venerdì, luglio 01, 2005

E questo sono io...

Sono nato a nel 1927 a Ponte a Cappiano. Mi madre era una contadina. Mio padre il parroco di una pese vicino. Almeno cosi’ si diceva. Vivevamo nell’agio, rispetto alle media dei miei concittadini è ovvio, e questo dava credito ai sospetti di chi diceva che godessimo di rendite misteriose. La mia latitanza iniziò una notte del ’43, La mia vicina di casa, detta la Maddalena, aveva stretto rapporti un po’ troppo stretti con i fratelli ariani ed il paese vociava anche su quello. La notizia era giunta anche alle mie eccitabili orecchie di adolescente e, vuoi la vergogna per mio padre, vuoi la vergogna per la mia terra invasa, una notte in cui i mugugni erano un po troppo alti, scavalcai la ringhiera che divideva il terrazzo in comune in due e mi affaccia alla finestra, aperta per il gran caldo, della Maddalena. Il mio sguardo, prima che sui corpi avvinghiati, cadde sulla Luger del Capitano delle SS che aveva scelto quella casa come rifugio. Con un colpo gli feci saltare le cervella. Ho sempre immaginato che abbia avuto la morte che sognava. Mi diedi dunque alla macchia. Sugli Appennini mi aggregai, per sopravvivere, ad una brigata partigiana: la Garibaldi.

Combattemmo timidamente i tedesche per diversi mesi e solo quando giunsero i paracadusti inglesi passammo all’offensiva. Fummo aggregati ad una compagnia guidata da un capitano che ci aveva scambiati per quaglie. Per stanare le mitragliatrici nemiche mandava un paio di noi in avanscoperta e quando i crucchi iniziavano a far fuco lui faceva colpire con i mortai. Inutile dire che non era amatissimo. Una mattina mando me ed Asso di cuori, un altro ragazzini, a fare le quaglie. I tedeschi erano in forma quella mattina e seccarono Asso dopo pochi metri. I riuscii a rientrare tutto intero quasi per caso. Il Capitano inglese fu trovato la mattina seguente con il cranio sfondato da un vaso di limoni. Il sangue la materia cerebrale rappresi, le foglie lucenti cadute dalla pianta, il bianco abbagliante della roccia su cui il corpo giaceva. E’ ovvio che i miei precedenti, per i quali godevo di una certa fama nella Garibaldi, dirottarono su di me tutti i sospetti. In realtà non ero stato io. Io lo avrei ammazzato nel pomeriggio, quando si ritirava per il sonnellino mediterraneo che cosi’ presto aveva acquisito.

Scappammo in tre. I maggiori sospettati. Durante la fuga scambiammo alcuni colpi di moschetto con gli inglesi. Un colpo fortunato mi colpì ai glutei. Vagabondammo per alcuni giorni ed alla fine decisi di farmi curare in un ospedale nei pressi di Napoli. Qui, qualche infermiere zelante, mi denucio’ agli americani. Fui avvicinato da un paio di figuri che mi minacciarono di consegnarmi agli inglesi se non mi fossi messo ai loro ordini. E’ chiaro che il destino, se avessi rifiutato, era il plotone d’esecuzione. Mi diedero una falsa identità e l’incarico di raccogliere informazioni sul comunismo nei movimenti partigiani....
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