domenica, luglio 03, 2005

L'impero del male

L’equipaggiamento per quella missione era quello classico. Niente stilografiche al cianuro, niente olio rovesciato sull’asfalto dal paraurti della mia Aston Martin (unica concessione alla teatralità), niente microcamere nascoste del tacco della scarpa ma collant di seta, cioccolata, medicine ed altri prodotti del miracolo occidentale.

Varcavo il confine in Austria e confine dopo confine viaggiava verso Mosca. Inutile dire che i contatti con membri del Pci che a lungo avevo coltivato in Italia si rivelarono estremamente utili per aprire frontiere e trovare canali commerciali. Dietro questi tentativi di allacciare relazioni commerciali si celava la mia eterna caccia di informazioni. Ma a questo compito, per me ormai abituale, John ne aggiunse altri due.

Avrei dovuto, con cautela, cercare di reclutare un qualche informatore fisso. Qualcuno disposto a tradire, insomma. Qualcuno da retribuire in dollari americana ed in riconoscenza che giungere sino all’asilo. Ed avrei dovuto raccogliere francobolli.

La prima volta che intrapresi temetti i non tornare più. Mi parve da subito impossibile poter sfuggire alle fitte maglie del controllo sovietico. Malgrado ciò inizia a girare per l’impero del male con disinvoltura. I primi tre viaggi mi limitati a fare il turista. Riuscii addirittura a concludere qualche piccolo accordo (la mia azienda si occupava di derivati del petrolio da utilizzare nei processi per la fabbricazione della plastica. Divenni ben pesto, grazie alla formazione dei ragazzi di Langley, un vero esperto e punto i riferimento per l’Europa) e a fare qualche innocente conoscenza.

Il quarto viaggio fu quello che segnò la svolta. Inizia a raccogliere francobolli usati con convinzione in particolare quelli che mi vendeva un ragazzetto che viveva sul confine polacco.

A Mosca, grazie ai soliti contatti, partecipai ad una festa in una delle dacie della periferia.

La vodka, che scorreva a fiumi, rasserenò gli animi dei piu’ diffidenti e ben presto le lingue si sciolsero. Trascorsi la sera come un’ape in un campo di fiori primaverili. Non sapevo dove posarmi e ogni pezzo grosso del politburo o generale pluridecorato che mi passava mi sembrava pronto per fare un bel buco nella cortina di ferro.

Alla fine scelsi un colonnello. Dopo aver fatto la mia apertura tradizionale raccontando per bene tutta la mia storia di copertura rimai in attesa della sua mossa. Il suo nome era Aleksander Rominstrov ed era comandante del distretto aereo di Leningrado. Iniziò a parlare della Grande Guerra Popolare contro il Nazismo ed alle diverse battaglie che lo avevano visto protagonista. Se fosse stato americano a quel punto sarebbe stato Presidente degli Stati Uniti ed invece, compresi tra le righe, poteva dirsi fortunato per essere sfuggito alle purghe staliniane seguite alla fine della guerra.

Ubriachi fradici tornammo alle macchine abbracciati come fratelli. Lo trascinai vero la mia Aston e feci un gesto che il giorno dopo, al risvegli pot sbornia, mi fece gelare il sangue: gli allungai un paio di confezioni di collant. Se Alek fosse stato un buon patriota da li a poco un paio di tizi in giaccone si sarebbero presentati per fare un lungo giro in macchina…

Non avvenne. Anzi. Poichè la sera prima Aleksander mi aveva confidato di essere un appassionato di caccia ed io avevo risposto con i racconti di quando per sfamarmi, mentre combattevo contro il suo stesso nemico, andavo a caccia sulle montagne di casa mia, la mattina seguente mi giunse un suo invito per una battuta i caccia nei pressi di Leningrado.

Risposi che al successivo viaggio avrei incluso una tappa a Leningrado.

Qualche mese dopo mi presentai alla base aerea nei pressi di Leningrado vestito con un perfetto completo da caccia italiano. Portavo anche due fucili sempre di fabbricazione italiana ai quali ero riuscito, dietro il pagamento di parecchi dollari, a far superare indenni la dogana (potenza dei container che inviavo mensilmente a Varsavia…).

Non sto a descrivere lo stupore reciproco che provammo quando vidi Alksey con indosso la tuta di volo dell’Armata Rossa. Era ovvio che il mio vocabolario russo italiano non possedeva piena padronanza delle sfumature. Trascorsi la mattinata a vomitare a bordo di un cacciabombardiere Iljusin II- 2 Sturmovik, gloria della battaglia di Kursk.

Dopo quell’avventura io e il colonnello Rominstrov diventammo grandi amici osa che, nell’accezione di Aleksey, significava prendersi solenne sbornie insieme e volare con il suo cacciabombardiere terrorizzando i paesi baltici interi.

Velatamente iniziai a far trapelare chi, in realtà, ero. Raccontai dell’ufficiale nazista ucciso e tutto quello che era seguito. Parlai dei miei amici americani e lascia intravedere la possibilità di ottenere soldi, calze o qualsiasi cosa volesse. Rominstrov iniziò a confidarmi di sentirsi a disagio. Mi raccontò della sua carriera stroncata, dei tanti colleghi scomparsi nel nulla e delle privazioni e soprusi che la gente comune era costretta a subire. Mi disse che sentiva l’obbligo quasi morale di fermare l’avanzata del comunismo nel mondo perché si rendeva conto che ormai era divenuto, alla stregua del Nazismo, una pericolo per la pace e la libertà. Gli offrii dei dollari ma lui rifiutò. Mi disse solo che piu’ in là, mi avrebbe chiesto la cortesia di chiedere ai mie amici dell’Agenzia asilo politico per lui e la sua famiglia.

Iniziò una proficua raccolta di informazioni che mando al settimo cielo gli americani…

3 Comments:

Blogger Il connestabile ha sostenuto

Spero ci sia un seguito, mi sto appassioanndo alla storia.

10:22 AM  
Blogger Il connestabile ha sostenuto

scusa grafologo, cosa significa il tuo commento?

2:22 PM  
Blogger Guglielmo il Maresciallo ha sostenuto

Scrivilo tu, così lo scrivi come vuoi...

5:49 PM  

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