lunedì, marzo 31, 2008

Il Killer ed il Poeta

Alla fine Susanna ha ceduto. Abbiamo iscritto Riccardo ad una scuola calcio in oratorio. Cosa c’è di piu’ bello dell’odore dell’erba in primavera, del tiepido sole di primavera che scalda il volto, della stanchezza che ci prende dopo la corsa e gli scatti. Cosa è piu’ intenso di un branco di maschi che giocano a pallone? Vigilando che non ci sia troppo agonismo, troppe urla e parole ho accompagnato Riccardo, insieme a Federico, al suo secondo “allenamento” (con lui evito questa parola e mi limito a dirgli “giochi a calcio stasera?”).

“Mi accompagni fino a li?” mi ha chiesto indicando il gruppetto di ragazzi che guida i bambini.
“Perché? Mica ti mangiano…”
“Perché voglio darti un bacione!”
L’ho accompagnato sino alla porta ed ho salutato i ragazzi. Riccardo mi ha tirato a se e mi ha dato un bacio. Ha preso un pallone ed ha iniziato a parlare.
Un suo compagno di asilo gli ha chiesto: “Ma ci sei anche tu Riccardo?”
“Si. Sono già venuto ieri (in realtà sabato)”
“E non hai le scarpe da calcio?”
Riccardo è uno dei pochi a non avere la maglietta di una squadra di calcio e l’unico a non avere le scarpe adatte.
“No!” ha risposto felice “Ho queste!” ha urlato indicando le sue vecchie Nike.

Riccardo è questo. Un entusiasta. Uno di quelli che sorride sempre. Corre. Fa una capriola. Dribbla dei paletti di legno e torna di corsa. Intanto ride. Altri bambini stringono i denti, hanno la faccia tesa per lo sforzo e l’impegno. Lui sorride felice. Se segna un goal esulta felice e se il portiere all’ultimo devia il suo tiro lui esulta lo stesso: “Noooo! L’ha parata!” dice quasi ridendo della bizzarria delle traiettorie della palla e della vita. Ogni tanto interrompe tutto e corre da me e Sbuzzy. Abbraccia suo fratello e lo bacia. O si interrompe e, dopo averlo salutato, fa cenni incomprensibili a Federico che credo intendano preannunciare una prodezza . Alla fine gli ho dovuto dire: “Pensa al gioco!”.

Riccardo non ha l’istinto del killer. E’ un poeta. E’ uno che vede la bellezza in ogni cosa. Uno che si entusiasma per nulla e che lascia che la fantasia corra sfrenata. Si getta tra le onde con fiducia e coraggio.

Ho riletto un vecchio post in cui lo descrivevo che guardava sognante il mondo che lo circondava e studiava con incanto il giallo ed il rosso sgargiante di un’aiuola di tulipani. Era già cosi quando aveva poco piu’ di un anno.

Sbuzzy, invece, è un killer. Sedute al nostro fianco stavano due ragazzine. Intente a guardare i giocatori piu’ grandi (7/8 anni) e chiamando i loro nomi per metterli in imbarazzo.
“Dai Pietro!”, “Ehi Kaka” “Hai visto Alex!?” urlavano dandosi di gomito. Tra le mani tenevano il bene più prezioso che Federico potesse anelare: un pacchetto di patatine al formaggio.

Sbuzzy Boy, con il cervellino che girava a mille, ha subito capito che il pacchetto in questione esulava dalla mia giurisdizione. Ha capito che doveva cavarsela da solo. Ha iniziata a guardare la signorina al suo fianco studiandone i punti deboli. Protendendosi verso il pacchetto, ma tenendo le manine ben a posto, cercava di capire quale fosse la via piu’ rapida. Ha fissato la lunga treccia della bambina ed ha iniziato a carezzarla. Vedendo che la fanciulla non dava segni di sorta ha giocato il tutto per tutto. Ha raccolto la manina in un pugno e, con le nocche morbide e le prime falangi, ha iniziato ad accarezzare il collo della bambina proprio sotto l’orecchio. Lei, occhi verdi e lentiggini appena accennate, si è voltata sorpresa per cotale audacia. Sbuzzy, che tra quelli che lo conoscono passa per timido ma che in realtà è solo scontroso, le ha sorriso (il primo sorrise fatto ad un estraneo negli ultimi quattro giorni). Il sole, al tramonto, scintillava negli occhi piu’ azzurri che si possano vedere. Il Brad Pitt dei noantri ha piegato dolcemente il crapino.

“Come sei bello…che bei capelli…” . La fanciulla ha iniziato a passare la mano nella massa bionda di Sbuzzy. Lui, notoriamente refrattario a qualsiasi contatto, ha lasciato fare. Lei, che non ha ancora capito che al mondo ci sono maschi come Sbuzzy (che si accarezzano il collo è perché si aspettano qualcosa indietro…) è tornata alle sue occupazioni. Federico, arrendevole come un pittbull, non ha mollato la presa. Dopo aver nuovamente carezzato e studiato la lunga treccia della sua preda, ha nuovamente accarezzato dolcemente la nuca della sua bella. A questo punto lei è crollata “Ma come sei dolce! Che belle manine che hai…”. A questo punto Sbuzzy ha giocato il jolly. Ha sorriso. Le fossette di “Hollywood Sbuzzy Boy“ hanno dato il colpo di grazia. Dopo mia autorizzazione la puella ha infilato nella fornace di Sbuzzy una patatina. Fede non è uomo da un colpo e via. Ha estorto, con moine varie, un’altra patatina ed un popcorn alla di lei amica (Dio scampi le coppie di amiche dalla strada di “Nato il quattro luglio” ). Alla fine, le gambe ciondoloni dalla panchina, Federico sembrava soddisfatto. Se avrà un decimo della parlantina del fratello ritengo che nessuna donna, da qui sino agli Urali, possa dirsi al sicuro.


Guglielmo

Il tuo smartphone ideale

Per scopire quale sia il cellulare ideale in base alle proprie esigenze.

http://3lib.ukonline.co.uk/grid.htm

E la risposta per me e' proprio quello che sto usando in questi giorni. :-)

domenica, marzo 30, 2008

e poi...

corri, l'aria ti punge la faccia, il vento ti stuzzica gli occhi e ti porta a lacrimare.
e poi.. mentre fendi l'aria, un odore, un profumo di erba, polline, fiori, ti porta indietro di 10 anni. quando avevi 26 anni: sogni, speranze.. e poi ripensi al tecnologo di allora, ai pensieri che faceva. non si immaginava allora, che solo 10 anni dopo sarebbe stato tutto quello che è ora...
dura tutto un attimo, una frazione di secondo. se tu fossi in un film, ci sarebbe un suono e della musica di sottofondo.
ma questa è la vita reale, e tu sei lì, con le gambe che mulinano, e la strada sta per salire.
e poi non c'è più tempo per i pensieri... sei con due persone che hai incontrato sulla strada della vita. una è la prima volta che prende la bici da corsa e il battesimo del fuoco sono 60 chilometri in brianza. con 12 di salite. da spaccare fiato e gambe.
e poi sei a casa alla sera. che scrivi due scemate su internet. con i muscoli ancora indolenziti.
contento di aver ripreso la tua bici da corsa e fatto questa sgambata.
contento di quello che ti è successo in questi dieci anni.
tec
ps: un particolare ringraziamento al Connie per quella cosa là... ;-)

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Roba iyyat

Dicono: Ci saranno, allora, e Kauthar e Hurl e Paradiso
Ruscelli di miele e di vino e di zucchero e latte:
Riempi però, qui, la coppa di vino e dammela in mano:
Piu' bella è moneta sonante che mille cambiali

Dicono: coloro che pii e casti nel mondo
Risorgeranno in tal forma quale già avevano morendo.
Per questo noi sempre con vino ed amanti passiamo la vita,

Che forse ci faccian risorgere così nel Giorno Supremo!

Omar Khayyam, Quartine , metà del secolo V dell'Egira (XI sec. d.c.)

giovedì, marzo 27, 2008

Delle auto e d'altro

Mi ricordo che quando mi affacciavo all’età della patente sognavo di avere una Golf. Era il massimo, all’epoca. Un mio caro amico ce l’aveva – nera, GTI – e sfrecciavamo, la sera, quando uscivamo in occasione della maturità. All’epoca avevo una Fiat Uno, cinque porte…
Con il tempo ho maturato una convinzione, sulle auto: si diceva infatti all’epoca, che chi avesse una Golf fosse uno che andava veloce in macchina, tendenzialmente uno sbruffone, e maleducato, anche. Di più: tutti i comaschi avevano la Golf, o i montanari, e non ci si poteva che aspettare che corressero sui tornanti e ti facessero le luci, per superarti in curva, sgasare ai semafori e non rispettare gli stop o il dare la precedenza. Io non ci credevo, allora. Più tardi sono entrati nel mercato i Suv. Non ci crederete, ma ricordo ancora dov’ero quando per la prima volta ho visto un Porche Cayenne, nero bellissimo, naturalmente Turbo. Ero in pausa pranzo in via Donizetti, e il Cayenne era parcheggiato sul marciapiede (la via per chi la conosce è molto stretta), all’angolo dove si trova un bar. Passando nello stretto passaggio lasciato libero sul marciapiede, per entrare nel bar, tutti osservavamo questo meraviglioso, lucido carro armato.
Ecco allora che con il proliferare dei Suv, sono fiorite le leggende: chi ha il suv è uno che corre sui tornanti e ti fa le luci per chiedere strada, per superarti in curva, sgasare ai semafori e non rispettare gli stop o il dare la precedenza. Eh, mi sono detto, sono solo maldicenze…

… invece forse è proprio così, generally speaking. Perché è naturale che se hai una macchina potente, vai veloce, se ti senti dentro un carroarmato capace di andare a 200 all’ora, vaia 200 allora e in malora chi non si sposta… che se hai una machina tendenzialmente molto alta, allora sali sul marciapiede, non perché tu sia maleducato, ma perché le cose che possediamo ci condizionano. L’ambiente in cui viviamo ci condiziona. Certo anche io posso andare veloce e mancare uno stop, dipende da tanti fattori, ma le cose che abbiamo, rappresentano dei limiti e la nostra cultura, anche, l’educazione, la prudenza. Non tutti saranno maleducati, sforntati, arroganti, prepotenti, ci mancherebbe altro. Non mi piace generalizzare. Però ora non comprerei mai un Suv. Non so che famene, mi basta che la macchina sia sicura, spaziosa, economica, etc. Non voglio un M1 Abrahams come macchina, perché non ho bisogno di un cingolato con un cannone da 120mm, mi basta un’auto. Infatti non è un caso che non si dice “quelli con la 206 sono dei maleducati alla guida”, ma si dica “ quelli con Suv fanno i padroni del mondo”.

Ecco, si potrebbe allora dire che ci siamo noi, con le utilitarie, con le macchine normali, e ci sono loro col Suv. Noi e loro, e non è un caso che sia così. Siamo prodotti della cultura di cui ci circondiamo, e mentre è possibile che io mi metta nei panni di uno con il Suv, e mi comporti di conseguenza, non trovi mai uno con il suv che si comporti come uno con una utilitaria. Mai, o quasi mai. Perché le cose ci condizionano, tutte. E la cultura nella quale, come pesci, nuotiamo, più di tutte…

dove votero'?

ecco il risultato di un simpatico test:


Potete farlo qui.

tec

trovato su: http://www.emmebi.blogspot.com/

mercoledì, marzo 26, 2008

In Hoc Signo

Giovedì scorso saltabeccavo di qua e di la tra i canali del mio vecchio Sony. Mentre passavo su Italia Uno mi sono imbattuto nella pubblicità del film “Le Crociate”. In sovrimpressione, mentre il prode Orlando furoreggiava in Terra Santa (ne ho già scritto in passato), lampeggiava la scritta “ECCEZIONALE”. La voce dell’annunciatore intanto declamava una frase del tipo: “In occasione del venerdì Santo siamo lieti di presentare “Le Crociate”. Lì per lì mi non ho colto il nesso tra Orlando ed il Nazzareno. Ho pensato che tra i due correvano almeno mille anni. Poi, ho capito. Il nesso era il sepolcro. Orlando, da buon cristiano, ha imbracciato le armi per difendere e liberare il Sepolcro. Orlando era li per combattere ed difendere il Sepolcro dagli infedeli. Ho pensato che se fossi stato un mussulmano un tantino mi sarei risentito. Nel dettaglio mi sarei risentito se qualcuno avesse invaso il mio paese e volesse dettar legge a casa mia (inutile dire che Gerusalemme, quando cadde nelle mani dei crociati, grondò sangue per giorni ed non fu facile distinguere il sangue dei mussulmani, dei cristiani e degli ebrei massacrati nella frenesia della liberazione della “Santissima”).

Un paio di giorni dopo, a pranzo dai miei, ho visto su Sky un documentario su Riccardo Cuor di Leone. Mentre i crociati si apprestavano al confronto con le truppe del Saladino Riccardo, mentre i mussulmani sullo schermo si disponevano all’imboscata, mi ha chiesto “Ma questi sono i cattivi?”.

La prima cosa che mi è venuta in mente è stata: “Si!”. Poi, pensandoci, in effetti non era poi così facile capire da che parte stessero i buoni e da che parte i cattivi. In effetti i Franchi non erano in Terra Santa per una scampagnata.

La conversione di Allam è un gesto da rispettare e che, da cristiano, mi rende felice. Rispetto e stimo Allam ne piu’ ne meno di prima(condivido alcune sue battaglie, come quella sulla poligamia sommersa, ed altre meno) e rispetto il suo esporsi in prima persona. Quello che non riesco a capire è il significato del gesto. Quello che non capisco sono le frasi di benvenuto. Come se fosse evaso da una prigione. Come se fosse fuggito da chissà quale inferno. Quello che non capisco è questo dividere le persone, gli esseri umani, in “nostri” e “loro” e poi dirsi cristiani.

Essere cristiani è faticoso. Non è come stare sugli spalti di uno stadio. Io non mi sento un buon cristiano. Cerco di esserlo e cerco di trovare nella Parola che ogni tanto mi transita davanti agli occhi segni di Dio ed indicazioni per la mia vita. Non sono un uomo particolarmente tollerante ma cerco di pensare che i mie figli, davanti agli occhi dell’unico Dio (che è il Dio della Bibbia ed è il padre di Gesù) sono uguali ai figli del mercante che all’alba apre il suo negozio di granaglie a Islamabad o al figlio dell’israeliano ebreo che muore combattendo sul confine con il Libano.

Non è facile da pensare e non facile comportarsi pensando che tutti siano nostri fratelli (tutti). Ma l’eesenza del Cristianesimo penso sia tutta qui. Se pensassimo agli altri (i nostri figli, nostra moglie, nostro padre e nostra madre e l’uomo che vive pescando alle Comore) come a carne della nostra carne il mondo non sarebbe l’immondezzaio che è.
.
E quello che non capisco è come le persone traggano ispirazione da Cristo per dividere gli uomini, i nostri fratelli in Cristo (mi è parso di sentirlo dire una volta a Messa), in noi e loro. E non capisco quelli che trasformano un gesto personale e privato (perché questo è e credo che con questo spirito sia stato fatto) in uno stendardo da mostrare verso il campo avverso (sempre che ne esista uno).

È un po come reintrodurre la “preghiera per gli ebrei”. Che significato ha? Vuol dire che esistono dei “noi” e dei “loro” anche con gli ebrei?

Ecco. Spero di essere stato abbastanza intelligente da non deludere il Baccelliere

Guglielmo, Il Maresciallo

Lo scandalo delle meduse

Ma ditemi voi com'è possibile che un'edizione medusa di "aspetta la primavera bandini" di J. Fante sia classificata come libro raro e venduta a 20€, ma quelli del libraccio sono pazzi, matti da legare. E poi sul sito non dicono neanche che edizione è, se è in buono stato o se è tutta rotta. Ma come si giustifica una cosa così? Quasi quasi notte tempo vendo la collezione della mamma su ebay e mi faccio tanti bei soldini....
Colgo anche l'occasione per lanciare un appello, chiunque trovasse su bancarelle edizioni Marcos y Marcos dei libri di Fante mi avvisi che io non ne trovo e trovo pessime le nuove edizione di Einaudi.

Magdi Cristiano Allam

Questa conversione è passata sotto silenzio...che dite?
Non i soliti clichè stile ucoii " Ha dato troppo risalto mediatico ad un gesto personale", qualcosa di un poco più intelligente..

ohmamma!

martedì, marzo 25, 2008

Senza trama

Se non si possiede un punto di osservazione fisso, la vita, variando angolazioni e prospettive, ci appare per quello che è. Aurelio sa, o meglio scopre, che quella è la sua unica ricchezza. Marianna, quella donna, non è scomparsa. Marianna, ma già chiamarla Marianna è un errore di valutazione e prospettiva, non è scomparsa. Forse si è stancata. Forse, all’improvviso, si è resa conto dell’assurdità di tutto quel correre. L’assurdità di quei minuti, 57, trascorsi a correre, a consumare muscoli ed energie nervose. Di questo si è resa conto. Ha guardato le sue scarpe e, così come ha iniziato, ha smesso di correre. Aurelio sa che correre, come nuotare e pedalare, è una droga. Un passo dietro l’altro, una bracciata dietro l’altra, un colpo di pedale dietro l’altro perdendo il conto, la misura ed infine il senso. È l’ultimo stadio. Quello che raggiunge chi smonta il contachilometri dalla bici, dimentica di contare le vasche in piscina o finisce di correre e fatica a ricordare se sia passato o meno da un punto preciso del consueto percorso. Chiedete ad uno che ha appena smesso di correre che percorso abbia fatto. Dovrà pensarci. Ma chiedetegli cosa ha deciso della sua vita negli ultimi 57 minuti e saprà farvi, con orgoglio, un resoconto dettagliato delle decisioni prese. I muscoli, cuore incluso, hanno memoria. Il cervello, ed a volte basta il gelo dell’acqua, il vento tagliente sulla faccia o la sensazione di liberta dei pantaloni corti o attillati, manda il primo impulso ed il resto è tutto in automatico. Bisogna lavorare per raggiungere questo stato. Ma in quel mentre il cervello, libero da ogni preoccupazione riguardante i successivi 57 minuti, amplifica il suo potenziale a dismisura. E’ per il culmine dell’estasi, esaltato dalla carenza di ossigeno, che si corre.

Ma quella donna, ecco recuperata la giusta prospettiva dell’intera vicenda, è di altra pasta. Ha capito, in un lampo, l’ampiezza e la profondità del vortice in cui è precipitata. Prima che le cartilagini si sciolgano come ostie, prima che la spina dorsale si comprima come un mollone scarico e prima che le anche vengano divelte dal bacino, ha smesso. E lo ha fatto, e in questo risiede l’equivoco, nel lato buio della montagnetta. Marianna non è scomparsa. Semplicemente, non è mai stata.

La vita non ha trama.

Questo pensa Aurelio per altri quattro giorni.

Questo pensa Aurelio vagando lungo i binari delle Nord, l’anima in riserva, cercando il filo smarrito della sua miserabile esistenza. Marianna, che non è mai stata, ha smesso di correre. Io ho smesso di vederla. Le nostre vite, l’intersezione dei nostri insiemi, come quelli con cui mi esercitavo alle elementari, è vuota. Quello che ho pensato di vedere, capire, non è mai esistito.

No si sfugge così dalla pazzia? Non si sfugge così dall’ossessione?

Come Marianna, pensa aggrappandosi disperatamente ancora a quel nome (non è un buon segno, cazzo!), anch’io posso smettere. Non ho bisogno di questa droga che è la speranza che i suoi occhi cadano tra i miei. Il polo nord magnetico, sepolto sotto le macerie, è scomparso. Può tornare a bere. A bere vino da sgargianti cartoni. A condividere bottiglioni di acido con altri disperati. Ma non lo fa. Per esperienza, si impara qualcosa sopravvivendo a disfatte colossali, sa che non bisogna mai lasciarsi andare del tutto alla disperazione.

Questo pensa Aurelio per quattro giorni.

Ed è alla mattina del quarto, un sabato, che quella donna, Marianna, ricompare. Aurelio, attratto dalla montagnetta, come noi siamo attratti dai luoghi in cui siamo stati felici, vaga lungo le pendici della collina e, a tratti, con studiata casualità, ripercorre brandelli del percorso di Marianna. E circa al culmine del secondo livello, poco prima che il sentiero precipiti verso gli abissi del tratto asfaltato, la vede.

Indossa pantaloni bianchi dell’Adidas ed una felpa candida con le maniche che sembrano sul punto di inghiottirle le mani. Non ha le solite scarpe che usa per correre, ma un paio di Puma con il velcro. Guarda con nostalgia verso la cima e, con misto di rimprovero ed affetto, si carezza la coscia destra. Uno strappo.

Il cuore di Aurelio batte all’impazzata. Un nodo lo sorprende proprio tra il petto e la base del cranio. L’improvvisa apparizione e la disperazione dei giorni precedenti lo rendono audace. Saltellando sul pietrisco che sembra sbriciolarsi e franare sotto il suo peso si precipita verso le sbarre dove si effettua lo stretching. Marianna, camminando, sta facendo il suo solito percorso. Riprende, camminando, confidenza con il suo percorso. Nel giro di qualche minuto arriverà alle sbarre azzurre e farà esercizi di allungamento. In una valletta inondata di sole Aurelio scorge le prime margherite e dei fiori che, gli pare di ricordare, sua nonna chiamava gli “occhi della madonna”.

Sono comparsi probabilmente negli ultimi due giorni. Cercando di mantenere la calma ne raccoglie un mazzetto e ne avvolge i gambi con un pezzo di filo che penzola dalla sua giacca. Senza pensarci estrae la penna che tiene nella tasca del giaccone insieme ai documenti e, strappando un pezzo di carta abbastanza ampio dalla fotocopia di un qualsiasi documento ormai inservibile, scrive:

“Che fine hai fatto?”

Non può fare cancellature. Stima che non ha altri pezzi di carta cosi’ grandi. Deve valutare con attenzione cosa scrivere. Deve fare in modo che lei capisca.

Dopo mesi, che sembrano ere geologiche, riscopre il piacere di giocarsi tutto e subito. Assapora, con la lentezza che gli è consentita dal precipitare degli avvenimenti, quell’istante in cui tutto dipende da lui.

Potrebbe posticipare quella sua idea ma riesce a convincersi che ora o mai piu’. Che tutto, (tutto, cazzo!) si gioca li e adesso. Forse, piu’ semplicemente (ma lo capirà piu’ tardi) sa che non troverà piu’ il coraggio. Deve fare in modo che lei capisca. Se solo avesse piu’ tempo.

“Che fine hai fatto? Mentre eri assente, sulla nostra montagnetta, sono spuntati i primi fiori. Mi sei mancata nei giorni in cui non ci sei stata. Mi sei mancata per i 57 minuti in cui i nostri mondi si intersecano…”

Infila il foglietto tra i gambi del mazzetto di fiori e lo lega con un pezzo di spago che ha in tasca al tubo azzurro scrostato.

Mentre si allontana con passo disinvolto si pente di quel gesto, di quello che ha scritto, di come lo ha scritto e delle conseguenze, che è certo, non saprà gestire. Ha paura che Marianna non capisca o che, peggio, capisca.

Ma la vita, davvero non ha una trama?

sabato, marzo 22, 2008

In mancanza delle crociate...

... ci accontentiamo della loro conversione.

Almeno dei migliori tra loro.

venerdì, marzo 21, 2008

AUGURI

Un Augurio di Buona Pasqua a tutti
A risentiri ad Aprile

martedì, marzo 18, 2008

Indizi e speranze

La vita è disseminata di falsi indizi e false speranze. Tracce capaci di confondere anche i piu’ attenti ed indurre in errore i piu’ esperti. False piste, messe a bella posta, ci distolgono dal riflettere sulla reale strada che stiamo percorrendo. Tutto è una lenta erosione. Un lento, quotidiano, digradare che ci allontana da ciò che conta. .

Questo pensa Aurelio mentre si chiude il giaccone sul petto. E riesce, con distacco, a rivedere, in quella che era la sua scintillante e perduta esistenza, i piccoli segni del suo precipitare. Lo sbriciolarsi della sua esistenza. La coltre di terra che ha sepolto tutto e nella quale, sino a spezzarsi le unghie, ha scavato alla ricerca dell’irrecuperabile.

Con attenzione, le mani tremanti per l’astinenza ed il vento tagliente , riesce persino a vedere i suoi falsi indizi, le illusioni, che lo hanno condotto giorno dopo giorno. Il lento allontanarsi da Rita. La sottile freddezza e distanza, da lui ha sempre liquidata come momentanea, che ha sommerso il rapporto con la sua ex moglie. Le scelte economiche errate. L’abbandono da cui era convinto di poter riemergere.

Questo pensa Aurelio mentre, per la prima volta da mesi, ha qualcosa su cui riflettere. Ha un gesto, parole, di un uomo che non appartiene alle esistenze sommerse in cui lui si muove, da comprendere e valutare.

L’indicatore di carica della batteria è quasi al massimo. Aurelio, ora, fissando quella barra tratteggiata che brilla nel buio, non si sente piu’ solo un fagotto di stracci sporchi. In un enorme schermo, che rappresenta Milano, anche lui è un pulsante punto luminoso. In tasca ha un cellulare ed un numero da chiamare. Una piccola rete di relazioni connette ora Luca, Marianna e lui stesso.

Costeggia l’imbocco dell’autostrada. Verifica che la tasca interna della giacca non abbia buchi. Vi infila il cellulare, dopo aver registrato il numero di Luca, lo scontrino, 20 euro e chiude il bottone.

Fa uno spazio, frugando nel mondo di carte e documenti ormai illeggibili che si porta dietro nelle tasche del giaccone, per il cavo con il trasformatore Oltre il guardrail, oltre le macchine che filano rabbiose, osserva la montagnetta. Per la prima volta, da quella posizione, gli appare minacciosa. Il versante rivolto verso il centro della città, visto da quell’angolatura e da quella distanza, è piu’ simile ad una parete che ad un declivio. Gli alberi, su quel lato, crescono in maniera piu’ irregolare. La presenza di quello che in definitiva è un gigantesco cumulo di macerie gli appare ora, per la prima volta in anni, strana. Chi ha voluto erigere quel gigantesco monumento funebre per i palazzi, le fabbriche, le chiese, in ristoranti, gli alberghi sventrati dalle bombe? E perché proprio li?

Un monito per le generazioni future su cosa può accadere quando si è trascinati nel baratro dell’odio?

In una città completamente piatta (ad Aurelio viene in mente una sola discesa che dal Parco Sempione porta verso Vincenzo Monti) qualcuno ha voluto creare una collina che di naturale non ha nulla. Pescando nei suoi ricordi d’infanzia, Aurelio, ricorda di quando con la sua classe delle elementari, erano i primi anni ottanta, aveva assistito, cantando canzoni degli alpini, alla posa, come fossero pali della luce, dei primi timidi alberi che avrebbero popolato e rinverdito il calvo e pietroso cumulo.

Nella sua esistenza ormai priva di riferimenti si accorge che da giorni, settimane, da quando insomma ha visto Marianna, la sua esistenza gravita intorno ad un asse sepolto sotto tonnellate di mattoni, intonaci e tegole. La soluzione di tutto, pensa ora mentre percorre per l’ennesima volta il cavalcavia, è li. Marianna è dietro qualche siepe. Riversa e coperta di foglie in qualche anfratto o con il volto ormai gelido rivolto verso un muretto a secco dove nessuno guarda mai. Accelera il passo ed il suo cuore il battito. Non ha guardato ovunque. Preso dai suo pensieri, dalle sue elucubrazioni, non ha guardato e riguardato ovunque. Marianna è morta. E lui l’avrebbe potuta salvare se solo avesse cercato. Se ora qualcuno lo vedesse, vedrebbe un barbone, gli occhi vitrei e sgranati, quasi correre rigido e barcollante sotto il peso dei troppi vestiti indossati. Aurelio tasta la tasca interna della giacca. Gli torna alla mente una storia che i ragazzini si raccontavano nelle lunghe e acide sere estive passate davanti alle latterie. All’interno della montagnetta, quando furono accumulate le macerie della guerra, fu costruito un enorme bunker dove, se fosse esplosa la bomba, qualcuno vi avrebbe trovato rifugio. Qualcuno raccontava che di notte si vedevano le luci posteriori rosse di auto dell’esercito sparire nel nulla e che all’improvviso, dai sentieri posti piu’ in alto, comparissero sempre dal nulla soldati in divisa ed armati. I piu’ arditi si spingevano a raccontare di alcuni amici troppo curiosi scomparsi sulla montagnetta. Vaga per alcune ore, le mani ormai insensibili per il gelo ed i tagli che si è procurato, cercando di smuovere enormi lastroni di cemento armato, frugando nei tombini e negli scoli dell’acqua.

sabato, marzo 15, 2008

Intenzioni di voto

Si avvicinano le elezioni ed il conciliabolo, parte attiva della vita civile di questa nazione, esprime le sue intenzioni di voto:
Gughi: la destra. checchè ne scriva qui, il suo animo è nero come la pece...
Archi: indefinito, il primo che cita star trek becca il suo voto
Fracanappa: rutelliano di ferro, ne ha seguito il suo percorso, dai radicali ai cattocomunisti
Bach: troppo preso da refurb or not (e' prossimo a lasciare il lato oscuro della forza per passare a mac), si dimenticherà di votare. 
Moose: ualter ueltroni, ora et semper.
Connie: silvio! silvio! silvio!
Tec: alla camera Giulianone. al senato la Santanchè, accompagnata dalla ferrari... mmmh.
tec

venerdì, marzo 14, 2008

Titolisti

Stamattina mi trovo con il Tec a prendere il caffè. Come spesso accade, il Tec è così gentile che, al ritorno dall'asilo, passa in edicola e compra il giornale anche per me (il venerdì soltanto).
Stamattina, dunque, butto un occhio distratto e leggo: Iraq, morto il vescovo rapito.
Ora, capisco che magari il povero vescovo ha avuto l'influenza, oppure gli è andato di traverso un nocciolo di pesca, oppure anche è caduto per le scale...
ma allora tempo addietro potevano titolare: "Grande esplosione nel cielo di Hiroshima"...

giovedì, marzo 13, 2008

blah blah blah

Mi sono avvicinata al mondo della politica (a livello locale, mi pare ovvio) da poco tempo...
senza entrare nel merito degli schieramenti destra, sinistra, su, giù... sono già arci stufa delle gran chiacchere che si fanno alle riunioni... ma si potrà discutere di qualcosa di concreto anzichè dare spazio solo alle proprie manie narcisistiche di protagonismo parlando a sproposito e soprattutto parlando del nulla???
le elezioni amministrative del mio paese si avvicinano, moose candidata consigliere comunale...

vota moose!!! moose for president!!!

Primavera a Milano




So che questo appuntamento oramai annuale vanta numerosi estimatori: per questa ragione allego foto delle magnolie del duomo che esplodono di primavera!

domenica, marzo 09, 2008

Il cielo di Lombardia

Il sole è tramontato da poco, portandosi via una delle rare giornate in cui un’ottimista, particolarmente in forma, può pensare che Milano sia un bel posto per vivere. Un vento deciso, di cui Aurelio non conosce il nome, ma è sicuro che nessuno gli abbia mai dedicato un verso o una canzone, ha spazzato l’aria e trascinato via nuvole ed umidità. Una di quelle giornate in cui Aurelio avrebbe salutato i colleghi in ufficio con un “Oggi si vedono le montagne!” dimenticando, come ogni abitante della città, che le prime increspature dell’arco alpino sono a poche decine di chilometri di Milano e che è strano non vederle piuttosto che il contrario.

Dall’arco delle prealpi pare essere giunta sino in città un’aria carica di odore di terra, foglie e di qualcosa di indefinibile e fresco che spinge a respirare sino a gonfiare il petto ed i polmoni a scoppiare. Mentre aspettava inutilmente di veder comparire Marianna, Aurelio, guardando senza mai saziarsene il cielo blu profondo graffiato da filamenti bianco latte, ha ripensato al cielo di Lombardia di cui parlava il Manzoni nei promessi sposi. Ha ripensato, con nostalgia, alla scuola. Alla sua professoressa d’italiano. Alle scelte, che parevano prive di significato e conseguenze, che ha iniziato a fare in quei giorni ed a come ognuna di esse lo abbia portate a quel preciso istante. A quel preciso stato d’animo. Si è sorpreso a sperare che la vita, come i romanzi, dia sempre una seconda, una terza e forse una quarta possibilità. O che almeno dia una possibilità di riscattare tutto.

Ha guardato il Casio e si è incamminato verso il McDonald. Ha costeggiato il fiume d’acciaio sporco (si ricorda di aver letto qualcosa di simile in un racconto da qualche parte e di essersi stupito che l’autore avesse avuto la stessa percezione del traffico che decine di volte lo ha inghiottito quando percorreva quell’autostrada piu’ volte al mese per lavoro) seguendo l’odore di patatine trascinato a folate dal vento.

Lo sbirro ha occhi tristi. Aurelio ripensa ai Ray Ban da pilota da caccia ed immagina li indossasse per non mostrare la tristezza. Come ogni volta che si relaziona con qualcuno che non viva nell’inferno in cui vive lui, Aurelio cerca di comportarsi come se la sua situazione non trapelasse da ogni dettaglio del suo abbigliamento, della sua cura personale e, per i piu’ attenti, della sua anima.

Luca sfila la mano sinistra dal giubbotto di panno grigio che indossa e la porge ad Aurelio.
“Ciao, Luca…”
“Buonasera, Aurelio…”
Luca ha circa venticinque anni. Forse meno.. È abbronzato da lampada e non porta la pistola fuori servizio. Aurelio lo deduce dal giubbotto troppo corto che il poliziotto porta aperto.
“Hai fame?”
“No…no…” cerca di dire senza troppa convinzione Aurelio.
Si sente offeso dall’inizio della conversazione sino a quando Luca riprende:
“Io non ho ancora mangiato. Mi fai compagnia?”

Il barbone annuisce come se accettasse per educazione.
“Non pensavo saresti venuto.” dice Aurelio.
“Non si mangia poi così male qui…” sorride Luca.

Lo stomaco del barbone si contare e dilata appena vengono investiti dal calore del locale gravido di odori di grasso e sapori forti.
“Cosa vuoi? Non offenderti ma offro io…prendi quello che vuoi…per favore…”

Aurelio cerca di fare il pieno di proteine, carboidrati e zuccheri. Luca prende un panino ed una coca.
“Allora…come è la storia di Rosanna…raccontami” dice facendo un sospiro tra lo stanco ed il triste.

“Marianna…Marianna…” dice Aurelio stringendo un panino enorme. “ veramente è un nome che le ho dato io…”

Lo sbirro sorride, aspira come un ragazzino la coca cola dalla cannuccia e spara: “E dove abita?”

“Non lo so. La vedo solo alla montagnetta”risponde secco Aurelio temendo un tranello. Fissa il ragazzo che gli ha offerto il pranzo aspettando una reazione o un’altra domanda insidiosa.. Ma Luca non è un investigatore e si limita a fissare il barbone in attesa del seguito.

“E’ come ti ho detto. Una ragazza che vedo correre spesso. Tre giorni alla settimana. Sempre lo stesso percorso circa nello stesso tempo. Quando è in forma. Ieri è successo qualcosa. Non ha completato il giro. Le è successo qualcosa…nessuno ha denunciato nulla?”

“No. No…ho chiesto anche oggi quando sono rientrato al commissariato. Niente. Nessuna denuncia di scomparsa che corrisponda. Secondo me ti preoccupi troppo. Magari ha solo preso una storta. Ha incontrato un amico. Un’amica. Si è ricordata di un appuntamento. Non conosci nemmeno il suo nome….”

“Io la conosco!” risponde Aurelio in un modo che sorprende persino lui. Subito si pente temendo che Luca lo scambi per un pazzo o un ubriacone. Sono due giorni che non beve…
“Io la conosco…” riprende con piu’ calma” non ha amici che corrono. Non prende mai impegni che interferiscano con la corsa. E se si fosse fatta male sarebbe tornata alle sbarre a fare comunque stretching…e non credo che qualcuno, se sparisse, farebbe denuncia…”

“Non ti sembra di aver dedotto un po troppe cose su di lei? Non ha una madre? Un Padre? Qualche collega che la cerchi…” Luca solleva il polsino della camicia e guarda l’orologio. Estrae il cellulare dalla tasca del giubbotto che ha appeso alla sedia e fissa il cellulare in cerca di un segnale che, Aurelio stabilisce osservando i suoi occhi, non pare esserci.

“Ascolta, io sono un barbone. Sono un ubriacone. Non ho piu’ niente…se non quella donna. Posso dirti quando ha avuto una giornata storta al lavoro. Posso dirti quando esce con un uomo per la prima volta e quando ha appena chiuso una storia. Posso dirti quando si sente sovra peso e quando un leone. Posso dirti quando passerà un sabato sera mangiando pizza da un cartone e vedendo un Dvd noleggiato. Tutto questo…da come corre. Da come fissa la strada di fronte a lei. Dalla maglietta che indossa e da come ha raccolto i capelli…ho solo questo…solo questo…a quella donna è successo qualcosa” dice sorridendo amaramente. Subito si pente di quella sincerità. E’ quasi certo che Luca si alzerà, inventerà un scusa, gli lascerà qualche euro e sparirà.

“Io sono un poliziotto da pattuglia. Non sono un investigatore. Cosa posso fare? Non posso fare indagini o una denuncia. Cosa vuoi che faccia? Anche ammesso che quello che dici sia vero. Non pensi di esagerare un po’? non voglio offenderti ma non credi di credere di conoscerla un po troppo? Non credi di aver immaginato un po troppo su quella donna? Di averla magari pensata troppo… “ Si passa la mano sui capelli corti strofinando con forza e sorride. Aurelio capisce che ha pronunciato quelle parole sforzandosi di non ferirlo.

“Ti sembro uno che ha qualche illusione dalla vita o che tempo per coltivarne?”

“No…direi di no…” dice il poliziotto ridendo dolcemente. “Ascolta…facciamo così…” si gira frugando nelle tasche del giubbotto mettendo sul tavolo un cellulare ed un cavo. “Ti lascio questo cellulare. Me lo ha appena ridato la mia ragazza…la mia ex ragazza…” dice con un tono di ironia che cerca di trasmettere con gli occhi ed un sorriso tirato “ la scheda è intestata a me. Non farci cazzate. Se vuoi venderlo e bertelo promettimi almeno di rompere la scheda. Se però lo fai, per me la questione è chiusa. Mostrami che ci tieni a questa faccenda. Io continuo ad informarmi al commissariato. Se ho novità ti chiamo. Se ne hai tu, se la rivedi, se scopri qualcosa mi fai uno squillo e ti richiamo. Dovrebbero esserci una decina di euro di telefonate ancora. Se hai bisogno te lo ricarico. Non rispondere alle chiamate, se non alle mie….che dici?”

“Va bene…va bene….” Il cellulare, al di la delle parole, gli sembra un impegno.

“Ora devo andare…” riprende Luca. “Finisci di mangiare con calma…un’altra cosa…non voglie sentirti che hai bevuto o per me è chiusa. Su questo non transigo…”

“Va bene…Va bene…grazie…”

Luca scrive il suo numero di cellulare sullo scontrino della cena. Nel darlo ad Aurelio trova il modo di dargli anche 20 euro. Alzando la sinistra livemnete e scuotendo la tersta rifiuta ringrazimenti e proteste.
“Hai qualche posto dove caricarlo?”

Aurelio annuisce. “Grazie…”

Luca viene inghiottito dal buio in agguato fuori dai vetri spessi e puliti.

Non è piu’ il solo a preoccuparsi per Marianna.

Osserva il Casio. Sono quasi due giorni che non beve. Finalmente ha un motivo per non farlo…

sabato, marzo 08, 2008

dopodomani

E' passato un po' di tempo, me ne rendo conto... ma le date le ricordo, chissà come mai ma mi rimangono fissate in testa.
Lo so, siamo stati poco insieme, la distanza, i lavori diversi, le possibilità economiche diverse.. ma quegli istanti rubati alle nostre vite ordinarie, rimangono ben custoditi nel cassetto dei ricordi.
Ho dovuto, 7 anni fa, cancellare tutto di te: il telefono, gli indirizzi, ma ho salvato i ricordi.
I baci rubati, al volo... abbracci non dati per non farsi vedere. ma quando si stava soli, ohmamma, era fantastico. ricordo ancora cosa mi dissi quella sera di aprile del 2001: "dopo di te, nessuno". Lo so che non è stato così, lo so che ci sono stati altri uomini. l'ho visto... internet aiuta. perchè oltre ai telefoni e agli indirizzi, nulla ci lega più, a parte i ricordi. non abbiamo amicizie in comune. nessuno che possa dire come stia e cosa faccia l'altro.
 chissà se anche tu, ogni tanto hai cercato notizie di me.. io sì, ti ho sempre seguita: un controllo alle mail, dove andavi, cosa facevi... 
ma il passato è andato, mi rimane il ricordo della tua pella, morbida e vellutata, il colore dei tuoi occhi, azzurro come il mare della polinesia, la passione che ci ha travolti e segnati.
Ricordo tutte le date, dicevo... e' per questo che ti faccio i miei migliori auguri di buon compleanno!
tec

mercoledì, marzo 05, 2008

crackberryzzato...

il blackberry non mi riceve la posta da un'ora...
sono nel panico...
aiutoooooooooooooooooooooo
tec

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martedì, marzo 04, 2008

Capita...

che lasciando la tv accesa su Italia1, si finisca a sentire Studio Aperto.
Ho sentito una storia di un bambino di due anni e dei suoi coraggiosi genitori.
Ho spulciato attentamente il sito. Ci sono numeri di telefono, riferimenti, persone. 
Si può, per chi vuole, donare qualcosa, per dare al piccolo una speranza.
Tec

Sbirri

“Dica…” gli dice il poliziotto scendendo dalla macchina e poggiando istintivamente, così almeno spera il barbone, la mano sulla pistola.

Aurelio è spiazzato dal “Lei”, dal fatto che il poliziotto si tolga gli occhiali da sole e che si avvicini sino sicuramente a sentire quello che Aurelio definisce con un certo ottimismo il suo “odore”.

“Volevo sapere…” inizia Aurelio sorprendendosi del suono rauco della sua voce (sono circa tre giorni che non parla con nessuno),” Scusi, “ si schiarisce la voce” volevo sapere se ieri qui…qui intorno…sulla montagnetta…è successo qualcosa…insomma se è stato fatto male ad una donna…bionda , alta, felpa grigia…”.

“Lei ha visto qualcosa?” Ad Aurelio sembra che la mano sulla pistola si irrigidisca. Si sforza di distogliere lo sguardo da quella mano e continua.

“No..no…è che…” La storia fa acqua da tutte le parti. Se Aurelio omette la bottiglia, l’abitudine di guardare Marianna correre (con orrore pensa che il poliziotto possa utilizzare al posto di “guardare”, “seguire” o “spiare”) ed il fatto che probabilmente non si chiama Marianna la storia non è credibile. Ed anche con quei tre elementi, che al momento tiene stretti nel petto come tre assi, la storia non gira. Ora che la racconta, tutta la storia gli appare diversa e quasi ridicola.

“Mi scusi”, dice il poliziotto mentre dalla radio della Pantera continuano a giungere fastidiosi squilli, “lei vede una donna che corre. Non ripassa dal punto in cui le si trova ed immagina allora che qualcuno l’abbia rapita, violentata…o altro…forse non mi sta dicendo tutto…” il poliziotto, scuotendo lentamente e quasi in maniera impercettibile la testa, accompagna la frase con lo sguardo con cui si mettono in discussione le parole di un bimbo.

Sarebbe il momento di girare i tacchi ed allontanarsi. Aurelio valuta ci siano buone possibilità che il poliziotto lo giudichi per quello che è, e se ne torni in macchina. La paura che l’angoscia per la sorte di Marianna, (ora, quasi lucido, ha per la prima volta la pallida percezione non solo di non averla saputa cercare ma soprattutto di non averla protetta in quella casuale intersezione dei loro mondi) torni a mordergli lo stomaco lo spinge a rischiare.

“Agente…sono spesso qui. Ogni tanto bevo e ormai mi capita spesso di non essere piu’ sicuro di quello che vedo e ricordo…quella donna la vedo spesso. Viene a correre qui due, tre volte la settimana. Fa sempre lo stesso percorso e lo fa sempre lo stesso numero di volte e sempre nello stesso tempo….quando è in forma…” la realtà è spesso come la raccontiamo. Basta invertire l’ordine della parole, cambiare un verbo, svelare una necessaria omissione ed il senso di tutto cambia. Ora che ha formulato la frase, tutto sommato soddisfacente, Aurelio sente che nulla dipende piu’ da lui ma da quello che il poliziotto deciderà di pensare.

“Luca!” grida lo sbirro al volante. Il cofano della Pantera vibra. Le luci iniziano a lampeggiare. La porta dell’autista si chiude con il suno sordo del portello di uno scafandro pronto ad immergersi.

“Luca!”

“No! No!” grida il poliziotto salendo sulla 159 e rimettendosi i RayBan, ”Non hanno denunciato niente…alle 19.00…alle 19.00..al McDonald dall’altro lato della strada! Vedi di esserci…”.

Il motore della Pantera va su di giri e pare voler sradicare la scocca e le gomme dell’Alfa dall’asfalto. Nessuno dei due pensa che l’altro ci sarà. Tutti e due pensano di volerlo scoprire.

lunedì, marzo 03, 2008

Febbraio bisesto

Mercoledì 27/02 h. 18.50
“sulla partizione C è già presente una versione di Windows, per proseguire l’installazione e sovrascrivere premere L.
Premo L
“Installazione windows in corso....partizione D!!!!”
Voila brasati tutti i driver memorizzati sulla partizione, risultato: pc al centro assistenza.

Giovedì 28/02 h 8.30

Arrivo in ufficio e inserisco la mia chiavetta USB nel pc: “disco G non formattato....”: perfetto, brasata anche la chiavetta e la contabilità di casa dell’ultimo semestre.
Ritorno al centro assistenza, recuperano meno della metà dei dati, ora è da un mio amico che di mestiere smanetta sui computer e speriamo che riesca a recuperare anche il resto.

Venerdì 29/02/2008 h. 8.30

Arrivo in ufficio, apro la borsa per prendere l’agenda, la bottiglietta di acqua minerale, la chiavetta USB, scemo non l’ho con me è dal mio amico, il cellulare wind con cui io e la mia compagna comunichiamo.....dov’è? C...o!!! provo per la prima volta il fascino di essere stato vittima di un borseggio in tram.

Venerdì 29/02/2008 h. 14.30

Leggo sul Conci che un malintenzionato vuole attentare alla mia incolumità fisica e ai miei beni personali.

Paolino Paperino sei il mio mito!!

domenica, marzo 02, 2008

Intersezione

L’odore e lo sporco sono una forma di difesa. Tutti stanno alla larga dai barboni. Se non per la paura che siano matti o ubriaconi almeno per la puzza. Nessuno chiama un’ambulanza. Nessuno lo gira ha faccia in su chiedendogli se stia bene. Si pulisce la mano, posata in una pozza di vomito, nell’erba paralizzata dal gelo. La morsa che comprimeva petto e schiena pare essere diminuita. A fatica si rialza in piedi e barcolla di nuovo verso la panchina. Avrebbe bisogno di bere ma la terra ha assorbito il poco vino rimasto. Si passa il dorso della mano sulle labbra secche e si porta la mano sinistra sul taglio. Il sangue rappreso si sbriciola tra le dita.

Per quelle che sembrano due ore, (non ha coraggio di guardare il Casio che tiene nella giacca perché a paura di vedere ancora a scorrere i secondi del cronometro), vaga per la montagnetta. Fruga negli avvallamenti e sotto i cespugli. Ripercorre due volte tutto il percorso che compie abitualmente Marianna temendo di vedere stagliarsi nell’oscurità la sua pallida mano distesa sul suolo gelato. L’angoscia aumenta. Nelle condizioni in cui si trova è probabile che non si riuscito a trovarla. Sta chiedendo aiuto, sommersa dal buio della marea montante, e lui, ubriaco, non riesce nemmeno a ricordarsi se da quel punto è già passato. La testa gli gira. Alle 22 si incammina verso quella che per lui è casa e che per i pendolari è il cavalcavia prima della stazione di Quarto. Il suo posto sarà stato occupato. Avranno pensato ad un malore ed avranno dato via il suo rifugio. Attraversa la strada e, dal ponte pedonale sospeso sull’imboccatura dell’autostrada, si ferma a scrutare verso la montagnetta. Nelle condizioni in cui si trova si aspetta di vederla sbucare, i capelli raccolti, sul sentiero che si srotola sulla parte alta del cumulo di macerie della guerra. Fissa per alcuni minuti, le palpebre doloranti, i lampioni arancioni che tremano come candele su una torta. Sui sentieri tutto è immobile. Guarda oltre il parapetto di ferro grigio del ponte pedonale e pensa di farla finita con l’angoscia che lo soffoca. Fa come il gesto di slanciare una gamba oltre la rete metallica e si ferma, senza forza o coraggio, non capisce, a fissare le luci posteriori delle macchine tremare e poi svanire oltre la curva che immette in città.

Nel petto si fa strada l’idea che Marianna abbia interrotto la corsa per un qualunque motivo e sia tornata verso casa. L’odore di urina e merda che si leva dagli angoli umidi delle scale scaccia quel pensiero. E’ solo una delle tante storie consolanti che si è raccontato negli anni e a cui, oramai, ha imparato a non credere. Dal marciapiede, la finta collina che domina l’ingresso nord della città non è piu’ visibile.

E’ uscito dall’intersezione dei loro mondi.

Si sveglia presto. Lo stomaco brucia e il cervello è in fiamme. La sensazione di aver perso qualcosa si fa strada nel petto e nello stomaco. Si sorprende per quel tipo di dolore che riteneva ormai anestetizzato dell’incertezza e della fragilità delle cose a cui si è abituato. Gli sembra infine talmente ingiusto l’aver perso anche gli appuntamenti con la corsa di quella donna, che quasi dimentica, vergognandosene, che ancora ne ignora la sorte. La sete gli divora le labbra ed il palato. Ad una fontana beve sino a quando non sente lo stomaco gonfio. Senza ricordare da quanto non mangia si incammina alla volta di San Siro. Ci vogliono quasi dure ore, un panino ed un’altra sosta ad un drago verde , prima che la piana distesa di cemento e semafori venga interrotta dai declivi innaturali della montagnetta. Il sole è tiepido ed un lieve brezza fa ondeggiare le cime degli alberi. Nessun rumore di foglie. Con piu’ metodo della sera prima ripercorre l’intero percorso di allenamento. Niente. La totale assenza di Polizia e Carabinieri lo tranquillizza sino a quando non scorge una Pantera sulla salita che dal “XXV Aprile” porta all’ingresso dell’area pedonale. Il cuore inizia a battergli con forza nel petto. I due poliziotti si crogiolano nel tepore del mattino. Aurelio si avvicina dal lato del passeggero. Il poliziotto poggia il dito sul cellulare e lo fissa con quello che da dietro gli occhiali da sole da pilota da caccia sembra uno sguardo interrogativo. Aurelio fa cenno di concludere con calma la telefonata e si dispone all’attesa cercando di non tradire segni d’impazienza. Approfitta di quegl’istanti per formulare le domande da porre e le eventuali risposte da dare alle domande che gli verranno poste. Poco prima che l’agente inizi a salutare il suo interlocutore, Aurelio raggiunge la fallace convinzione di aver inventato una storia credibile.
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