martedì, marzo 04, 2008

Sbirri

“Dica…” gli dice il poliziotto scendendo dalla macchina e poggiando istintivamente, così almeno spera il barbone, la mano sulla pistola.

Aurelio è spiazzato dal “Lei”, dal fatto che il poliziotto si tolga gli occhiali da sole e che si avvicini sino sicuramente a sentire quello che Aurelio definisce con un certo ottimismo il suo “odore”.

“Volevo sapere…” inizia Aurelio sorprendendosi del suono rauco della sua voce (sono circa tre giorni che non parla con nessuno),” Scusi, “ si schiarisce la voce” volevo sapere se ieri qui…qui intorno…sulla montagnetta…è successo qualcosa…insomma se è stato fatto male ad una donna…bionda , alta, felpa grigia…”.

“Lei ha visto qualcosa?” Ad Aurelio sembra che la mano sulla pistola si irrigidisca. Si sforza di distogliere lo sguardo da quella mano e continua.

“No..no…è che…” La storia fa acqua da tutte le parti. Se Aurelio omette la bottiglia, l’abitudine di guardare Marianna correre (con orrore pensa che il poliziotto possa utilizzare al posto di “guardare”, “seguire” o “spiare”) ed il fatto che probabilmente non si chiama Marianna la storia non è credibile. Ed anche con quei tre elementi, che al momento tiene stretti nel petto come tre assi, la storia non gira. Ora che la racconta, tutta la storia gli appare diversa e quasi ridicola.

“Mi scusi”, dice il poliziotto mentre dalla radio della Pantera continuano a giungere fastidiosi squilli, “lei vede una donna che corre. Non ripassa dal punto in cui le si trova ed immagina allora che qualcuno l’abbia rapita, violentata…o altro…forse non mi sta dicendo tutto…” il poliziotto, scuotendo lentamente e quasi in maniera impercettibile la testa, accompagna la frase con lo sguardo con cui si mettono in discussione le parole di un bimbo.

Sarebbe il momento di girare i tacchi ed allontanarsi. Aurelio valuta ci siano buone possibilità che il poliziotto lo giudichi per quello che è, e se ne torni in macchina. La paura che l’angoscia per la sorte di Marianna, (ora, quasi lucido, ha per la prima volta la pallida percezione non solo di non averla saputa cercare ma soprattutto di non averla protetta in quella casuale intersezione dei loro mondi) torni a mordergli lo stomaco lo spinge a rischiare.

“Agente…sono spesso qui. Ogni tanto bevo e ormai mi capita spesso di non essere piu’ sicuro di quello che vedo e ricordo…quella donna la vedo spesso. Viene a correre qui due, tre volte la settimana. Fa sempre lo stesso percorso e lo fa sempre lo stesso numero di volte e sempre nello stesso tempo….quando è in forma…” la realtà è spesso come la raccontiamo. Basta invertire l’ordine della parole, cambiare un verbo, svelare una necessaria omissione ed il senso di tutto cambia. Ora che ha formulato la frase, tutto sommato soddisfacente, Aurelio sente che nulla dipende piu’ da lui ma da quello che il poliziotto deciderà di pensare.

“Luca!” grida lo sbirro al volante. Il cofano della Pantera vibra. Le luci iniziano a lampeggiare. La porta dell’autista si chiude con il suno sordo del portello di uno scafandro pronto ad immergersi.

“Luca!”

“No! No!” grida il poliziotto salendo sulla 159 e rimettendosi i RayBan, ”Non hanno denunciato niente…alle 19.00…alle 19.00..al McDonald dall’altro lato della strada! Vedi di esserci…”.

Il motore della Pantera va su di giri e pare voler sradicare la scocca e le gomme dell’Alfa dall’asfalto. Nessuno dei due pensa che l’altro ci sarà. Tutti e due pensano di volerlo scoprire.

1 Comments:

Blogger Il connestabile ha sostenuto

avvincente!

2:39 PM  

Posta un commento

<< Home

Creative Commons License