venerdì, luglio 29, 2005

Il Mondo dall'alto

Google (io scrivo sempre Goggle e finisco su un sito di bancali...) ha fornito un servizio che permette di vedere il mondo dall’alto (già segnalato su questo Blog, ma si sa che io arrivo sempre dopo...) http://maps.google.com/

Alcuni hanno denunciato che questo servizio potrebbe essere di aiuto per organizzare attentati, altri che segnerebbe la fine dei viaggi e dell’amore per la scoperta.

Ed invece...

Invece permette di esplorare angoli di mondo. Permette di vedere paesi dove siamo stati e dove sogniamo di andare. Di vedere dove si sono svolte le epiche avventure di Morgan, le battaglia di Napoleone e lo sbarco in Normandia.

Si può vedere Mont Saint Michel e la zona della marea, il canale di Suez e quello di Panama.

O semplicemente vedere la via dove lavoriamo.

Ho dato un’occhiata dal cielo al Parco delle Cave dove spesso vado in bici girando per sentieri che ricordano folti boschi.

Dall’alto quei quattro laghetti sembrano parenti del lago Vittoria ed anche Milano sembra un posto dove poter vivere avventure...


Guglielmo

14 novembre 2000

Visto che Guglielmo si lamenta del fatto che lo considero un traslocatore più che un amico, rispolvero una mail del 14 nov 00, una vita fa!
Leggere con attenzione la parte in grassetto.
(Gughi, se vuoi cancellare qualcosa fallo pure...)
Tec
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Fin da bambino ho avuto un rapporto epico con le biciclette. Ne ho avute diverse. La prima: la mitica Ondina. Avevo 5 anni. Venne venduta anni dopo. Piansi lacrime amare.Ho fatto diversi incidenti di diversa portata. Ma, essenzialmente, non ho mai capito il loro funzionamento. Il cambio è un fenomeno esoterico. La pressione del pneumatico un evento miracoloso. Non sono mai riuscito a gonfiarne uno a dovere. Ho anche chiesto ad un riparatore "ma qual è pressione esatta di un pneumatico di mountain bike?" mi ha guardato come se gli avessi chiesto almeno parte della teoria dei quanti. Le riparazioni...ma come cacchio fai a tappare il buco di una camera d'aria con colla e pezzette di plastica? uno solo di voi che ci è riuscito mi contatti e mi spieghi. Ho ricoperto il copertone di colla e pezzette e l'aria usciva lo stesso. Ora, appena si buca una camera d'aria, ne compro una nuova. L'ultima, in realtà anche la prima, l'ho comprata con il mio amico Tec. Questi si spaccia per un ciclista. In effetti ogni occasione(natale, compleanno, cresima, battesimo...) gli regalo pezzi di bici, magliette, guantini, contachilometri ma mi chiedo se poi li usi. Che sia feticista???Si veste da ciclista in casa e simula Tappe pirenaiche sui divani??? I fatti: entriamo da Longoni Bike io e lui. Io in mano ho una camera d'aria sporca e unta. La tengo come Indiana Jones terrebbe un pitone. Lui un pò si vergogna ma è abituato (in cambio, ogni volta che deve fare un lavoro pesante, mi contatta...credo che nel suo schedario classifichi gli amici per peso, altezza e livello intellettivo. Io sono nello schedario prima degli Oranghi: basso livello intellettivo ma ottima propensione al lavoro pesante. L'ultima volta mi ha fatto portare dal 7 piano di casa di suo nonno un frigo enorme ed una cucina a gas. Mi ha chiuso in ascensore da solo con i suddetti e me li ha fatti caricare su di un furgone(gli voglio bene lo stesso...)...alla fine mi ha colpevolizzato per alcune righe sul marmo del pavimento frequento sedute di un pranoterapeuta per liberarmi dal rimorso a tutt'oggi...). Nel mio schedario lui è alla voce: amici con competenze di bicicletta, colpi di stato, armi, Sas, storia...ha altre competenze ma, per pudore, non posso citarle. Mi fido di lui. Da Longoni millanta conoscenze tecniche. Si intrattiene 15 minuti con un giovane venditore discettando di freni all'uranio impoverito da bicicletta. Tergiversa con lui su ruote lenticolari al plutonio e sugli effetti del vento del Ghisallo( ha una foto con lui di fianco alla famosa Madonna...ma credo sia un fotomontaggio...). Si cinge il capo di copertoni dicendo che così usa tra i Maori ciclisti. Saltella per il negozio cantando "arriva Gimondi con gli occhi rotondi la maglia stracciata la ruota bucata...." e si cosparge il volto di grasso da catena. Si riavvicina al giovine e quasi acquista i freni all'uranio e le ruote al plutonio. Estrae la carta di credito. Si finge poco convinto...lo richiamo all'ordine...dobbiamo comprare la camera d'aria...alla fine me ne acquista una lui. Mi scoraggia dall'acquisto di una borraccia bellissima definendola poco idrodinamica...torno a casa ed installo il pezzo. Ma che cazzo di camera d'aria...un nuovo modello con doppia chiusura. neanche a dirlo due pompate ed è divelta la valvola. Ha retto, malgrado le deformazioni procuratele, per un pò. Ora, al mio ennesimo tentativo di trovare una pressione adeguata, cede clamorosamente lasciandomi la valvola in mano. Mi viene da ridere ma è un riso isterico. Vorrei avere tra le mani nell'ordine: Tec, Longoni, Pirelli, Michelin, Dunlop e Gimondi.
Sabato pomeriggio. interno box. Con prudenza cerco di cambiare la camera d'aria della ruota posteriore. Prudenza vuole che non tolga la ruota per evitare penosi lavori per rimettere all'opera il cambio...(a proposito Tec come si fà???). Cerco di riparare una vecchia camera d'aria vittima di una spina di rosa: nulla...mentre quasi mi appresto ad aprire una nuova confezione appare il mio peggior incubo...:Sandrone. Cerco di chiudermi dentro il box appena sento al porta dell'ascensore che si apre. Potrei fare il morto ed attendere la notte. Mi scopre. E' in ciabatte, l'aria assonnata. Ha il giubbotto per le emergenze meccaniche. "Che cazzo di casino c'è per terra???". in effetti ci sono dei tappini ed una pompa...un operaio specializzato porta ordine ed illumina a giorno la stanza. Vengono dettate le regole. La principale(come il terorema di Pitagora...)è sempre uguale: l'operaio non capisce un cazzo."E' questa bucata???" strappa la ruota posteriore dal mozzo.. Trattengo un rantolo. Sventra il copertone ed estrae la camera d'aria. "Si può riparare..."armeggia con una pinza. Io lavoro sulla vecchia camera d'aria bucata. Mi guarda come guarderebbe un cetaceo spiaggiato sulla costa della bassa California: con compassione. "Riparata..." Provo a gonfiare. Niente. La colpa: di quella cazzo di pompa da me comprata. Troppo piccola. "ma chi te l'ha venduta....?" "Il ciclista sotto casa della nonna..:""Bellla......"la getta di lato e prova con una estratta da chissà dove...niente. Sventra la scatola con l'unica camera d'aria nuova in mio possesso. Acquisto effettuato al decathlon per 7640 lire. La valvola è troppo grossa, non entra nel cerchione. Lancia uno sguardo che deve essere stato quello di Magellano di fronte all'oceano Pacifico: sfida..."Allarghiamo il buco nel cerchione....""Con cosa??"la risposta sarebbe censurata..."Pà la camera d'aria costa 6000 lire il cerchio almeno 50.000...vale la pena???esco e ne compro un 'altra...""così ne compri un'altra che non c'entra un cazzo...ma hai letto prima di comprarla...??l'hai comprata con quella pompetta da mongoloide...???"dissimulo imbarazzo...la pompetta è concepita per la mia bici...non capirebbe...lo prego di fermare il suo folle intento..."Questa è la camera d'aria giusta...le altre sono grandi non vedi???non capisci un cazzo...quando ero bambino se avessi comprato una camera d'aria ogni volta che si bucava non mi sarebbe bastato un padre miliardario...."Cerco di fermarlo fingendo un attacco di cuore....niente...pochi istanti e le fondamenta tremano di un trapano idrauilico a pressione...(il massimo del fai da te...credo ne esistano due modelli. Uno lo usa la NASA per le esplorazioni su Giove....) Torna. Buco perfetto. Cosparge il cerchio di borotalco. Lui seduto su uno sgabellino lavora calmo. Io, in piedi, do segni di stanchezza e tensione."E stai un pò fermo e che cazzo..." La valvola entra ma...non ha la vite per essere bloccata...non c'entra un cazzo...provo a gonfiare...niente...le dimensioni della camera d'aria sono sbagliate...comincio ad innervosirmi..."hai comprato una camera d'aria del cazzo e questi sono i risultati...."la colpa non è sua che ha bucato il cerchio adattando la camera sbagliata...è mia che l'ho comprata...comincio a vaneggiare....Provo a rimettere la ruota nel mozzo...la catena salta...si allontana convinto della mia stupidità...io vedo lo scontrino del ciclista che si materializza davanti agli occhi....questa volta(la prima a dire il vero.....)Sandrone ha toppato...ho preso la cazziata di rito ma il problema sussiste...
Mi immagino a spiegare al ciclista riparatore:"vede la camera non entrava allora con un trapano idrauilico a pressione..., sa, il massimo del fai da te,...credo ne esistano due modelli. Uno lo usa la NASA per le esplorazioni su Giove...., abbiamo fatto un buco nel cerchio per inserire la camera d'aria....ma era sbagliata..."lo vedo mentre racconta la storia a tutti i suoi colleghi all'annuale Convention dei riparatori di biciclette....(lo stesso ciclista l'ultima volta che gli portai la bici mi disse"Per forza non va bene...: non vedi quanto è zozza..."mi sentii come se mi parlasse della mia igiene personale...)

che bella serata!

Era da tempo che, con la donna che mi fece entrare in una chiesa celibe ed uscire ingabbiato, non passavamo una serata allegra e spensierata con amici di lunga data.
una cena luculliana: antipasto misto con prelibatezze degne della migliore nouvelle cuisine, fritto misto leggero e delicato. un vinello che andava giù dolce e soave.
e poi chiacchiere, racconti, risate e divertimenti.
è stata proprio una bella serata, l'altroieri, con mario e luisa!
tec

martedì, luglio 26, 2005

il pirata

l'ho visto varie volte, da vicino. anche in bicicletta.
se da un lato mi faceva impazzire quando con due colpi di pedale staccava tutti su salite tremende, dall'altro incorciandolo in posti "privilegiati" non mi ha mai colpito. mentre supermario era un gran caciarone, faceva casino, insultava, giocava, rideva... il pirata dava l'idea di essere sempre incavolato. anche prima di madonna di campiglio. lo ricordo nel 98, al quartier tappa del giro. lo ricordo alle milano-san remo... sempre la stessa impressione.

l'ultima volta che lo vidi fu nel 2002. ero con cassani a milano marittima. lui venne con parte della sua squadra per pedalare con noi. arrivò nella piazzetta dell'albergo su un suv. aveva il finestrino giù, la mano destra appoggiata alla guancia e guardava fisso il vuoto. scese, meccanicamente salutò qualcuno che conosceva (ex corridori, massaggiatori), fece una foto con un ragazzo, un sorriso a mezza bocca. lo sguardo nel vuoto. attorno a lui non più di venticinque persone. un applauso. un suo saluto. poi via in bici. nel silenzio rotto dal frusciare delle ruote che fendono il vento... ciascuno pedalando accanto ai propri fantasmi verso il destino.
tec

lunedì, luglio 25, 2005

La Madonna del Buscione

Il paese natio di mio padre, arroccato su una collina tra Lazio e Abruzzo, sembra che da un momento all'altro debba scivolare dalle rocce su cui poggia per essere inghiottito dal lago che, immobile, giace ai suoi piedi. Le case di pietre aguzze formano dei freschi budelli che si aggrovigliano lungo i fianchi della collina. Nel buio delle loro cantine sono conservati vini aspri e prosciutti saporiti. L'attività prevalente è l'agricoltura. La cucina è una religione: le grasse carni di pecora cotte sulla brace sono deliziose. E' un paese che si è lentamente dissanguato ma che in estate si ripopola. Giovani ed anziani tornano al paese natio illudendosi di recuperare ciò che è perso per sempre. Il cuore di questo paese, dove tutti sono parenti (una volta ho parlato dell’Olimpia Milano con un ragazzo per 45 minuti ed alla fine ho scoperto che eravamo cugini di secondo grado), è la piazzetta: un balcone di pietra che si slancia verso la vallata ed il lago. E’ come un enorme palcoscenico tra cielo e lago dove si consumano gioie e drammi. Palcoscenico dove ama recitare mio padre e dove gli ho visto eseguire una delle sue migliori performance…

E’ un lontano agosto di quasi dieci anni fa. La piazzetta è rinfrescata da una brezza che scende dai monti. Sotto gli archi di pietra lucida e polverosa i vecchi del paese sostano, in cerca di refrigerio, su malconce sedie portate da casa. I giovani flirtano sulle panchine di ferro graffiate da anni di amori ed insulti. I loggionisti ( i fortunati che posseggono una casa che si affaccia direttamente sulla piazzetta) siedono sugli scalini di casa o si appoggiano alle ringhiere dei balconi. Due lampioni illuminano malamente le figure che si muovono tra ombre e luci. Una luna enorme fa impallidire i volti degli astanti. La piazzetta si trova nell’ultimo anello di strada che come un’aureola si posa sulla sommità del paese. Su quella circonferenza, nel punto diametralmente opposto, scavata nella roccia nera c’è una piccola grotta. All’interno la devozione popolare ha voluto collocare una madonnina dalle vesti bianche ed azzurre. Per tutti è la Madonna del Buscione (Il buco, la grotta, nel quale è posta la statua). Sono circa le dieci è l’aria è già frizzante. Sandrone salta da parte all’altra della piazza. Suscita ricordi riempiendo di nostalgia per l’infanzia e la gioventù coetanei ed anziani.

Ad un certo punto, sulla roccia su cui sorge l’unico palazzo del paese, nota un fiotto d’acqua che scivola verso lo scolo scavato sulla strada. E’ un infiltrazione da niente quasi inspiegabile visto che non piove da giorni. Ma il paese, come detto, è costruito sulla pietra e per qualche gioco geologico l’acqua sotterranea ha deciso di uscire da li.

Lo osserva ben bene e poi, come se stesse parlando tra se e se ma prendendo una posa che lo fa balzare agli occhi di tutti, chiama a se un amico d’infanzia ,complice fidato.

“Domenico…ma villa acqua loco da dove se ne reviè?”
“E che ne sacciu?” risponde l’amico che ancora non ha capito dove Sandrone voglia parare.
“Villo e nu miracolo…nu miraclo della Madonna del Buscione!”
“Dici Sa?” è mia nonna, che, ad alta voce, sposta l’attenzione di tutti su Big Sadrone (famiglia di istrioni la mia…)
“Che dice Sandro?” così i piu’ vecchi e distratti interrogano i giovani.
“Dice che villa acqua loco e nu miracolo della Madonna del Buscione…” rispondono sorridendo.
Qualcuno ridacchia per la fantasia del giovane immigrato ma ancora non ha capito gli sviluppi.
“Questa “ riprende mio padre “può essere la fortuna di Colle! Pensate…potrebbe diventare come Lourdes. La grotta la tenemo, la Madonna pure ed ecco il miracolo!”
Tutti ridono.
“Ci vorrebbe qualche miracolato. Zia Anita (una vecchietta malconcia che supera i 90) prova e berne un pochino. Magari mi torni a ballare come na ragazzina! Che dici?”
Anita ride. Qual nipote è sempre stato un mattacchione.
“Giovannittu, te pigli un sorsino d’acqua e ne ve a casa. Chissa mai che domani Bruna non mi aspetti il quarto figlio!”
Alcuni ridono altri si fingono scandalizzati.
“A Sa’” gli urla dall’oscurità Bruna, sua cugina “nun mettergli idee strane!”
Altre risate.
“Potremmo imbottigliare l’acqua e rivenderla. Apriamo un paio di punti ristoro per i pellegrini qui!” indica la casa di Mario.
“Anita tu affitti un po di camere per chi vuole restare a dormire!”
“E i torpedoni dove li mettiamo, urla qualcuno dalle panchine”
“Dobbiamo fare un parcheggio. Claudio non teni nu terreno inutilizzato giu al bivio? Ecco…li ci facciamo il parcheggio!”
“E i pellegrini come li portiamo fin qui? A piedi?”
“Con la funivia!”
“La funivia?”
“Certo.” Sandrone corre verso la ringhiera della piazzetta.
“Qui piazziamo i piloni! Stendiamo i cavi fino al bivio e mettiamo un paio di cabine che portano una ventina di persone! Il biglietto 2000 lire! Certo bisogna buttare giu’ un paio di case. Quella di Domenico ad esempio. Dome’ ce l’hai un posto dove anna’ a dormire?”
“A Sa, nun mette in mente idee strane ai regazzini!” Domenico un po inizia a preoccuparsi.
Intanto i loggionisti hanno chiamato familiari che sedevano davanti alla tv. Dalle vie adiacenti inizia ad affluire altra gente.
“Fabio”incalza mio padre, vai a chiamare il Sindaco che dobbiamo parlargli di questa idea!” Fabio parte.

Ormai il paese sogna l’ora del riscatto. Sogna che Colle sia citato insieme a Fatima e Lordes. Ognuno aggiunge un mattone. Sandrone continua ad incalazare vecchi, adulti e bambini. Boccia le proposte troppo ardite e premia con un applauso i coraggiosi che fanno proposte sensate.

Ed è in quell’istante, in quel preciso istante, che qualcosa accade: Qualcuno inizia a credergli.
“Ma scherza?” sento chiedere di fianco a me.
“E che ne so. Non ce sto piu’ a capì!” risponde qualcun altro.

Perché questa è la grandezza di mio padre: convincere la gente delle cose più incredibili.
Alla fine della serata, spenti i fuochi, qualcuno andò a letto tormentato dal dubbio.

Ancora oggi, nelle sere piu’ fresche, quando la piazzetta indossa la sua veste piu’ bella qualcuno dal loggione urla:
“A Sa’, raccontace della funivia…”


Gugliemo

due braccia al cielo


chissà perchè, ma io di lance armstrong ricorderò sempre questa foto.
era la tappa di limoges, forse il 21 luglio del 1995. stavo ripassando un esame che avrei avuto il giorno dopo.
ricordo che lui correva che sembrava avere 4 gambe.
che forse ha avuto questi ultimi 7 anni.
tec

domenica, luglio 24, 2005

Telefonia Mobile

La spiaggia è spazzata dal vento e dal mare che ribolle sotto la boa arancione. I bambini,i cappelli calati in testa, corrono felici schizzandosi. Le palette ed i secchielli giacciono nelle buche di sabbia scura. I padri corrono dietro ai figli parlando tra di loro di calciomercato, bombe e ristoranti della zona.

Uno squillo. Un padre scatta dal lettino su cui giaceva ed agguanta il suo Nokia.

“Pronto?”
“Ah, si…si…sono in ferie…NO!NO!NO! ci mancherebbe, mi dica. Si! Sono in Toscana…bello,bello…NO!NO!NO! sono qui tranquillo, mi dica, mi dica…sono qui tranquillo ed ho tutto il tempo che voglio…meglio di cosi!”

Si alza. Costume rosso e bianco. Maglietta blu con spalle bianche e numero stampato sul petto. Capigliatura rischiosissima: Ciuffo alla Superbone (ciuffo anni ottanta, ispido, e capelli tirati indietro sui lati. Andava fortissimo quando andavo alla medie. Poco dopo l’era Pablito…).

Il vento capotta il ciuffo da una parte all’altra e lascia intendere che ha potenza da vendere .

Temo che il Superbone imbardi e si ribalti.

Il nostro inizia a percorrere la piaggia in lunghezza stringendo tra le mani un plico di fogli stropicciati. Impossibile comprendere i segni che ricoprono fitti le pagine. Con un piede inizia a vergare dei solchi incomprensibili. Passa un elicottero ed immagino che loro, dall’alto, riescano a comprendere l’enorme disegno tracciato sulla sabbia. Superbone mette la mano davanti al cellulare per riparare il microfono dal vento e per depistare orecchie indiscrete (ha compreso che sono sulle sue piste…).

La telefonata si protrae per 20 minuti.

Alla fine della giornata il nostro avrà ricevuto circa 5 telefonate di questo tenore. Le giornate cosi sono state 11. Da ogni telefonata il nostro usciva prostrato. Per diversi minuti scrutava poi il mare in attesa di una risposta alle sue ansie ma senza giovamento alcuno. Riprendeva poi le amorevoli cure verso mogli e figlio fino alla telefonata seguente.

Avrei voluto abbracciarlo e dirgli:
“I casi sono due: o sei il Gran Maestro Templare, depositario i tutti i segreti dell’umanità (dall’affondamento del Titanic al Gral) oppure, bello mio, lunedì non ti sei presentato al lavoro ma sei uscito di casa e sei venuto qui. Bel ciuffo, quando uno va in ferie normalmente avvisa i clienti ed i colleghi. Finisce i lavori che ha in sospeso e stacca per due settimane. Se sei, ad esempio, un cardiochirurgo fai quel trapianto urgente e posticipi a fin mesi i casi meno urgenti. E via dicendo…

Avrei voluto dunque prendere il suo cellulare e scagliarlo verso l’inquieta boa.

A quel punto smaniavo dallo scoprire che lavoro facesse…

Lui mi guardava con disprezzo. Un po aveva saputo per vie traverse la mia professione un po vedeva che io il cellulare nemmeno lo portavo in spiaggia.(l’unica speranza che avevo di essere chiamato dal mio capo era quella di essere entrato nel suo ufficio prima di partire, spaccargli il pc e lasciar il mio tesserino a mo’ di firma…).

Solo l’ultimo giorno mi si è avvicinato con fare sornione e mi ha detto:

“Senti un po’….quel tizio con cui parlavi ieri….sai che lavoro fa?”

Si riferiva ad ragazzo con cui parlavo un sul bagnasciuga mentre i nostri figli giocavano.

“Certo!” gli dico io, “lavora per una grossa società Anglo-Olandese”

“Mi sembrava di conoscerlo!”

“Perché, gli faccio io, sei del ramo?”

“No, io faccio….”

Vi lascio in sospeso ma sono sempre più convinto che quel tizio avesse un’amante…..


Guillaume

giovedì, luglio 21, 2005

ci avete rotto

seriamente

per la prima volta son d'accordo coi francesi: sospendiamo shengen. controllo dei documenti. il primo non in regola a casa sua, dritto filato (a spese sue o del suo paese). echediamine!
(ah, poi mettiamo qualche nave da guerra lungo le coste... con quello che ci costano, facciamoli lavorare)

tec

quest'anno è il nostro anno....

si va ripetendolo dal 1989 (presi la patente allora). quest'anno però è iniziato benissimo: il trofeo tim è NOSTRO!
forza ragazzi!!!

martedì, luglio 19, 2005

gli imbecilli son più di due...

imperversa in tv la pubblicità di quella azienda che ti fa capire che sostituirà con i propri servizi ciò che faceva il 12. Cosa non proprio vera, visto che il mercato è liberalizzato e tutti possono farlo, ma transeat...

e' una delle pubblicità più brutte che siano state fatte: due imbecilli, con una parruccha bionda e baffi neri ballano da cretini per tutto lo spot.
incuriosito da contata tristezza ho cercato di capire quale agenzia pubblicitaria era riuscita nell'intento di recare al proprio cliente un danno facendosi pagare e son partito dal loro sito (che non linko, vah). e lì ho visto che, non paghi di aver fatto uno spot tristerrimo, han messo in piedi un sito in flash che se l'avessi fatto io, col senso estetico che mi ritrovo, l'avrei fatto meglio.

ma il fondo lo toccano quando parlano di loro. un'azienda che sbarca in italia e nella pagina dove descrive chi è e cosa fa, scrive: "i nostri database contengono più di 210 milioni di listings", fico listings, glielo spiegate voi a mia nonna cos'è un listing?... "dalla prima chiamata la nostra mission è di proporre le migliori soluzioni": infatti pronto pagine gialle alla prima chiamata ti insulta ripetutamente. mentre quello nuovo di vodafone ti mette in attesa e appena ti risponde ti fa una pernacchia...
maperpiacere!
tec

20 domandine...

ricordate il post dell'architetto (insomma uno dei due, mica difficile da ricordate) con il link ad un sito che "indovina ciò che pensi".
Beh, questo link supera a destra l'architetto.
tec
ps: da sentire con il volume
pps: senza offesa, ovviamente... archi, dobbiamo sentirci per quella "cosa là"...

lunedì, luglio 18, 2005

telchì

bello fresco e riposato dopo due settimane di otium.
ho seguito con piacere (e grazie alla tecnologia on the edge che mi contraddistingue) la bagarre della prima settimana, fino a notare con dispiacere che a parte qualche commento, il blog s'è spento settimana scorsa.
tant'è.

due settimane di letture (alcune nuove, altre vecchie, tipo huizinga e il medio evo che dovrebbe essere rispolverato viste le analogie con la situazione attuale, Guglielmo ne parliamo al tuo rientro), colazioni in riva al mare con le brioches appena sfornate, grandi mangiate in posticini sperduti, la mia pila di quotidiani che finalmente venivano letti, passeggiate, corse e tour de france...

ho sperimentato (visto che te lo ritrovi su tutti i giornali) anche il famigerato sudoko. parafraserei paolo villaggio sulla corrazzata potemkin. un giochino meccanico, facile e privo di appeal.
tec

mercoledì, luglio 06, 2005

Ostrichetta, dove sei?

Che fine hai fatto Ostrichetta Blu?

Tu si che ci facevi sorridere con i tuoi viaggi sulle tracce di Peter Pan...

Torna Mary Poppins a liberarci da queste anime oscure...

Torna, Ostrichetta Blu....

Guglielmo, il nostalgico

Bullit

Stamane ho portato la mia prestigiosa Toyota a fare il tagliando dei 12.000.

Ho parcheggiato il mio Land Cruiser come al solito con le ruote anteriori su una vecchietta che passava da quelle parti e sono entrato con disinvoltura nella reception scuotendo la sabbia del deserto dalle scarpe( Non avevo ancora pulito i tappetini dal week end in Algeria...).

Dietro il mio Land passo lungo era parcheggiata una Yaris. Incastrato sopra il freno a mano e tra i due sedili una confezione di fazzolettini umidificati ben chiusa.

Quello in coda prima di me al bancone era anche lui un devoto del Sol Levante e possessore del piccolo grande genio parcheggiato all'esterno.

Il giovane ha compilato con diligenza il modulo consegnatogli indicando chilometri, immatricolazione, nome, cognome e cellulare.

A quel punto il meccanico addetto al ricevimento e lo ha guardato con intensità e ha detto:
“La macchina ha qualche problema?”
Negli occhi del giovanotto ho letto smarrimento. Si è sentito probabilmente ferito nella sua virilità non avendo nulla da denunciare ed allora ha iniziato a balbettare.
Alla fine ha aperto bocca e mimando una controsterzata degna di “Bullit” ha detto:
“Non so...ho provato a gonfiare le gomme ma lei ...scivola lo stesso...non so...forse lo sterzo...e poi la frizione secondo me stacca un pò alta...”

Volevo abbracciarlo per la tristezza con cui ha pronunciato queste parole. Era un uomo tradito dalla sua Toyota. Un uomo che ha creduto al piccolo grande genio ma strofinata la lampada è saltato fuori un incubo meccanico.

Ero pronto a prendere le sue parti ma il meccanico ha taciuto ed ha preso nota delle segnalazioni.

Ha rialzato gli occhi dal modulo ed ha continuato: “E poi?”

“Non so...io continuo a sentirla legata come se...”Ed a quel punto ha mimato con le spalle come se stesse per slanciarsi nell’infinito e poi una mano maligna lo trattenesse all’ultimo. Lo sguardo era quello di Max Biaggi mentre parla con il suo capomeccanico della Honda.

Il meccanico ha sollevato la penna dal fogli e lo ha fissato negli occhi:

“Beh...è una mille...non è che c’è molto da fare!”

Si vedeva che faceva appello a tutta la sua professionalità per non ridere e per non mandare a quel paese il pilota frustrato.

Lo Steve McQueen in maglietta etnica e braghette flosce si è allontanato ed è toccato a me.

Ho compilato il modulo e quando mi ha rivolto la fatidica domanda l’ho guardato fisso è ho sussurrato.

“Qualche problema in discesa dalle dune di sabbia fine...nulla che non possa essere risolto con un energico contro sterzo ma darei un occhio al differenziale...”

E’ scoppiato a ridere pensando che scherzassi...

Gugliemo

martedì, luglio 05, 2005

Note in margine ad un testo esplicito

Domenica scorsa sistemavo la biblioteca: non sapevo dove inserire il teatro compelto di W.S., se nella sezione di letteratura oppure sistemarlo accanto alla NUE?
Beh, mentre cercavo una risposta, mi viene in mente Polonio, e le sue raccomandazioni a Laerte. Una piccola scuola di vita, riflettevo, ma chi le ha mai ascoltate veramente? Afferrnado i cinque volumi rilegati in tela, mi cade, dalla mensola più alta, un libretto che non ricordavo di avere: l’edizione del 1972 del giorno della civetta. Per intenderci, quella Einaudi, nella collana scolastica, con le note di Sebastiano Vassalli. Non ho resisitito e gli ho dato l'ennesima occhiata.
Non credo si trovi ancora in giro, ma è interessante, soprattutto perché le modifiche apportate da Sciascia sono volte a smussarne alcune asperità, anche linguistiche.
Il romanzo, si sa, è antropologico oltre che disperatissimo. Il Capitano Bellodi (un mito per Guglielmo e non solo), nel corso dell'interrogatorio a Don Mariano Arena dà il meglio di sé. Il mafioso, dal canto suo, espone un’interessante classificazione del genere umano. Ne riporto un brano, anche se è conosciuto da tutti.
“e quella che diciamo umanità, e ci riempiamo la bocca a dire umanità, bella parola piena di vento, la divido in cinque categorie: gli uomini, i mezz’uomini, gli ominicchi, i (con rispetto parlando) cornuti [ma originariamente erano i pigliainculo] e i quaqquaraqquà…pochissimi gli uomini, i mezz’uomini pochi, chè mi contenterei l’umanità si fermasse ai mezz’uomini…e invece no, scende ancora più in giù, agli ominicchi: che sono come i bambini che si credono grandi, scimmie che fanno le stesse mosse dei grandi…e ancora più in giù: i cornuti, che vanno diventando un esercito…e infine i quaqquaraqquà: che dovrebbero vivere come le anatre nelle pozzanghere, chè la loro vita non ha più espressione di quella delle anatre…”.
mi sono sempore chiesto cosa pensasse l'autore di questa classificazione. Era anche la sua visione del mondo?
Sono convinto di sì, con i dovuti accorgimenti. Sciascia era uomo correttissimo, dalla specchiata reputazione: le sue battaglie di civiltà e principi ancora oggi sono un modello insuperato da intellettuale illuminista. Litigò con Guttuso perchè costui mentì, anteponendo il partito alla sincerità e alla amicizia.
Sono pertanto convinto che sia Sciascia a parlare, per bocca di Don Mariano. È Sciascia che ricorda come la maggior parte delle persone viva da “cornuto”o da “quaqquaraqquà”. Sciascia disprezzava chi vive senza accorgersene, senza passione, senza ideali, senza pulsioni e senza spinta. Mangiapreti, tolse il saluto a Alvarz Garcia, quando quest'ultimo si spretò. E non è questione di censo, di lavoro (vedi Laurana, Rosello, Roscio, etc), ma di forma mentis, di piccinerie, di mafiate - come direbbe lui. E' che la palma va a nord...
Insomma era disperato pensiero quello che mi infastidiva quando cercavo di dare forma e logica alla biblioteca. Poi, all’improvviso, ho portato alle estreme conseguenze i miei sospetti. È vero, come diceva Sciascia, che gli ominicchi, i cornuti e i quaqquaraqquà sono la maggioranza – vanno diventando un esercito, e questo è terribile – ma è altrettanto vero, che aveva visto giusto anche sulla loro fine, sul loro ineluttabile destino.
Mi sono addormentato sereno, domenica sera.

Scuse

Chiedo scusa ai miei compagni Blog se per qualche giorno ho monopolizzato "Il Conciliabolo" e li ringrazio per la pazienza.

Guglielmo

Lungo la Neva

Sono tornato pochi mesi fa a San Pietroburgo. Non con la mia Aston Martin ma con un autobus di anziani iscritti all’Università della terza età in gita. La Russia è piu’ pericolosa oggi di quanto non lo fosse 40 anni fa ed io non sono piu’ quello di allora. Gli americani dopo quella vicenda si dimenticarono di me ed il mio fascicolo immagino giaccia in qualche archivio polveroso. Ho condotto in seguito una vita normale.

Ho camminato lungo la Prospettiva Nevskij scrutando la finestra dove Sonia viveva ed ho scoperto che viene affittata a ricchi turisti europei. La mia libreria c’è ancora ma Nicolaj, e’ ovvio, è morto. Ho cercato il libro che mi salvò la vita ma al suo posto ho trovato una sfilza di libri di pessima qualità. E’ ovvio che le case editrice non hanno intenzione di investire denaro nell’editoria di questo travagliato paese.

Vi devo una confessione...

Riuscii a far uscire Sonja dall’Unione Sovietica dopo circa tre mesi. Contattai Aleksej e minacciai anche lui. Gli dissi che se non avesse fatto fuggire Sonja avrei rivelato a John e amici che anche i Russi sapevano dei francobolli. Che anche quelle notizie erano false e che quella fonte di bugie sarebbe dunque stata prosciugata. I Russi obbedirono.

Ero un doppiogiochista?

No...lavoravo anche per i Russi perchè non volevo che nessuno dei due avesse il vantaggio sull’altro. Solo questo sottile equilibrio di bugie ha tenuto il mondo sospeso sull’orlo del baratro nucleare e poi, in quella confusione di giochi e controgiochi, quale erra ormai la verità?

La Storia mi ha dato ragione...


L’unica cosa di cui dubitavo e che non avevo capito era se Sonja mi amasse davvero e se fosse anche lei una spia. Per questo tornai a Leningrado un’ultima volta.

Una sera, camminando lungo la Neva, immersi nella notte bianca, ho detto a Sonja

“Ho temuto che non fuggissi dalla Russia per unirti a me.... In seguito ho continuato a temere che tu fossi venuta in Italia non per me ma solo per continuare il tuo lavoro di spia...”

L’ho guardata interrogativo.

Ha stretto al petto la copia in francese delle “Notti Bianche” e ha sorriso...

“Che importanza ha...? Io ti amo...”


Guillaume

Fine...o quasi

Tornai a Leningrado ma prima, lungo la strada, feci una puntata dal mio amico sul confine polacco e da Dom Knighi. Andai a casa di Sonja e la trovai come se nulla fosse accaduto.

"So tutto!" Le dissi con la disperazione dell'amore.

"Tutto cosa amore?" disse con il tono piu' tranquillo possibile ma con uno sguardo terrorizzato.

Scuoteva la testa come supplicandomi di tacere.

Mi abbracciò sussurrandomi all'orecchio "Stai zitto! Ti ammazzeranno o ti metteranno in galera!"

"Basta Sonja! Io devo sapere! Mi ami? O è tutta una finzione?" dissi come un bambino capriccioso.

Lei mi strinse ancora di piu' e sussurrò: "scappa! Posso darti un ora al massimo. Ti avranno dato un luogo sicuro ed una via di fuga. Usali!"

"No! Vieni via con me!"

"Non posso Gughi...non posso"
“Non vuoi o non puoi?”
Scoppio’ in lacrime.
"Provami che anche questo non è un trucco. Provami che almeno quello che c'è tra di noi non fa parte del gioco..."
"L'unico modo che ho è di farti fuggire...posso darti solo un'ora"
“Ci rivedremo!”le dissi baciandola.

Tese le mani verso di me tra le lacrime di me mentre correndo verso la porta rovesciai un tavolino.

Saltai a bordo della Aston e mi diressi verso Tallin.
I ragazzi della Virginia mi aveva dato una via di fuga. Sperai che fosse sempre attiva.

Prima del confine tra Estonia e Russia abbandonai a malincuore la macchina.
Mi recai in una fattoria nei pressi del confine e, dietro il pagamento di parecchi rubli, un vecchietto mi fece passare la frontiera. Superato il confine con la Russia mi porto in un’altra fattoria dove, dietro il pagamento degli ultimi rubli rimastimi, fui accompagnato sulla costa.

John mi aveva spiegato che ogni sera un sottomarino emergeva nei pressi di una spiaggia di Tallinn e, se avessi visto un particolare segnale fatto con una torcia, avrebbe mandato una lancia.

Cosi avvenne. Immaginerete il mi terrore quando vidi che la bandiera zuppa issata sulla prua del sommergibile era la Union Jack.

Gli amici di Langley mi avevano salvato ma mi avevano consegnato agli inglesi.
Fui subito messo agli arresti e portato in Inghilterra.
Ovviamente dopo qualche ora di prigionia i mie salvatori mi comunicarono che sarei stato giudicato per l’omicidio del capitano inglese durante la guerra.

Si prospettava un lungo soggiorno nelle galere di Sua Maestà, decisi dunque di giocarmi le mie carte.

Feci chiamare John dicendo che se non si fosse presentato le fonti in Russia sarebbero state scoperte. Si presento’ la mattina dopo con gli abiti stozzonati e due vistose occhiaie.

“Sono venuto per vedere il tuo bluff...e per farmi ringraziare da te.”
“Ringraziarti? Cosa cambia tra una galera britannica ed una sovietica?”
“Augurati di non conoscere mai la differenza...” rispose.
“Allora? Mi hai fatto attraversare l’atlantico per cosa?”
Cercai di vincere la disperazione e feci appello a tutte le mie forze.
“Per darti l’opportunità di salvare la tua fonte in Russia...”
“Non hai niente da vendere Gughi...i Russi sanno tutto.”
“Sanno dei francobolli usati? Sanno che qualcuno miniaturizza informazioni riservate sopra?”
“Sei furbo Gughi...”
“Ho solo usato un pò di intuito... ed un microscopio potente...”
“Comunque non hai modo di comunicare a nessuno questa cosa. Potresti decidere di impiccarti oggi in cella per la disperazione...” disse sinceramente dispiaciuto.

Guardai l’orologio. Solo per dare un po di teatralità, perchè si era rotto mentre salivo a bordo del sommergibile.
“Se entro tre ore non mi faccio vivo un paio di avvocati di Milano manderanno una lettera all’ambasciata russa nel quale racconto un po di cose...”
“Cose che già sanno...e che gli impediranno di rintracciare la fonte visto che il ragazzetto in Polonia è già scomparso...” disse sorridendo John
“beh...ma ho indicato anche un particolare libro, nel sotterraneo della libreria Dom Knighi, dove ho messo un paio di francobolli che gli amici di Mosca troveranno interessanti...”
John sbiancò...volevo stravincere.
“Ho anche contattato un ragazzo di un bar che serve il caffè ogni giorno al consolato di Milano. Ho dato una lettera anche a lui nel caso non mi sentisse nelle prossime ore.”
John scoppiò a ridere”Questa è una cazzata...”
Risi anch’io.
Avevo messo nei guai la poiana ma era l’unica via di fuga. Il libro nel quale avevo messo i francobolli era il “Mein Kampf” in tedesco del ’39.

Solo un folle avrebbe comprato quel libro e sarebbe uscito sulla prospettiva a cuor leggero.

Uscii da Thames House e mi misi a passeggiare verso il Parlamento pensando ad un altro fiume...

lunedì, luglio 04, 2005

E adesso...

E adesso, se vi interessa sapere come va a finire la storia di Guglielmo...

5 euro a cranio e vi spedisco via mail il finale....


Guglielmo, l'affarista

Le regole del gioco

I mie contatti con Aleksander si fecero piu’ rarefatti ma ugualmente proficui. Tornavo in Italia di rado e quando ero in Russia vivevo nell’appartamento Che Sonja aveva ricevuto dal Governo sulla Prospettiva Nevskij al numero 82. Era un appartamento in stile russo nei pressi della stazione Moscovsky. Trascorrevamo le giornate, quando Sonja era libera dal lavoro, leggendo e passeggiando.

Iniziai a vagheggiare di far fuggire Sonja dall’Unione Sovietica per iniziare ancora una nuova vita. Questa volta non più solo. Non ne parlai con lei per non illuderla ma ero certo di avere qualche buona carta da giocare con i ragazzi di Langley.

Tornai in Italia e chiesi un incontro con John. Gli parlai di Sonja e, prima che lui potesse fare qualsiasi obiezione, lascia intendere che ero pronto a far saltare tutto in aria raccontando a qualche giornale le mie attività degli ultimi anni.

“Vedi Gughi” disse in maniera sinceramente affettuosa”me lo aspettavo. Sei un romantico...Sappi però che prima di oltrepassare qualsiasi porte di giornale ti troveresti con un proiettile nella nuca. E sappi che...”

Infilò la mano in una sottile borsa di pelle nera ed estrasse un busta marrone. La buttò sul tavolo e scivolarono fuori delle gigantesche foto in bianco e nero. Le sfilai con la consapevolezza che la mia vita non sarebbe piu’ stata la stessa. La prima ritraeva il mio amico Aleksander con Evgenij Bazarov mentre la seconda ritraeva Sonja, bellissima, sempre con Evgenij.

Evgenij Bazarov era il Residente del Kgb a Leningrado la qual cosa significava che si Aleksej che Sonja erano di casa alla Luibjanka.

“Da quanto lo sapete?” chiesi cercando di nascondere il tremore della voce.

“Da sempre...Anche loro sanno da sempre che sei un agente e hanno cercato di passarti notizie false tramite il Colonello Rominstrov. E ‘ nelle regole del gioco...forse sanno anche che noi sappiamo...”

“E cosa ci guadagnano?!”

“Cercano di scoprire quali sono le falle nel loro sistema...cercano di capire dove prendi le informazioni...di passartene di false mischiate a vere per confonderci...e sperano che tu tradisca noi e
faccia il doppiogioco...a proposito...lo fai?”

“Non dire cazzate...e Sonja?”

“Sonja fa parte del gioco. Ti controlla. Proverà ad indurti a tradirci...”
“Come faccio a crederti. Potrebbero essere anche queste bugie...me ne avete raccontate un sacco”
“Fai come credi. Puoi tornare e chiedere a Sonja risposte...ma sappi che dopo nessuno muoverà un dito per tirati fuori da li...”
“E quello che farò...” dissi.
“Mentre correvo fuori dalla camera d’albergo in cui ci eravamo visti lo sentii urlare :

“Non fare cazzate Guglielmo! Qui sei un eroe non buttare via tutto il tuo lavoro!”

Partiii per Leningrado dopo aver sistemato alcune faccende...

San Pietroburgo

Inizia a frequentare Leningrado con una certa assiduità. Strinsi qualche accordo commerciale che giustificasse la mia presenza nella città e quindi l’amicizia sempre piu’ intensa con il Colonnello.

Durante una delle mie visite nella ex capitale mi imbattei in una libreria nei pressi della Prospettiva Nevskij. Un vecchio libraio stava come una poiana dietro il bancone finemente cesellato. Spulciai i libri di scarsa qualità posati su pesanti tavolacci che poco avevano a che fare con gli stucchi che ornavano le pareti ed i lampadari a goccia. Entrò furtivo un cliente. Io mi trovavo dietro uno scaffale e non potevo essere visto da chi entrava. La poiana parve risvegliarsi. Lanciò all’avventore uno sguardo allarmato e complice. Quello capì l’aria e diede un’occhiata distratta ai libri in vendita. Ne comprò uno, il piu’ sottile e meno costoso, ed usci’. Quel libretto sarebbe finito nella Neva o nel camino. Era chiaro che il vecchietto metteva in mostra i libri autorizzati dal regime e teneva quello piu’ compromettenti e rari da qualche altra parte.

Divenne una sfida. Ogni volta che passavo per Leningrado mi recavo presso la libreria Dom Knighi cercando di farmi amico il vecchietto. Scoprii che aveva una passione per il vino italiano e cominciai a rifornirlo con quelle che per lui erano vere rarità.

Ben prestò mi lascio capire che in una stanza sotto il negozio teneva i libri piu’ belli. In Russia , a quei tempi, ognuno sembrava serbare un segreto. Un piccolo mondo che sfuggiva ai controlli della polizia segreta e dove era disposto a far entrare le persone fidate. Era una sfida per me scoprire quale fosse il mondo di chiunque incontrassi. Una sera che passai a trovarlo mi disse che il giorno dopo avrebbe aperto il suo piccolo mondo e,m se avessi voluto, mi avrebbe mostrato i suoi tesori.

Il giorno seguente, all’orario fissato, mi recai alla libreria. Nikolay, cosi si chiamava, mi fece cenno di aggirare il bancone. Con gli occhi fissi sulla vetrina mi mise la mano sulla testa e mi fece abbassare fino a scivolare in una botola su cui fino a poco prima poggiava lo sgabello.
Entrai in una stanza illuminata malamente da poche candele. Su tavoli ben diversi da quelli del piano superiore giacevano libri in francese e russo di pregevole fattura. Come uno spettro si aggirava tra i tavoli una donna. Quando mi vide trasalì ma subito tornò a spulciare tra i libri. Era chiaro che Nikolay, per ridurre i rischi, apriva il suo sotterraneo in giorni prefissati a piu’ clienti.

Ad un certo punto il mio sguardo cadde su un edizione del 1854 delle “Notti bianche” in francese.
Mentre mi rigiravo quella preziosa copia tra le mani la donna parve agitarsi. Sul suo volto candido danzò la luce di una candela e l’espressione era di profonda angoscia. Iniziò a parlarmi in russo fissando il libro. Compresi che era un libro molto raro e per lei prezioso. Era infatti un’insegnante di francese ed amava molto Dostoevskij. Indugia un pò. Anch’io, le dissi, amavo Dostoevski e quel libro era ambientato a Leningrado, una città che mi piaceva molto.

Il suo nome era Sonja Nasten’ka e da quell’istante non mi sarebbe più piaciuta Leningrado, avrei semplicemente amato San Pietroburgo....

domenica, luglio 03, 2005

L'impero del male

L’equipaggiamento per quella missione era quello classico. Niente stilografiche al cianuro, niente olio rovesciato sull’asfalto dal paraurti della mia Aston Martin (unica concessione alla teatralità), niente microcamere nascoste del tacco della scarpa ma collant di seta, cioccolata, medicine ed altri prodotti del miracolo occidentale.

Varcavo il confine in Austria e confine dopo confine viaggiava verso Mosca. Inutile dire che i contatti con membri del Pci che a lungo avevo coltivato in Italia si rivelarono estremamente utili per aprire frontiere e trovare canali commerciali. Dietro questi tentativi di allacciare relazioni commerciali si celava la mia eterna caccia di informazioni. Ma a questo compito, per me ormai abituale, John ne aggiunse altri due.

Avrei dovuto, con cautela, cercare di reclutare un qualche informatore fisso. Qualcuno disposto a tradire, insomma. Qualcuno da retribuire in dollari americana ed in riconoscenza che giungere sino all’asilo. Ed avrei dovuto raccogliere francobolli.

La prima volta che intrapresi temetti i non tornare più. Mi parve da subito impossibile poter sfuggire alle fitte maglie del controllo sovietico. Malgrado ciò inizia a girare per l’impero del male con disinvoltura. I primi tre viaggi mi limitati a fare il turista. Riuscii addirittura a concludere qualche piccolo accordo (la mia azienda si occupava di derivati del petrolio da utilizzare nei processi per la fabbricazione della plastica. Divenni ben pesto, grazie alla formazione dei ragazzi di Langley, un vero esperto e punto i riferimento per l’Europa) e a fare qualche innocente conoscenza.

Il quarto viaggio fu quello che segnò la svolta. Inizia a raccogliere francobolli usati con convinzione in particolare quelli che mi vendeva un ragazzetto che viveva sul confine polacco.

A Mosca, grazie ai soliti contatti, partecipai ad una festa in una delle dacie della periferia.

La vodka, che scorreva a fiumi, rasserenò gli animi dei piu’ diffidenti e ben presto le lingue si sciolsero. Trascorsi la sera come un’ape in un campo di fiori primaverili. Non sapevo dove posarmi e ogni pezzo grosso del politburo o generale pluridecorato che mi passava mi sembrava pronto per fare un bel buco nella cortina di ferro.

Alla fine scelsi un colonnello. Dopo aver fatto la mia apertura tradizionale raccontando per bene tutta la mia storia di copertura rimai in attesa della sua mossa. Il suo nome era Aleksander Rominstrov ed era comandante del distretto aereo di Leningrado. Iniziò a parlare della Grande Guerra Popolare contro il Nazismo ed alle diverse battaglie che lo avevano visto protagonista. Se fosse stato americano a quel punto sarebbe stato Presidente degli Stati Uniti ed invece, compresi tra le righe, poteva dirsi fortunato per essere sfuggito alle purghe staliniane seguite alla fine della guerra.

Ubriachi fradici tornammo alle macchine abbracciati come fratelli. Lo trascinai vero la mia Aston e feci un gesto che il giorno dopo, al risvegli pot sbornia, mi fece gelare il sangue: gli allungai un paio di confezioni di collant. Se Alek fosse stato un buon patriota da li a poco un paio di tizi in giaccone si sarebbero presentati per fare un lungo giro in macchina…

Non avvenne. Anzi. Poichè la sera prima Aleksander mi aveva confidato di essere un appassionato di caccia ed io avevo risposto con i racconti di quando per sfamarmi, mentre combattevo contro il suo stesso nemico, andavo a caccia sulle montagne di casa mia, la mattina seguente mi giunse un suo invito per una battuta i caccia nei pressi di Leningrado.

Risposi che al successivo viaggio avrei incluso una tappa a Leningrado.

Qualche mese dopo mi presentai alla base aerea nei pressi di Leningrado vestito con un perfetto completo da caccia italiano. Portavo anche due fucili sempre di fabbricazione italiana ai quali ero riuscito, dietro il pagamento di parecchi dollari, a far superare indenni la dogana (potenza dei container che inviavo mensilmente a Varsavia…).

Non sto a descrivere lo stupore reciproco che provammo quando vidi Alksey con indosso la tuta di volo dell’Armata Rossa. Era ovvio che il mio vocabolario russo italiano non possedeva piena padronanza delle sfumature. Trascorsi la mattinata a vomitare a bordo di un cacciabombardiere Iljusin II- 2 Sturmovik, gloria della battaglia di Kursk.

Dopo quell’avventura io e il colonnello Rominstrov diventammo grandi amici osa che, nell’accezione di Aleksey, significava prendersi solenne sbornie insieme e volare con il suo cacciabombardiere terrorizzando i paesi baltici interi.

Velatamente iniziai a far trapelare chi, in realtà, ero. Raccontai dell’ufficiale nazista ucciso e tutto quello che era seguito. Parlai dei miei amici americani e lascia intravedere la possibilità di ottenere soldi, calze o qualsiasi cosa volesse. Rominstrov iniziò a confidarmi di sentirsi a disagio. Mi raccontò della sua carriera stroncata, dei tanti colleghi scomparsi nel nulla e delle privazioni e soprusi che la gente comune era costretta a subire. Mi disse che sentiva l’obbligo quasi morale di fermare l’avanzata del comunismo nel mondo perché si rendeva conto che ormai era divenuto, alla stregua del Nazismo, una pericolo per la pace e la libertà. Gli offrii dei dollari ma lui rifiutò. Mi disse solo che piu’ in là, mi avrebbe chiesto la cortesia di chiedere ai mie amici dell’Agenzia asilo politico per lui e la sua famiglia.

Iniziò una proficua raccolta di informazioni che mando al settimo cielo gli americani…

...sempre io...

Tornai tra i partigiani continuando a combattere gli invasori tedeschi. Ogni tanto venivo avvicinato da uno di quei due tizi al quale riportavo notizie e pettegolezzi che giravano tra i partigiani. A volte mi facevano domande precise alle quali cercavo risposte nei giorni seguenti. Non mi sentii mai in difetto nei confronti del mio Paese. In fondo combattevo, rischiando la vita, e collaboravo con chi voleva solo liberare l’Europa evitando che cadesse nelle mani del Comunismo. Più di una volta fui tentato di darmi alla fuga. Se fossi riuscito a superare l’avanzata degli Alleati verso nord avrei potuto provare a fuggire in Svizzera o a rifarmi un’identità nella porzione di Paese ancora nelle mani dei tedeschi. Ma il senso del dovere e l’attaccamento a quella che ormai era la mia famiglia, mi fecero desistere. La guerra finì. Pensai che l’unico modo per ricominciare fosse quello di cambiare aria. Mollare tutto e iniziare una vita in qualche grande città. Poco prima che a Firenze finissero i festeggiamenti buttai in un fosso il moschetto che mi aveva accompagnato per tutti quei mese e legai il fazzoletto che portavo al collo, al collo di una ragazza che audacemente mi baciò, nei presi del Ponte Vecchio, quando scesi dal camion che portava me e la mia brigata in trionfo. Presi il primo treno per Milano.

Mi riuscì di rifarmi una terza identità (nel caos del dopoguerra non era cosi difficile come ai tempi del Fu Mattia Pascal…) e trovai lavoro in una grossa fabbrica nella periferia nord della città.
Ero un giovane operaio, con poche speranze ed ancor meno sogni.

Li rividi una sera, in uno bar sperduto tra le ciminiere. Cercarono il mio guardo e sorrisero. Mi fecero cenno di avvicinarmi. Prima di aprire bocca lasciarono cadere in maniera ostentata i loro occhi sulle mia unghie sporche di grasso.

“Vedi Guglielmo (era il mio nome di Battaglia tra i partigiani, perché a causa del mio fascino, ero conosciuto come il Conquistatore…) hai fatto tutto il lavoro sporco e poi, quando era il momento di riscuotere la paga, sei sparito….per finire qui!”. Fece girare la testa come se il suo sguardo potesse bucare quelle sordide pareti ed abbracciare le fumose ciminiere e le case squallide che assediavano il nostro tavolino.
“Il mondo sta cambiando Gughi, e noi abbiamo bisogno di occhi attenti, orecchie fini e cervelli veloci per capire quale sarà il prossimo crepaccio in cui si infilerà. E tu hai tutte queste doti. Vanno solo affinate, allenate e…ricompensate. Butto giu’ un bicchiere colmo di vino rosso…ci stai?”

In breve fui riassoldato dall’OSS (antenata della Cia). Il mio compito era simile a quello che svolgevo sulle montagne solo che le caverne furono sostituite da camere d’albergo con lenzuola di seta e alle compagnie i tedeschi presero il posto salotti di intellettuali,i o presunti tali. I ragazzi della Virginia rilevarono una fabbrica ben avviata vicino il confine con la Svizzera e la intestarono a mio nome. Mi comprarono un bell’appartamento nel cuore di Milano ed una casa a Stresa. Ero un imprenditore con la passione per le donne, le auto potenti e il gioco d’azzardo. Ben presto, addestrato dai mie due pigmalioni, mi riuscì di tessere una rete di debiti, corruzione e ricatti che mi permetteva di ricevere informazioni vere e metterne in circolo altre false.Questa rete si distese ben presto fino ad abbracciare buona parte dei salotti della politica e dell’economia.

Una mattina, davanti a casa mia, trovai una gradita sorpresa. Una Aston Martin. Poggiato sul cofano, con una mano impegnata a far tintinnare la chiave di avviamento, John.

Partimmo rombando vero Stresa.

“Vedi Gughi….negli Stati Uniti diventano pazzi per te. I capoccia di Washington dicono che se in ogni paese ci fosse un Guglielmo, nel giro i pochi mesi apriremmo un McDonald’s davanti al Cremlino e il grano dell’Ucraina sarebbe mietuto da macchinari McCormick e la terra arata da John Deere in persona. Ed hanno deciso di vedere come te la caveresti oltre cortina…che dici?”

Milano mi aveva stancato. Fare il commendatore iniziava ad essere davvero noioso. Avevo voglia di vedere altri pezzi del mosaico…

“John…l’idea mi tenta e parecchio…ma come la mettiamo con le lingue?”

“Gughi…con la tua comunicativa e capacità di improvvisazione sapresti trovare un passeggino all’aeroporto i Londra o fare benzina a Gettysburg…no sarà un po di russo a spaventarti…fai i bagagli!”
I ragazzi mi portarono a Ginevra ove entrai in contatto con parecchi esuli russi. Cominciai a comprendere qualcosa della lingua e della cultura della Santa Madre Russia. John mi spiegò un po’ come girava nella Mecca del comunismo e come mi sarei mosso. Le vie i fuga, ovviamente, erano poche e, se mi fossi fatto beccare, tutti avrebbero negato tutto…avrei dunque fatto la fine di Fedor Dostoevskij (inizia a leggerlo a Ginevra…) solo che davanti al plotone d’esecuzione non sarebbe giunta alcuna grazia….

venerdì, luglio 01, 2005

E questo sono io...

Sono nato a nel 1927 a Ponte a Cappiano. Mi madre era una contadina. Mio padre il parroco di una pese vicino. Almeno cosi’ si diceva. Vivevamo nell’agio, rispetto alle media dei miei concittadini è ovvio, e questo dava credito ai sospetti di chi diceva che godessimo di rendite misteriose. La mia latitanza iniziò una notte del ’43, La mia vicina di casa, detta la Maddalena, aveva stretto rapporti un po’ troppo stretti con i fratelli ariani ed il paese vociava anche su quello. La notizia era giunta anche alle mie eccitabili orecchie di adolescente e, vuoi la vergogna per mio padre, vuoi la vergogna per la mia terra invasa, una notte in cui i mugugni erano un po troppo alti, scavalcai la ringhiera che divideva il terrazzo in comune in due e mi affaccia alla finestra, aperta per il gran caldo, della Maddalena. Il mio sguardo, prima che sui corpi avvinghiati, cadde sulla Luger del Capitano delle SS che aveva scelto quella casa come rifugio. Con un colpo gli feci saltare le cervella. Ho sempre immaginato che abbia avuto la morte che sognava. Mi diedi dunque alla macchia. Sugli Appennini mi aggregai, per sopravvivere, ad una brigata partigiana: la Garibaldi.

Combattemmo timidamente i tedesche per diversi mesi e solo quando giunsero i paracadusti inglesi passammo all’offensiva. Fummo aggregati ad una compagnia guidata da un capitano che ci aveva scambiati per quaglie. Per stanare le mitragliatrici nemiche mandava un paio di noi in avanscoperta e quando i crucchi iniziavano a far fuco lui faceva colpire con i mortai. Inutile dire che non era amatissimo. Una mattina mando me ed Asso di cuori, un altro ragazzini, a fare le quaglie. I tedeschi erano in forma quella mattina e seccarono Asso dopo pochi metri. I riuscii a rientrare tutto intero quasi per caso. Il Capitano inglese fu trovato la mattina seguente con il cranio sfondato da un vaso di limoni. Il sangue la materia cerebrale rappresi, le foglie lucenti cadute dalla pianta, il bianco abbagliante della roccia su cui il corpo giaceva. E’ ovvio che i miei precedenti, per i quali godevo di una certa fama nella Garibaldi, dirottarono su di me tutti i sospetti. In realtà non ero stato io. Io lo avrei ammazzato nel pomeriggio, quando si ritirava per il sonnellino mediterraneo che cosi’ presto aveva acquisito.

Scappammo in tre. I maggiori sospettati. Durante la fuga scambiammo alcuni colpi di moschetto con gli inglesi. Un colpo fortunato mi colpì ai glutei. Vagabondammo per alcuni giorni ed alla fine decisi di farmi curare in un ospedale nei pressi di Napoli. Qui, qualche infermiere zelante, mi denucio’ agli americani. Fui avvicinato da un paio di figuri che mi minacciarono di consegnarmi agli inglesi se non mi fossi messo ai loro ordini. E’ chiaro che il destino, se avessi rifiutato, era il plotone d’esecuzione. Mi diedero una falsa identità e l’incarico di raccogliere informazioni sul comunismo nei movimenti partigiani....

mare!

dopo aver passato la giornata a sparigliare le mie attività in alto, attorno ed in basso per tutto il giorno, si avvicina il momento di fare shutdown.
attivo l'out of office che invita a non scrivere email che tanto non le leggo e a non lasciare messaggi in segreteria che tanto non potrò sentirla.
ci vediamo domani per il trasloco e poi, chissà, un post ogni tanto potrà anche capitare (so' tec mica per niente).
tec

Nuoto

Vado ragazzi...

Mentre vi strafogate di panini scadenti o presenziate a preziose colazioni d'affari (non vi ingozzate ragazzi che a Montecarlo c'è da mettersi in costume perchè c'è la serata caraibica...)
io vado a nuotare!

Mi preparo per domani...


Guillaume

Luce

La luce è memoria.

La calda luce che riempiva il soggiorno di casa nei lunghi pomeriggi dell’infanzia.

La fresca luce del mattino nella casa che i miei nonni affittavano in montagna. Qualcuno apriva le pesanti imposte di legno ed i muri intonacati esplodevano di bianco. Il vento portava al mio cospetto l’odore dei prati che scintillavano oltre il davanzale, le ardite traiettorie dei rondoni nel cielo azzurro della mia adolescenza e il razzolare mattutino delle galline . Mi sentivo un Re...

La luce stanca del cielo di Torino gravato di nuvole. Quella incantata di Normandia, che pare acquistare vigore percorrendo immense distese oceaniche prima di frangere le cime degli alberi che disseminano quella terra piatta. La luce calda come il ventre materno che avvolge l’erba smeraldo delle isole africane. La luce malinconica del settembre milanese quando iniziava la scuola. La luce che moriva tardi nei primi giorni d’estate quando i mesi a seguire erano praterie di sogni. Quando era ora di finire i giochi per mangiare ma si sapeva che la giornata era benevola e ci avrebbe regalato ore di gioco anche dopo cena. La luce di Aprile dopo la pioggia...


E voi che luce ricordate....

Guillaume, l'illuminato

Coraggio e Giustizia

Ieri sera al Tg hanno mostrato un servizio sullo sgombero dei coloni in Israele.
Un gruppo di ragazzi israeliani ha tentato di linciare un ragazzo palestinese che aveva reagito a frasi offensive su Maometto.

Il ragazzo ne è uscito malconcio ma deve la vita, o almeno di esserne uscito quasi indenne, al coraggio ed al senso di giustizia di uin soldato israeliano che con il suo corpo gli ha fatto da scudo.

Aveva pure un M-16 tra le mani ma si limitava a tenerlo stretto al petto.


Coraggio e giustizia....

Guillaume
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