lunedì, agosto 01, 2005

La stanza del dilettante

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La rubrica è intitolata “La stanza del Dilettante” non per caso. È la stanza di un Dilettante, appunto, un giovane professionista che vive e lavora a Milano, in un grande studio legale, e che, nei ritagli di tempo, si rifugia nella letteratura.
La letteratura è dunque specchio e finestra sul mondo, o meglio, è una mappa del tesoro, che conduce alla scoperta di strane meraviglie.
Da bravo Dilettante, ama seguire le tracce fintanto che questa ricerca dà piacere, fino a quando le indagini che portano ad altri scrittori, a rimandi e atmosfere, sono fonte di piacere, di diletto, appunto.
Dunque, quale scrittore migliore di Leonardo Sciascia per fare queste scorribande? I suoi libri sono inesauribile fonte di citazioni, sono romanzi che si aprono su altri romanzi, che li presuppongono e li comprendono, e li suscitano, molto spesso. (Come leggere Sciascia, senza leggere o aver letto Stendhal?)
Il Dilettante si sente allora come un giovane bucaniere intellettuale, che insegue i tesori della letteratura, dell’arte (quanti incisori!) e della storia (e la politica, poi?), con le “mappe” fornite dai libri del grande scrittore siciliano.
Con Sciascia, del resto, è così: una sorpresa continua, una sfida continua – insomma, l’avrete capito, un’avventura continua.
E perciò il Dilettante può finalmente dilettarsi, dopo le dure giornate di lavoro, dopo il professionismo ostentato, dopo la specializzazione estrema, svagatamente passeggiando tra libri e gallerie, seguendo e abbandonando piste, indagando percorsi intellettuali, artistici, cercando volumi usati in magazzini polverosi, incurante del tempo che passa, assaporando il piacere della scoperta, ma non solo, anche della trouvaille: quell’esplosione di felicità quando una sorpresa si svela, l’inatteso gioco del caso che conduce al giardino dei sentieri che si biforcano e che portano chissà dove!
In definitiva, questo contributo intende essere un piccolo tentativo di instaurare un dialogo tra due realtà forse distanti, tra due uomini apparentemente lontani: il ragazzo del 2005 e il Grande scrittore scomparso.
Qualche cosa il ragazzo ha imparato, qualche cosa va scoprendo e molto ha da imparare: in ogni caso…
***** ***** *****
Fu allora che scoprii Sciascia.
Il primo incontro con Sciascia è stato del tutto fortuito. A raccontarlo non ci si crede. Ho conosciuto Sciascia grazie a Borges.
Devo essere sincero, utilizzo impropriamente il termine “conoscere”, perché in realtà conosco gli scrittori solo mediati dalla loro opera: di persona, purtroppo, no.
In ogni caso, mi ero letteralmente appassionato alla prosa di Borges, alle sue alchimie, tanto che, dopo aver letto tutti i libri di Borges, sono andato alla ricerca dei libri su Borges.
Mi sono dunque imbattuto su un volumetto particolare intitolato “Borges e gli scrittori italiani”, di Roberto Paoli.
“Borges e Sciascia” era uno dei capitoli del libro. Ho scoperto allora che i libri di Sciascia sono pieni di riferimenti a Borges, anzi ho scoperto che proprio lui, tra i primi, lo ha “accolto” nel 1955 con una recensione sulla “Gazzetta di Parma”, definendolo – ed era in occasione del suo primo libro tradotto in Italia – già un classico.
Non solo, ma mi stupì parecchio scoprire che lo scrittore che credevo si occupasse semplicemente di mafia, di Sicilia, e solo sotto forma di “giallo”, era anche un amante delle geometriche costruzioni borgesiane. Era pure abile a scrivere romanzi storici, saggi e potenti critiche d’arte!
Se dapprima mi colpirono le citazioni, poi fui impressionato da come Sciascia avesse imparato la lezione borgesiana, da come la fece sua. I suoi gialli, non sono solo godibili romanzi, ma sono manifesti filosofici, prese di posizioni, indagini intellettuali che tutt’ora, con la società che è cambiata, con il mondo che si trasforma, hanno molto da dire.
Perfino le “inquisizioni” sciasciane (rectius: le sue Cronachette), sono occasioni impedibili di saggistica colta, che spaziano da argomenti apparentemente leggeri a temi aspri e scottanti.
È così che quando mi misi a leggere l’Affaire Moro, mi ritrovai catapultato oltre lo specchio, alla fine degli anni settanta, in un mondo a parte, eppure non così distante, non così impossibile. Sciascia è in grado di scrivere pagine e pagine di apparenti divagazioni, come quelle sul Dizionario del Tommaseo, sulle lucciole di Pasolini, oppure di citare l’“Esame dell’opera di Herbert Quain”, per far scoprire un’altra verità, più profonda, letteraria certo, di sicuro personalissima, mai scontata ed in grado di passare indenne, sola tra le tante, al vaglio della storia. Fu criticato, questo lo so, vi furono polemiche – sicuro – ma possiamo realmente immaginare di studiare il caso Moro senza leggere l’affaire? Io dico di no.
Adesso, e sono passati anni, mi trovo di fronte a due scrittori che conosco come conviene ad un bravo Dilettante.
Spesso riapro i loro libri, ne leggo dei brani, magari quelli che ricordo con più piacere, ma sono molto diversi gli scrittori che mi ritrovo davanti: uno troppo freddo, spesso ripetitivo, in ogni caso distante. L’altro, al contrario, più passa il tempo più ha qualche cosa da ricordarmi con la sua passione civile, con il suo continuo esporsi, prendere posizione. Mi ricorda che il coraggio dello scrittore è ben più che un’idea, è un calvario. Significa rinunciare alle amicizie, se del caso, significa essere scomodi e, a sedici anni dalla sua morte, perfino essere oggetto di continui ed infamanti attacchi personali.
Ho scoperto anche che i due avevano in comune, tra le tante cose, la passione per “L’isola del tesoro”, di Stevenson. Borges la definì “una delle possibili forme della felicità”, Sciascia ne scrisse due pagine mirabili nel suo “Il Cavaliere e la Morte”.
Ho sempre adorato il romanzo di Stevenson e forse le mappe che ritrovo nei romanzi di Sciascia mi appassionano proprio perché mi coinvolgono e mi fanno sentire un piccolo Jim Hawkins alla ricerca del tesoro segreto dello scrittore. Cosa sia il tesoro non lo so: se fosse vivo vorrei essere suo amico, per disturbarlo ogni volta che mi va e fare due chiacchiere. Questo non è più possibile, ora. Forse il tesoro è l’avventura stessa, come lascia intendere Stevenson, e dunque Sciascia rappresenta per me una delle possibili forme della felicità, ma diversa, più intellettuale e, contrariamente a quanto si pensi abitualmente, è fonte di continua speranza.

4 Comments:

Blogger Guglielmo il Maresciallo ha sostenuto

Ho letto solo "Il giorno della civetta".

Ma Sciascia mi ha colpito. E' un giardino misterioso e profumato.

Vorrei addentrarmi furtivamente.
Scoprirne i segreti recessi.

Ed in infatti in libreria accarezzo volumi sottili della Adelphi. Li bramo.


Ma poi mi fermo...

Ho un caro amico che mi ha promesso copie preziose del sommo...

Non vorrei ferirlo comprando in autonomia...

Ed allora attendo, in piedi, nella luce del cancello finemente lavorato che delimita quell'odoroso giardino...

11:21 AM  
Blogger Guglielmo il Maresciallo ha sostenuto

Ricevuto da chi poi?

Lo hai scritto tu!

12:59 PM  
Blogger Il connestabile ha sostenuto

l'ho ricevuto dalla newsletter!

sono stato inadempiente, ma rimedierò... verso fine agosto avrò notizie su quella cosa di palermo...

2:26 PM  
Blogger Guglielmo il Maresciallo ha sostenuto

Scritto cosi accende la cuirosità del Ros!

Ma la newsletter l'avrai scritta tu!

3:05 PM  

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