mercoledì, aprile 30, 2008

Un bambino di nome Fe-de

Come se tornassi da un lungo viaggio nel deserto con una carovana di mercanti. Come se il mio aereo, i motori ancora caldi e le ali sporche, fosse appena atterrato da un lungo viaggio aereopostale sulle Ande. Come se la mia nave avesse appena gettato l’ancora nella baia dopo una lunga e tempestosa traversata. Così, mi saluta Federico quando torno a casa dal lavoro. Che io compaia sulla soglia di casa a fine giornata è, per lui, una sorpresa bellissima. Corre per casa annunciando il mio rientro:”papà-papà” e poi mi corre incontro abbracciandomi e baciandomi. I suoi occhi si illuminano per la sorpresa e la gioia. Il suo corpicino sembra contenere a malapena quell’ondata di entusiasmo.

Da qualche giorno, su richiesta o mentre è intento a sbirciare qualche libretto, canticchia una canzoncina scritta e composta da lui. Cantato in falsetto, il motivetto fa: “Papipapapipapapi, papi, papipapi, papi, papà”.

Mentre cammino per casa lui mi saltella intorno o mi passa in mezzo alla gambe colpendomi con le sue manine paffute. Se si vuole ottenere qualcosa da lui, è sufficiente non insistere. Basta chiedere la cosa con fermezza ed aspettare. Alla seconda richiesta lui, sorridendo, farà ciò che gli viene chiesto. Insistendo si incupisce, piega la testa in avanti e si stringe nelle spalle rognando.

Ogni tanto lo inseguo, lo prendo in braccio e lo giro e lo rigiro morsicandolo. Lui ride come un matto sino a che non singhiozza.

Da pochi giorni ha imparato il suo nome. E’ un segreto che però dice a pochi.
“Come ti chiami?”
“Fe-de” scandisce indicando il suo petto.

Ogni tanto cammina fin sotto la finestra della cucina e con la manina, con cui si spiega e chiede, chiede di essere sollevato per guardare fuori. Allora lo abbraccio stretto e con la sua testa all’altezza della mia guardiamo il cortile, le biciclette posteggiate, i pochi alberi che si stagliano a pochi metri e le nuvole in cielo. Io gli parlo e lui, con pochissime parole, molti suoni e la sua manina, risponde e commenta quello che dico. Se è una giornata di sole, guardo i suoi occhi azzurri. Sembrano piccole pozze di luce. Acquamarine trasparenti. Osservandoli penso sempre che non esistano occhi piu’ belli. Allora lo stringo ancora di piu’ e lo bacio sulle guance grassottelle. Lui, incurante, continua a fissare verso il cortile ed io sorrido dell’attenzione con cui scruta il mondo sorprendendomi ancora per quanto siano trasparenti e belli i suoi occhi.

Guglielmo
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