domenica, marzo 02, 2008

Intersezione

L’odore e lo sporco sono una forma di difesa. Tutti stanno alla larga dai barboni. Se non per la paura che siano matti o ubriaconi almeno per la puzza. Nessuno chiama un’ambulanza. Nessuno lo gira ha faccia in su chiedendogli se stia bene. Si pulisce la mano, posata in una pozza di vomito, nell’erba paralizzata dal gelo. La morsa che comprimeva petto e schiena pare essere diminuita. A fatica si rialza in piedi e barcolla di nuovo verso la panchina. Avrebbe bisogno di bere ma la terra ha assorbito il poco vino rimasto. Si passa il dorso della mano sulle labbra secche e si porta la mano sinistra sul taglio. Il sangue rappreso si sbriciola tra le dita.

Per quelle che sembrano due ore, (non ha coraggio di guardare il Casio che tiene nella giacca perché a paura di vedere ancora a scorrere i secondi del cronometro), vaga per la montagnetta. Fruga negli avvallamenti e sotto i cespugli. Ripercorre due volte tutto il percorso che compie abitualmente Marianna temendo di vedere stagliarsi nell’oscurità la sua pallida mano distesa sul suolo gelato. L’angoscia aumenta. Nelle condizioni in cui si trova è probabile che non si riuscito a trovarla. Sta chiedendo aiuto, sommersa dal buio della marea montante, e lui, ubriaco, non riesce nemmeno a ricordarsi se da quel punto è già passato. La testa gli gira. Alle 22 si incammina verso quella che per lui è casa e che per i pendolari è il cavalcavia prima della stazione di Quarto. Il suo posto sarà stato occupato. Avranno pensato ad un malore ed avranno dato via il suo rifugio. Attraversa la strada e, dal ponte pedonale sospeso sull’imboccatura dell’autostrada, si ferma a scrutare verso la montagnetta. Nelle condizioni in cui si trova si aspetta di vederla sbucare, i capelli raccolti, sul sentiero che si srotola sulla parte alta del cumulo di macerie della guerra. Fissa per alcuni minuti, le palpebre doloranti, i lampioni arancioni che tremano come candele su una torta. Sui sentieri tutto è immobile. Guarda oltre il parapetto di ferro grigio del ponte pedonale e pensa di farla finita con l’angoscia che lo soffoca. Fa come il gesto di slanciare una gamba oltre la rete metallica e si ferma, senza forza o coraggio, non capisce, a fissare le luci posteriori delle macchine tremare e poi svanire oltre la curva che immette in città.

Nel petto si fa strada l’idea che Marianna abbia interrotto la corsa per un qualunque motivo e sia tornata verso casa. L’odore di urina e merda che si leva dagli angoli umidi delle scale scaccia quel pensiero. E’ solo una delle tante storie consolanti che si è raccontato negli anni e a cui, oramai, ha imparato a non credere. Dal marciapiede, la finta collina che domina l’ingresso nord della città non è piu’ visibile.

E’ uscito dall’intersezione dei loro mondi.

Si sveglia presto. Lo stomaco brucia e il cervello è in fiamme. La sensazione di aver perso qualcosa si fa strada nel petto e nello stomaco. Si sorprende per quel tipo di dolore che riteneva ormai anestetizzato dell’incertezza e della fragilità delle cose a cui si è abituato. Gli sembra infine talmente ingiusto l’aver perso anche gli appuntamenti con la corsa di quella donna, che quasi dimentica, vergognandosene, che ancora ne ignora la sorte. La sete gli divora le labbra ed il palato. Ad una fontana beve sino a quando non sente lo stomaco gonfio. Senza ricordare da quanto non mangia si incammina alla volta di San Siro. Ci vogliono quasi dure ore, un panino ed un’altra sosta ad un drago verde , prima che la piana distesa di cemento e semafori venga interrotta dai declivi innaturali della montagnetta. Il sole è tiepido ed un lieve brezza fa ondeggiare le cime degli alberi. Nessun rumore di foglie. Con piu’ metodo della sera prima ripercorre l’intero percorso di allenamento. Niente. La totale assenza di Polizia e Carabinieri lo tranquillizza sino a quando non scorge una Pantera sulla salita che dal “XXV Aprile” porta all’ingresso dell’area pedonale. Il cuore inizia a battergli con forza nel petto. I due poliziotti si crogiolano nel tepore del mattino. Aurelio si avvicina dal lato del passeggero. Il poliziotto poggia il dito sul cellulare e lo fissa con quello che da dietro gli occhiali da sole da pilota da caccia sembra uno sguardo interrogativo. Aurelio fa cenno di concludere con calma la telefonata e si dispone all’attesa cercando di non tradire segni d’impazienza. Approfitta di quegl’istanti per formulare le domande da porre e le eventuali risposte da dare alle domande che gli verranno poste. Poco prima che l’agente inizi a salutare il suo interlocutore, Aurelio raggiunge la fallace convinzione di aver inventato una storia credibile.
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