avessi bisogno…in pochi minuti abbiamo attraversato un pezzo i città e siamo arrivati alla montagnetta…dove ho immaginato tu fossi…lei ha fatto il resto…”

Lei. Perché non è li?

“Aurelio. Quei tre erano spacciatori. Grossi spacciatori. Portavano roba dall’est e la nascondevano alla montagnetta. La Questura gli stava dietro da mesi e non avevano capito dove la roba finisse e come rifornissero gli spacciatori. Uno dei tre ha lavorato nella polizia segreta romena. Aveva a casa una pianta di una serie di cunicoli che si snodano sotto la montagnetta. Una specie di bunker costruito dopo la guerra. Ne usavano un pezzo per nascondersi, nascondere la roba, lavorarla e distribuirla lontano dagli occhi della Polizia. Non abbiamo capito perché abbiano tentato di far del male a Marianna…forse per tenere lontana la gente…o forse avevano capito che il cerchio si stava stringendo e stavano per sloggiare…comunque li abbiamo presi…a proposito:non si chiama Marianna…”

“Dov’è adesso? Perché non è qui?”

“Aurelio…è sconvolta…hanno cercato di violentarla…le…le ho raccontato tutto. “

“Sa cosa sono?”

“Si. Ma non è per questo che non vuole conoscerti. E’ sconvolta da ciò che le accaduto e…si…a cnhe dall’aver scoperto chi sei. Deve pensare…capire…Ascolta. Il Questore ha fatto un grosso colpo. Anch’io, arrestando quei tre, ho fatto un bel colpo. Mi toglieranno dalla strada. Posso scegliere un reparto dove andare. Significa una promozione…e…ho pensato, ci ho pensato bene, una cosa. Pensaci anche tu, qualche giorno. A casa ho una stanza vuota e qualche soldo da parte. La stanza l’avrebbe riempita la mia ex. Posso ospitarti per qualche mese. Il tempo di rimetterti in carreggiata. Il Questore ha costruito una storia investigativa da C.S.I.. Non vuole sentire la storia di uno sbirro da pattuglia che spiando un barbone ubriaco ha arrestato quei tre. Vuole indagini. Appostamenti. Travestimenti…noi gli lasciamo raccontare la sua storia. Io passo all’investigativa e per te invece c’è un lavoro. Non ti daranno l’Ambrogino d’oro ma avrai un lavoro in una azienda fuori Milano. Nemmeno piccola. Nessuno ti conosce. Nessuno sa la tua storia. Con un po’ di fortuna troverai di nuovo la tua strada. Che dici? Pensaci. Solo una cosa: continui a non bere, cucini tu, se invito qualche donna vai al cinema e tra sei mesi te ne vai. Che dici?”

Aurelio non riesce a parlare. Annuisce mentre un groppo gli serra la gola. Guarda quel ragazzo che appena conosce e scopre cosa si prova ad incontrare un amico.

“E lei?”

La felicità che illumina il volto di Luca si attenua. Alza le sopracciglia e fissa Aurelio negli occhi. Si avvicina al suo volto e dolcemente gli dice: “Dimenticala. E’ un ossessione. E lo sai anche tu. Questa ossessione ti ha aperto la strada per uscire dal pozzo in cui sei precipitato. Aurelio io non ti conosco molto. Ti ho osservato ed ho visto cosa hai fatto. Sei un uomo giusto. Meriti di piu’ di quello che hai avuto. Dammi la possibilità di aiutarti. Di essere fiero di averti aiutato. Però devi dimenticarla. Non aspettarla. Le ho parlato. E’ una donna che ha sofferto molto e credo abbia paura anche solo di conoscerti. Devi pensare a te. Forse un giorno troverà il coraggio di rischiare e verrà a cercarti. Ma adesso non è pronta. E forse nemmeno tu.”

mercoledì, aprile 16, 2008

un post per Archie (l'unico che capirà..)

sono reduce da una chiamata con un amico.
io con fring su iphone (fatta sia via wifi verso il mio router che via edge), lui con skype su psp collegata via wifi al router. una figata...
archie, la fine degli operatori mobili?
;-)
tec
ps: dai gughi, spara il tuo solito commento...

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quando non voglio pensare

già il pensare mi viene difficile...

in ogni modo, il metodo più veloce per scappare quei pochi minuti dalla realtà non è ingurgitare uno xanax (cosa peraltro da non trascurare, ma con non pochi effetti collaterali), ma farsi un giro su flickr.
Mi piace partire da una ricerca a caso (normalmente ha a che fare con apple... ma qui si va sul personale) e poi saltare di foto in foto, senza alcun nesso: da una foto ad un'altra, da un utente ad un altro e perdermi nei meandri della vita della gente che manco conosco. C'è gente che fotografa di tutto... e lo mette lì. E allora ti domandi cosa ci faccia un tizio da starbucks con il computer a chattare, un caffè (o pseudo tale) e un chocolate chip (buonissimo, direbbe connie), e dopo pochi secondi ti perdi in un paesaggio della california settentrionale e immagini come potresti vivere laggiù (o lassu')...

tec

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martedì, aprile 15, 2008

Considerazioni varie

1. la lista pazza è andata male, malissimo, ma lo prevedevamo...

2. il risultato complessivo è (apparentemente) buono: chi ha vinto ha vinto bene, con ampia maggioranza, i senatori a vita possono riposare, ci sono solo 5 partiti, non ci sono più i fascisti, i socialisti, i rifondaroli, i comunisti, gli antagonisti, insimma tutti gli estremisti amici di Hamas.

3. l'esperimento del PD non è andato malissimo, solo non è decollato: ha rubato i voti a sinistra, ma non ha preso i voti moderati del centro (e come avrebbe potuto, del resto?)

4. gli elettori hanno detto che al governo ci vuole Berlusconi

5. Gughi conosce, praticamente, tutti gli elettori di centrosinistra di Milano e dintorni...

6. ora speriamo in una solida affermazione di Moose

lunedì, aprile 14, 2008

Gughi... arsura...

quando mi offri la birra?
;-)
tec

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In attesa dei risultati.../3

Vorrei sottolineare che nel mio comune siamo anche in attesa dei risultati delle elezioni amministrative...

si dà il caso che la sottoscritta sia candidata al consiglio comunale...

domani pomeriggio avverrà lo spoglio, se non mi sentite più (non che fino ad ora mi abbiate sentito chissà quanto) sappiate che sarà perchè dopo aver subito un'umiliazione ricevendo un solo voto (il mio) sarò scappata alle hawaii...
penso che aprirò un baracchino nei pressi della spiaggia e venderò risotto alla milanese...

Aurelio

In attesa dei risultati.... /2

un commento a margine delle elezioni.

E' stata una campagna elettorale da schifo.. basti pensare che tra Gughi ed il sottoscritto, non è scoppiata la solita bagarre...
Al di là del fatto che trovo indecente che non si sia fatto alcun confronto diretto fra Super-silvio e Tristezza-valter, i toni, alzati solo dalla lega (fucili, manifesti con gli indiani d'america...), i soliti refrain, qualche timido tentativo di gente da prefisso telefonico (boselli, casini..).
Io sono deluso, deluso perchè i programmi di PD e PDL sono fotocopie...
L'unica voce fuori dal coro solito, quella di Big Giuliano... che però al di là della lodevolissima campagna sulla 194, non copriva tutte le necessità di una proposta elettorale completa.
Che altro dire?
che accetto la scommessa con Gughi... e basta, stasera mi sparerò tg5, tg1 e skytg alla ricerca del "ho vinto io.." nella speranza di godere delle facce sconsolate dei bertinotti, sinistrorsi estremisti, pecorariscani e così via...
tec

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In attesa dei risultati....

Nel mio piccolo ho scoperto che:

Alcuni che hanno sempre votato Silvio, per un qualche motivo non voteranno.

Alcuni che lo hanno votato in passato, lo rivoteranno ma con il mal di pancia.

Alcuni che avrebbero votato la sinistra radicale, si sono turati il naso ed hanno votato Pd (io ho fatto la mia parte ed ho convinto un collega a votare almeno Di Pietro).

Chi ha votato Ulivo o Ds in passato, rivoterà Pd.


Che risultato aspettarsi?

Poche ore ancora...

sabato, aprile 12, 2008

Due!

Augurissimi Matteo!

martedì, aprile 08, 2008

il tec e dieci giorni con l'iPhone - recensione

arrivo tardi, lo so: c'è gente che ce l'ha da mesi... ma vorrei condividere con il conci la mia esperienza con il telefono che cambia il mondo (un po' forte, eh?).

l'oggetto è bello. non esiste un altro modo per dirlo. tutti i telefoni che ho avuto, e tutti quelli che avrei voluto (che poi a dire il vero sono pochini perchè li ho avuti tutti) erano carini, bellini... ma belli così no. La sensazione di solidità che l'iPhone ti trasmetta non è eguagliata da nessun altro device.

lo schermo sembra quello di un televisore HD: sia che si stia per telefonare, guardando internet, leggendo la posta, la sensazione è piacevole.

il sistema operativo, benchè (per modo di dire...) crackabile facilmente (partitoni a biliardo e flipper in aereo), e' veloce e robusto.

scrivere col touch screen, cosa che già avevo provato con l'ipod touch richiede un certo adattamento: ma il suggeritore fa il suo porco mestiere.

ho qualche problema coi settaggi dell'apn di tim, ma questo è un problema mio: non voglio finire sull'apn settato in automatico dal telefono e sto smanettando per bypassare la cosa.

e' scomodo in auto: col blackberry si riesce a scrivere senza guardare il device, così come col nokia. con l'iphone non ci sono riuscito.
per l'utenza business forse non è adatto: rimane la discriminante di cosa si aspetta l'utenza business (io col bb ci leggo le mail, ma dovessi leggere un allegato mi sparerei... cosa che col nokia non capita).

chi poi si diverte con ssh e qualche editing xml, può modificare le impostanzioni con un editor e provarle al volo (son piccole soddisfazioni di noi tecnologi)

insomma, è IL telefono non ci sono santi... bach: che cosa aspetti?
(connie aspetta che esca in italia... male! molto male!)

tec

Sent from my iPhone

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lunedì, aprile 07, 2008

Corri!

Il generale, vecchio e zoppo, si appoggia con il bastone alla fredda sabbia spazzata dall’oceano e dai proiettili dei tedeschi. E’ riuscito con l’inganno a seguire i suoi uomini. La spiaggia è sbagliata. L’equipaggiamento è sbarcato altrove. Nessuno ha la mappa del terreno, cosparso di insidie, campi allagati e trincee nemiche, che si estende da li alla città che devono conquistare entro poche ore. Il generale non si volta mai verso l’oceano. Non cerca aiuto o lancia recriminazioni verso le navi che lo hanno appena sbarcato sulla spiaggia sbagliata. Il generale ha capito. Ed infatti, gli occhi che già contemplano l’elenco degli uomini che cadranno e delle pene che i vivi subiranno, dice: “Qui siamo sbarcati. E la nostra guerra inizia qui…proprio qui…”

Questa è la vita. Riflette Aurelio ripensando a quel vecchio film di guerra. Non decidiamo noi le battaglie. Non decidiamo noi dove, con chi combatteremo e per cosa combatteremo. E non decidiamo noi nemmeno quando. Possiamo solo sapere che anche per un generale zoppo e a fine carriera può presentarsi, in una spiaggia invasa da uomini disorientati e terrorizzati, l’occasione del riscatto. E’ questo che spera Aurelio. Che per quanto in basso si possa scendere la vita, nella sua beffarda generosità, ci presenti una vaga speranza di riscatto cui aggrapparci.

E’ quasi buio. E’ tardi. Marianna non dovrebbe trovarsi ancora qui. E’ uscita tardi dal lavoro ed ha iniziato a correre che il sole strava per scomparire dietro il tendone del PalaSharp. Aurelio si sente in colpa. E’ li per correre ma anche, spera e teme Aurelio, per trovare il messaggio nella fenditura della sbarra.

Quanti giorni sono trascorsi così?

Aurelio non saprebbe dirlo.

Marianna, quando giunge alle sbarre scrostate, osserva con attenzione l’angolo, la sottile fenditure nell’acciaio. Cerca il biglietto che Aurelio le lascia ogni volta che lei va a correre. Vedere Marianna che cerca il biglietto, vederla sorridere, porta ad Aurelio una sensazione dimenticata. Marianna non risponde mai a quei brevi messaggio. Si limita a guardarsi intorno cercando segni di quello sconosciuto ammiratore senza mai vedere nessuno. Nessuno, se non Aurelio, che ormai ha amaramente compreso di non rischiare nulla mostrandosi a Marianna nei pressi delle sbarre di ferro dipinte di azzurro.

Un giorno Marianna, con aria ansiosa, dopo averlo osservato per qualche istante, ha camminato decisa verso di lui. Il cuore di Aurelio ha iniziato a battere come se volesse spaccare la gabbia toracica. Una sensazione di ebbrezza, una perdita del senso della realtà, si è impadronita sempre di piu’ di Aurelio ad ogni passo compiuto da Marianna. La sensazione, l’euforia e il terrore, di essere stato scoperto. Un possibile inizio. All’improvviso Marianna si è fermata. Come sospesa, indecisa sul da farsi. Ed è tornata verso le sbarre riprendendo gli esercizi.

Aurelio ha temuto che volesse semplicemente domandargli se avesse ha visto qualcuno lasciare un biglietto.


Le lampade, sino a poco prima gocce di fredda luce diluite nelle onde rossastre del sole al tramonto, ora iniziano a trasformarsi in piccoli globi luminosi. Oasi, nel gelido buio sceso come una cappa sugli alberi ancora spogli e sulla terra fangosa. Marianna corre. Ha fretta di arrivare alle sbarre ed andare a casa. Aurelio lo capisce dal passo. Dall’irregolare intensità con cui nuvole di vapore avvolgono Marianna nei pressi dei lampioni. Dalla testa piegata in avanti nello sforzo di respirare aria troppo fredda per correre e dalle mani che si aggrappano ai polsini della felpa blu per ripararsi dai rigurgiti di gelo degli ultimi giorni di inverno.

Aurelio, mentre la aspetta, nascosto nella piccola valle tra il bocciodromo e la montagnetta, vede la berlina nera che risale verso i panettoni di cemento. I vetri posteriori oscurati e la targa rumena. Prima che le porte si aprano, la luce di cortesia si accende all’interno della vettura. Tre uomini, la giacca di pelle nera aperta, scendono per incamminarsi verso la zona pedonale. Marianna compare ora sul sentiero. Non può vedere i tre uomini perché nascosti dietro il terrapieno. Se li vedesse proverebbe la stessa sensazione di paura che ora prova Aurelio, immobile. Se li vedesse scapperebbe. Il passo deciso, la mano di uno dei tre che pare controllare qualcosa infilato nei jeans scuri, la torcia che uno dei tre accende ed immediatamente spegne come per provarla, tutto spaventa Aurelio. Tra loro e Marianna non c’è nulla. Ed infatti, appena la vedono, le mani che tastano il gelido tubo azzurro in cerca del biglietto, iniziano ad urlare frasi le cui parole sono incomprensibili ma il cui senso, nella brutalità e nella sguaiatezza dei suoni gutturali, è chiaro. Marianna, come chi sa di aver intuito un pericolo ma che teme di scatenare quello stesso pericolo fuggendo, cerca di ignorare quei tre uomini che ora paiono aver cambiato direzione. Aurelio, ancora paralizzato da un gelo che dal ventre è scivolato verso le gambe intorpidendole, la vede cercare con gli occhi qualcuno. Qualcuno verso cui urlare o da cui rifugiarsi. Forse, sente Aurelio, l’autore dei biglietti.

I tre, come se ubbidissero ad un unico cervello, si aprono a ventaglio tagliando ogni via di fuga di Marianna verso la strada e la luce. Addentrarsi nel buio alle sue spalle equivarrebbe ad una condanna. Forse non vuole credere a quello che sta accadendo. Forse vuole ancora sperare che ne uscirà. Che non sta capitando a lei. E quindi non corre. Forse, stima Aurelio dalla sua posizione, potrebbe sfuggire a quei tre che non paiono attrezzati per starle dietro. Ora Marianna è chiusa tra i tre uomini e le sbarre azzurre. Uno dei tre la afferra per il ventre e la stringe a se. Marianna scalcia e sbraccia cercando di svincolarsi. Urla. Una mano le strozza in gola le richieste di aiuto. I tre, tenendola stretta, la trascinano verso il cuore nero della montagnetta. Verso le valli in cui, di notte, nulla è visibile.

Non scegliamo noi dove, quando, contro chi o che cosa e per cosa siamo chiamati in battaglia. Questo pensa Aurelio. Estrae il cellulare dalla tasca della giacca e richiama l’ultimo numero chiamato. Stringe il cellulare in mano ed inizia a correre. Un urlo sfugge alla mano che soffoca la bocca di Marianna. Aurelio corre piu’ forte. Si porta il telefono all’orecchio e continua a sentire il suono di libero. “Rispondi…rispondi…”.

Mentre corre pensa cosa fare. Potrebbe urlare per spaventarli e costringerli alla fuga. Il rischio è di perdere l’unico vantaggio che ha: la sorpresa. Arriva sul sentiero che ha inghiottito Marianna. Eccola, dietro la prima curva, costretta a forza nell’erba fradicia qualche metro sopra il livello del sentiero. Due uomini si affannano per tenerle le braccia, le gambe e la bocca chiusa. Il terzo, con la torcia che illumina la scena, si slaccia i pantaloni. Non lo hanno ancora visto o sentito. Aurelio, il cellulare ancora stretto in mano, si arrampica, cercando di fare meno rumore possibile, sul declivio. Giunto qualche metro sopra la posizione in cui si trova Marianna, si slancia verso valle come una bomba. I muscoli tesi, le braccia aperte, spicca un volo. Sa che l’unica possibilità che ha è quella di atterrare tutti e tre gli uomini. Sorprenderli e regalare a Marianna una frazione di secondo per permetterle di correre. Scappare.

Quando ha capito che tutti i tre sono sulla sua traiettoria, che riuscirà a farli rotolare per qualche metro, urla: “Coooooorriiiiiiiiiiiiii!”.

Il sapore del sangue in bocca. Il dolore lancinante alla spalla. Le bestemmie e le imprecazioni dei tre e i tre corpi che rotolano pesantemente con il suo sino all’impatto con la ghiaia qualche metro piu’ sotto. Con le mani doloranti cerca di trattenere il piu’ possibile i tre uomini. Con le gambe scalcia cercando di far male e rialzarsi per lottare ancora. Nella nebbia pulsante che è calata sui suoi occhi riesce distinguere Marianna che corre. Corre veloce come sa. Con una mano Aurelio afferra il piede di uno dei tre che si è gettato all’inseguimento. Sono solo poche decine di metri. Basta darle pochi secondi. “Corri…corri Marianna…” Questo pensa Aurelio vedendola girarsi verso di lui poco prima che un calcio si abbatte sul suo fianco ed un pugno crolli proprio dietro il suo orecchio destro. Piu’ pugni arrivano, piu’ calci affondano nelle sue costole piu’ Aurelio si convince che Marianna ce l’abbia fatta.

I colpi all’improvviso si fermano. I tre uomini, Aurelio conta quattro scarpe di fronte ai suoi occhi piu’ una che affonda ancora nella sua schiena, si scambiano parole rabbiose e cariche d’odio. Uno dei tre pare che lanci un comando. Aurelio, ormai impotente, sente un rumore metallico.

Riconosce, prima ancora che il suo cervello scavi nella memoria, il rumore del carrello di una pistola semi automatica. Il rumor che fa una pistola, armando il cane, prima di sparare. Aurelio si stringe sperando che il terreno lo inghiotta. Stringe gli occhi aspettando il colpo. Immagina arrivi al petto. O forse gli fracasserà la testa. Si sforza, mentre i tre parlottano, di pensare a lei. Di pensare che alla fine una possibilità di ricatto gli è stata data. Che tutto ha avuto un senso. Che tutta la sua vita, ogni giorno, ogni istante, ogni precipizio in cui è caduto, ha avuto un senso. Nulla è andato sprecato. Ha avuto la sua possibilità e l’ha sfruttata. E’ con l’anima leggera che aspetta la morte. Ha persino il tempo di stupirsi di quante cose si possano pensare in così pochi istanti prima di sentire lo sparo e una pressione improvvisa e violenta allo stomaco. Poi la sensazione che la vita, come da una bottiglia di latte rotta, stia scivolando via svuotandolo.

Poi una luce blu…il rumore di un motore…portiere che sbattono ed un uomo che urla…

“Butta quella cazzo di pistola….”

domenica, aprile 06, 2008

Per riflettere

Sul Corriere di oggi c'è un articolo relativo ad un sondaggio della Gallup svolto in 35 paesi.

Una breve riflessione...

http://www.arabnews.it/2008/03/14/chi-parla-in-nome-dellislam/


Guglielmo

sabato, aprile 05, 2008

Le Ananas

Come già detto il Professore, detto il “cigno del Musocco”, è stato iscritto ad una scuola calcio. Nell’ultimo allenamento, durante la partitella finale, Riccardo ha fermato con le mani la palle che sfuggiva verso l’out e poi, con grazia felina, ha ripreso la corsa sulla fascia. I suoi compagni, incitati dall’arbitro, lo hanno duramente rimproverato. Lui, candidamente, ha replicato. “Ma stava uscendo!”.


Dopo essermi consultato con i massimi esperti di calcio del mio ufficio, ho ritenuto necessario che Riccardo avesse un paio di scarpe adeguate. Giovedi, per fargli una sorpresa, ho caricato tutti in macchina con direzione un grosso negozio sportivo. Ho portato il Van Basten del nuovo millennio di fronte alla parete delle scarpe da calcetto ed ho iniziato una seria valutazione.

Mentre io analizzavo materiali e qualità, Riccardo si è gettato su un paio di scarpe che per 19 euro garantivano un look estremo (bianche con inserti viola, velcro al posto delle stringhe e suola da sbarco su Marte) ma qualità discutibile. Per 29 euro potevamo invece portare a casa un paio di prestigiose Adidas in pelle morbidissime e robuste. Volendo preservare il piede del Michelangelo del nuovo millennio, ho cercato di ricondurre la sua scelta sulle Adidas (nere con bande bianche).

Ormai stremato dalla trattativa (ed essendo un democratico) ho giocato l’ultima carta.

Brandendo un pallone del Milan marchiato Adidas gli ho detto:
“Ricky, sono le Adidas di Kaka! Vedi che è lo stesso marchio?”

Il nostro eroe, stuzzicato dal nome del campione, ha subito ceduto. Il corredo del virgulto è stato arricchito con due paia di calzettoni ed un paio di pantaloncini.


Ieri mattina, mentre lo portavo all’asilo, Riccardo mi dice:

“Belle le mie scarpe...”
“Belle si!”
“Oggi lo dico ai mie compagni delle scarpe...”
“Cosa gli dici!”
Cantilenando ha risposto: “Gli dico che ho le Ananas di Kaka: il portiere del Milan...”

Il dio mercato ed il dio profitto

Mercato e profitto sono le due divinità del nostro tempo. Gli illuminati liberali del nostro tempo, a seconda della convenienza, invocano l’uno e l’altro come regolatori supremi delle questioni economiche. Il mercato ed il profitto sono i migliori regolatori ed i migliori allocatori delle risorse (capitale, risorse naturali, lavoro) disponibili. Questo è il credo.

Ma non sempre è cosi. Se qualche banca in Gran Bretagna o negli Stati Uniti, patrie indiscusse del Mercato e della libera impresa, rischia il fallimento lo stato, tramite la banca centrale, si fa carico di perdite faraoniche ( vale per tutti il caso di Bearn Stearns 29 miliari di usd e Northern Rock in Uk per 25 miliardi di sterline). Queste perdite vengono poi riversate sul pubblico e quindi sui cittadini.

Le motivazioni che spingono a questo onerose operazioni vanno ricercate nel rischio che tracolli di grandi banche inneschino una reazione a catena che, in sostanza, faccia collassare l’intero sistema finanziario con ripercussioni tutte da studiare.

Sarebbe bene che le Banche Centrali, e gli altri organi preposti, impedissero a queste società di effettuare operazioni (derivati, prestiti selvaggi) che mettano a rischio la loro stabilità e quelle di migliaia di famiglie ed aziende “costrette” ad indebitarsi e a utilizzare strumenti finanziari incomprensibili e capaci di amplificare in maniera esponenziale normali oscillazioni di mercato.

Questo non è stato fatto. Senza alcun controllo, e malgrado numerosi allarmi, il mercato del credito, i prezzi delle case e l’utilizzo di strumenti derivati, sono lievitati in maniera esponenziale creando le condizioni per un crollo dalle conseguenza devastanti.

Perchè si è permesso che queste banche, insieme ad altre ancora piu’ spregiudicate, si arricchissero a dismisura, indebolendo il sistema economico, innescando spesso speculazioni e bolle nell’economia reale e nella finanza per poi scaricare debiti e rischi sul pubblico? I guadagni macinati negli anni sono stati distribuiti nel management e tra gli azionisti perchè ora devono pagare i cittadini?

Un discorso simile vale per Alitalia.

Negli corso degli anni, grazie alla complicità dei sindacati e delle forze politiche (di ogni bandiera e colore), Alitalia è stata trasformata in un carrozzone da utilizzare per favori politici e di vario genere. Ora pare che l’unica soluzione sia un ulteriore salasso per le casse pubbliche.

Ora le soluzioni sono due: il mercato (Air France o fallimento) o l’aiuto pubblico (Stato o la mitica cordata. “Almeno una fiche” dice Silvio inconsciamente denunciando l’azzardo dell’operazione).

Strano che la destra, fautrice del libero mercato, si rifugi in una ipotetica cordata che, credo, avrebbe come scopo quello di mantenere lo status quo. Il controllo resterebbe in mani italiane e consentirebbe gli eterni giochini e gli eterni scambi. L’ingresso di Air France, per quanto doloroso e traumatico, consentirebbe di salvare il salvabile e di valorizzare ciò che di buono c’è ancora in Alitalia. Se davvero Air France mettesse in atto strategie tese a penalizzare l’Italia, si aprirebbero spazi sul mercato che altri vettori (o la mitica cordata) potrebbero riempire. (Nota a margine: in un Paese normale le oscillazioni di Alitalia in borsa avrebbero meritato qualche indagine degli organi preposti)

Per ciò che riguarda i sindacati credo che, facendosi carico delle responsabilità nelle precedenti gestioni, dovrebbero mostrare piu’ realismo e comprendere che Air France, probabilmente, è l’ultima chance.

Come pare abbia detto Spinetta ripartendo per Parigi “Non è pensabile che Air France si sostituisca allo stato padre che sino ad oggi ha assistito Alitalia."


Gughi

venerdì, aprile 04, 2008

il sindacato scricchiola

Che non ami il sindacato, è cosa nota. Che lo ritenga anche inadeguato a impicciarsi della gestione aziendale, va di pari passo. Nella mia precedente esperienza lavorativa ho avuto a che fare, in modo indiretto, per loro fortuna, con questi qui.
Al di là del non distinguere un'impresa di produzione da una di servizi (compagni, il fatto che entrambe abbiano il contratto metalmeccanico, non vuol dire che seguono le medesime logiche...), l'arroganza con la quale si ponevano nei confronti dell'azienda era da vergogna.
Finchè il sindacato si limita a proteggere un (UN) lavoratore, ha un ruolo importante ci mancherebbe... ma quando va oltre e vuole proteggerli tutti, beh, lì casca l'asino. cercando di salvarli tutti (come?) non riesce a salvare il salvabile...
e lo si vede con alitalia. al di là delle 9 sigle ammesse alla negoziazione, che non sono nemmeno capaci di mettersi d'accordo, le uscite di alcuni di loro ("meglio il fallimento, di air france"), hanno dimostrato la totale inadeguatezza del ruolo dei sindacalisti...
Io spero che la lezione alitalia, venga raccolta da qualcuno. e che questo qualcuno ne RIDIMENSIONI per legge il ruolo. se poi questo qualcuno me lo facesse sapere entro domenica prossima, si cucca il mio voto.
tec

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martedì, aprile 01, 2008

Un cordiale saluto e un caloroso ringraziamento

Il Conciliabolo inizio' tre anni fa.
C'è gente che si è spostata, ha acceso un mutuo, ha fatto figli... contributors che sono arrivati, rimasti, andati, tornati.
Il Conciliabolo ha finito però la sua verve. Gughi è astioso, acido... quando si va a toccare certi argomenti, il connie sputasentenze a raffica. il bach, schiacciato dal grande passo che sta per fare (da anni, oramai) posta poco o nulla. l'architetto, beh, si sapeva sin dall'inizio. fracanappa, dopo una fiammata incredibile, s'è spento come un cellulare vecchio. Moose non s'è mai vista. e io non ce la faccio più.
i nostri visitatori diminuiscono, i google adsense, che ci garantivano una birra (piccola) all'anno, ora ci impiegano 20 mesi.
E' la fine di un ciclo, cari miei. Ho deciso: CHIUDO IL CONCILIABOLO.
Lo lascio on line ancora 24 ore, per permettervi di backup-are tutti vostri post (ne ho in ogni modo una copia nella mia mail). poi cancellerò per sempre questa bella esperienza.
Grazie a tutti.
tec
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