martedì, marzo 25, 2008

Senza trama

Se non si possiede un punto di osservazione fisso, la vita, variando angolazioni e prospettive, ci appare per quello che è. Aurelio sa, o meglio scopre, che quella è la sua unica ricchezza. Marianna, quella donna, non è scomparsa. Marianna, ma già chiamarla Marianna è un errore di valutazione e prospettiva, non è scomparsa. Forse si è stancata. Forse, all’improvviso, si è resa conto dell’assurdità di tutto quel correre. L’assurdità di quei minuti, 57, trascorsi a correre, a consumare muscoli ed energie nervose. Di questo si è resa conto. Ha guardato le sue scarpe e, così come ha iniziato, ha smesso di correre. Aurelio sa che correre, come nuotare e pedalare, è una droga. Un passo dietro l’altro, una bracciata dietro l’altra, un colpo di pedale dietro l’altro perdendo il conto, la misura ed infine il senso. È l’ultimo stadio. Quello che raggiunge chi smonta il contachilometri dalla bici, dimentica di contare le vasche in piscina o finisce di correre e fatica a ricordare se sia passato o meno da un punto preciso del consueto percorso. Chiedete ad uno che ha appena smesso di correre che percorso abbia fatto. Dovrà pensarci. Ma chiedetegli cosa ha deciso della sua vita negli ultimi 57 minuti e saprà farvi, con orgoglio, un resoconto dettagliato delle decisioni prese. I muscoli, cuore incluso, hanno memoria. Il cervello, ed a volte basta il gelo dell’acqua, il vento tagliente sulla faccia o la sensazione di liberta dei pantaloni corti o attillati, manda il primo impulso ed il resto è tutto in automatico. Bisogna lavorare per raggiungere questo stato. Ma in quel mentre il cervello, libero da ogni preoccupazione riguardante i successivi 57 minuti, amplifica il suo potenziale a dismisura. E’ per il culmine dell’estasi, esaltato dalla carenza di ossigeno, che si corre.

Ma quella donna, ecco recuperata la giusta prospettiva dell’intera vicenda, è di altra pasta. Ha capito, in un lampo, l’ampiezza e la profondità del vortice in cui è precipitata. Prima che le cartilagini si sciolgano come ostie, prima che la spina dorsale si comprima come un mollone scarico e prima che le anche vengano divelte dal bacino, ha smesso. E lo ha fatto, e in questo risiede l’equivoco, nel lato buio della montagnetta. Marianna non è scomparsa. Semplicemente, non è mai stata.

La vita non ha trama.

Questo pensa Aurelio per altri quattro giorni.

Questo pensa Aurelio vagando lungo i binari delle Nord, l’anima in riserva, cercando il filo smarrito della sua miserabile esistenza. Marianna, che non è mai stata, ha smesso di correre. Io ho smesso di vederla. Le nostre vite, l’intersezione dei nostri insiemi, come quelli con cui mi esercitavo alle elementari, è vuota. Quello che ho pensato di vedere, capire, non è mai esistito.

No si sfugge così dalla pazzia? Non si sfugge così dall’ossessione?

Come Marianna, pensa aggrappandosi disperatamente ancora a quel nome (non è un buon segno, cazzo!), anch’io posso smettere. Non ho bisogno di questa droga che è la speranza che i suoi occhi cadano tra i miei. Il polo nord magnetico, sepolto sotto le macerie, è scomparso. Può tornare a bere. A bere vino da sgargianti cartoni. A condividere bottiglioni di acido con altri disperati. Ma non lo fa. Per esperienza, si impara qualcosa sopravvivendo a disfatte colossali, sa che non bisogna mai lasciarsi andare del tutto alla disperazione.

Questo pensa Aurelio per quattro giorni.

Ed è alla mattina del quarto, un sabato, che quella donna, Marianna, ricompare. Aurelio, attratto dalla montagnetta, come noi siamo attratti dai luoghi in cui siamo stati felici, vaga lungo le pendici della collina e, a tratti, con studiata casualità, ripercorre brandelli del percorso di Marianna. E circa al culmine del secondo livello, poco prima che il sentiero precipiti verso gli abissi del tratto asfaltato, la vede.

Indossa pantaloni bianchi dell’Adidas ed una felpa candida con le maniche che sembrano sul punto di inghiottirle le mani. Non ha le solite scarpe che usa per correre, ma un paio di Puma con il velcro. Guarda con nostalgia verso la cima e, con misto di rimprovero ed affetto, si carezza la coscia destra. Uno strappo.

Il cuore di Aurelio batte all’impazzata. Un nodo lo sorprende proprio tra il petto e la base del cranio. L’improvvisa apparizione e la disperazione dei giorni precedenti lo rendono audace. Saltellando sul pietrisco che sembra sbriciolarsi e franare sotto il suo peso si precipita verso le sbarre dove si effettua lo stretching. Marianna, camminando, sta facendo il suo solito percorso. Riprende, camminando, confidenza con il suo percorso. Nel giro di qualche minuto arriverà alle sbarre azzurre e farà esercizi di allungamento. In una valletta inondata di sole Aurelio scorge le prime margherite e dei fiori che, gli pare di ricordare, sua nonna chiamava gli “occhi della madonna”.

Sono comparsi probabilmente negli ultimi due giorni. Cercando di mantenere la calma ne raccoglie un mazzetto e ne avvolge i gambi con un pezzo di filo che penzola dalla sua giacca. Senza pensarci estrae la penna che tiene nella tasca del giaccone insieme ai documenti e, strappando un pezzo di carta abbastanza ampio dalla fotocopia di un qualsiasi documento ormai inservibile, scrive:

“Che fine hai fatto?”

Non può fare cancellature. Stima che non ha altri pezzi di carta cosi’ grandi. Deve valutare con attenzione cosa scrivere. Deve fare in modo che lei capisca.

Dopo mesi, che sembrano ere geologiche, riscopre il piacere di giocarsi tutto e subito. Assapora, con la lentezza che gli è consentita dal precipitare degli avvenimenti, quell’istante in cui tutto dipende da lui.

Potrebbe posticipare quella sua idea ma riesce a convincersi che ora o mai piu’. Che tutto, (tutto, cazzo!) si gioca li e adesso. Forse, piu’ semplicemente (ma lo capirà piu’ tardi) sa che non troverà piu’ il coraggio. Deve fare in modo che lei capisca. Se solo avesse piu’ tempo.

“Che fine hai fatto? Mentre eri assente, sulla nostra montagnetta, sono spuntati i primi fiori. Mi sei mancata nei giorni in cui non ci sei stata. Mi sei mancata per i 57 minuti in cui i nostri mondi si intersecano…”

Infila il foglietto tra i gambi del mazzetto di fiori e lo lega con un pezzo di spago che ha in tasca al tubo azzurro scrostato.

Mentre si allontana con passo disinvolto si pente di quel gesto, di quello che ha scritto, di come lo ha scritto e delle conseguenze, che è certo, non saprà gestire. Ha paura che Marianna non capisca o che, peggio, capisca.

Ma la vita, davvero non ha una trama?
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