giovedì, aprile 17, 2008

Di un blu profondo ed intenso...

Un’ ossessione. Questo è Marianna. L’ossessione che qualcuno potesse ancora vederlo come qualcosa di diverso da un ubriacone. Da un barbone. Che qualcosa potesse ancora cambiare. Meglio, che lui, Aurelio, potesse ancora cambiare qualcosa. Non essere piu’ solo un disperato sullo sfondo della città. Ecco. Aiutare quella donna ad uscire dalla sua solitudine e dal suo dolore. Dall’apnea in cui si trova. Dalla corsa, solitaria e vuota, che sta facendo. E quando davvero l’ha salvata da quei tre, l’ossessione si è dissolta. Per quanto fosse caduto, era ancora lui. In quell’istante ha scelto ed ha scelto ciò che era giusto. Qualcosa di lui, nell’anima annerita, è rimasto. Da quello, pensa Aurelio, posso ricominciare. Da quello e da un amico.

Alla sua età, quasi quarant’anni, ha scoperte il significato di parole che ha ascoltato sin da bambino ma alle quali non ha mai saputo dare un contenuto.

Sono passati diversi giorni in quell’ospedale dalle grandi finestre. Luca è tornato a trovarlo. Hanno scelto sul catalogo dell’Ikea i mobili per arredare la sua stanza. Luca gli aperto un conto corrente dove ha versato qualche centinaio di euro per le prime spese. Gli ha presentato qualche amico e qualche amica. E’ come se gli stesse ricostruendo intorno una nuova vita artificiale. Una serie di legami, di cose, di documenti per reintrodurlo alla vita. Aurelio sa che toccherà a lui ridare a tutto un senso.

Nella vita a volte basta una parola. Basta un gesto per cambiare tutto. Marianna resterà il simbolo di quel riscatto. Resterà l’unico dolce ricordo di una fase terribile della sua vita che, ora si interroga, non sa piu’ nemmeno come abbia potuto affrontare. E questo, forse, è il segno che è finita.

Il carrello della cena che gli passa di fronte mentre abbandona la sua stanza d’ospedale ha un odore familiare. Odore di carta e pane caldo. Luca, poche ore prima, gli ha portato una tuta bianca ed un paio di Nike nuove. Vuole tornare a correre. Per qualche settimana dovrà stare a riposo. Cosi gli ha detto il dottore che lo ha appena dimesso. Nelle mani stringe come una mappa il foglietto con l’indirizzo di casa di Luca. Malgrado la debolezza che sente alla gambe, ha il cuore leggero e gonfio di speranza. Davanti all’enorme vetrata del settimo piano dell’ospedale in cui si trova, un’infermiera sudamericana annaffia con amore tre piante in un grosso vaso. Una serie ininterrotta di cime incorona l’orizzonte oltre la finestra.

Si sorprende ancora per quanto siano vicine le montagne a Milano e come, nelle giornate in cui il cielo è una lastra di alluminio azzurrata, paiano essere distanti solo pochi chilometri. Il sole inonda i pochi metri quadrati antistanti gli ascensori dell’ospedale.

E lei è li. Rannicchiata nell’angolo tra la vetrata e la parete. Immersa nel calore e nella luce dell’intenso sole delle sei del pomeriggio. I capelli sciolti le coprono le orecchie per cadere poi sulle spalle e sul petto. Aurelio si ferma e quel poco di forza che aveva pare scivolargli via dalle mani e dall’inguine. Indossa una gonna lunga ed una giacca nera. La camicetta bianca ha polsini a sbuffo che paiono sfuggire dalle maniche della giacca. E’ appena uscita dall’ufficio, riesce a pensare Aurelio. Si sta mordicchiando il labbro inferiore e sembra che stia per piangere. Ha lo sguardo da bambina. Lo stesso sguardo di chi si sta staccando da una roccia dalla quale non si può tornare a riva ma che al contempo è l’unico appiglio che lo illude di non essere in balia del mare. Lo sguardo di chi ha paura di staccarsi da quella stessa roccia per affrontare il mare aperto e sconosciuto.

Aurelio continua a fissarla. Lei stacca a fatica le mani dalla sbarra di acciaio che scorre lungo tutta la vetrata. Fa il primo passo e poi, quasi correndo, affonda nel petto e nella giacca imbottita di Aurelio abbracciandolo

Aurelio, gli occhi pieni di lacrime, riesce solo ad alzare lo sguardo verso la vetrata e a stringerla a se.

Le piante del cortile sono piegata da un vento che ha spazzato completamente il cielo.

Quasi al tramonto è di un blu profondo ed intenso trafitto solo dalle prime stelle. Le montagne, malgrado la stagione avanzata, sono ancora incappucciate da un manto di neve.

Stringendola ancora piu’ forte, poggiando il naso nella scriminatura dei suoi capelli e carezzandole la nuca, riesce solo a dire: “Come ti chiami?”.

La risposta di lei è un sussurro che si smarrisce nel petto di Aurelio e tra le lacrime.

Ci sono giorni in cui un ottimista, particolarmente in forma, può ancora pensare che Milano sia un bel posto per vivere.

Guglielmo, il Maresciallo

1 Comments:

Blogger Il connestabile ha sostenuto

Bello!!

[finalmente posso scrivere questo commento sotto qualcosa di tuo...]

2:21 PM  

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