venerdì, agosto 05, 2005

Gerusalemme, la fine

Il poderoso esercito del Sultano si schierò all’alba. Le bandiera sgonfie nell’aria rovente. Gli Emiri, ritti dietro la prima fila, guardavano fieri verso i nostri spalti. Fu subito chiaro che avremmo avuto la peggio. Il Sultano passò in rassegna gli uomini su di un destriero bianco. Lo sguardo fisso sulla schiera e la scimitarra che mulinava nell’aria indicando San Giovanni d’Acri.

Ad un suo cenno un urlo terribile si levò al cielo. Le scimitarre batterono sugli scudi ed il frastuono ci investi come una tempesta. I petti dei soldati, coperti di sete preziose ricamate, si gonfiavano ritmicamente levando urla sempre più alte.

“Fratelli...” disse il nostro Gran Maestro sollevando la celata dell’usbergo e brandendo la spada di nudo ferro.

“L’oriente è perduto. Siamo stati abbandonati in questo ultimo lembo del Regno di Gerusalemme in attesa di un aiuto che non verrà mai. L’unica dono che possiamo ancora fare alla Cristianità è l’esempio. L’esempio di chi combatte per mantenere fede ai voti fatti. Siamo soldati ma prima di tutto monaci e come monaci terremo fede al giuramento prestato. Il nostro martirio risveglierà forse le coscienze sopite e riporterà all’attenzione la sorte della Terra Santa.

Vi ho detto che siamo prima di tutto monaci ma oggi, dopo aver pregato, dovremo affidarci alle nostre doti di cavalieri. Alcuni di noi oggi morranno, altri si metteranno in salvo a Cipro, altri ancora saranno uccisi perchè rifiuteranno la conversione. Qualsiasi sorte abbiate la pagina che scriveremo oggi entrerà nella storia del Tempio ed in quella del valore...Che Iddio vi sia al fianco!”

Un urlo tremendo si alzò verso il cielo come risposta a quella invocazione!


Una pioggia di frecce fiammeggianti colpì i tetti delle case. Piccoli incendi iniziarono a divampare qua e là. Le pesanti macchine da guerra del Sultano si misero all’opera e subito aprirono una breccia tra le mura. Le navi iniziarono dunque a salpare cariche di cavalieri, donne e bambini in fuga verso Cipro. Solo noi Templari restammo sulle mura a difendere ciò che restava di un sogno. Il grosso di noi si riversò verso la breccia dove capimmo che si sarebbe svolto lo scontro decisivo. Mentre le truppe nemiche tentavano di penetrare in città il Gran Maestro pose il suo possente corpo nella breccia. Dietro lui si accalcarono i compagni che, in pratica, si sostituirono alle pietre cadute. Le frecce mietevano vittime tra i Templari accorsi a seguire l’esempio di Guglielmo da Beaujeu.

Uno dei veterani chiamò a raccolta alcuni di noi giovani.

“Dobbiamo seppellire il Gran Maestro nella cripta della nostra cappella. Non possiamo permettere che le sue spoglia giacciano insepolte sul campo di battaglia.”

Raccogliemmo le spoglie di Guglielmo e corremmo verso la cappella.

Richiusa la pesante porta di cedro del libano alle nostre spalle piombammo nel silenziò piu’ assoluto. I nostri cuori si rasserenarono. Poggiammo il corpo del Gran Maestro, che non era ancora morto sull’altare e spostammo la pesante pietra che copriva la Cripta.

“Guglielmo...” sospirò il mio omonimo.

“Hai combattuto con onore...ora lasciami morire ma prima, ti prego, descrivi cosa vedevi al tramonto da quell’’altura....”

Guglielmo di Beaujeu morì mentre io, tra le lacrime, sussurravo per l’ultima volta al suo orecchio come Gerusalemme, da quella altura, appariva al tramonto del venerdì...

Seppellimmo il corpo di Guglielmo di Beaujeu mentre la città cadeva.

I miei compagni fuggirono verso le ultime navi che salpavano verso Cipro io decisi di restare per difendere fino all’ultimo il corpo del Gran Maestro e l’onore del Tempio.

Ed ora, mentre vergo queste ultime righe, odo le scimitarre battere contro la massiccia porta della nostra cappella. Ben presto cadrà e una sola spada rimarrà a difendere l’oriente cristiano...la mia....


Guglielmo, il Templare
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