Ho seguito “Anno zero”, visto “Ndp” su La7 e stamattina ho comprato, subito dopo le prime castagne di ottobre, “Il Fatto quotidiano”. Tutto ciò per capire se, davvero, la libertà d’informazione nel nostro Paese sia a rischio. Tutto ciò per capire se l’Italia sia una nazione democratica. Basterebbe ascoltare poche parole di Carl Bernsetin (“Questo riporta a una sorta di stalinismo sovietico, non degno di quella democrazia che l’Italia cerca di essere”). E’ in quel “cerca” che già troviamo risposta. Noi non siamo una democrazia. Cerchiamo di diventarlo. Basta rileggere la storia d’Italia degli ultimi 50 anni per comprenderlo. Il rosario di tentati golpe, le stragi impunite, gli infiniti scandali finanziari, i silenzi, i martiri ammazzati a colpi di pistola e i furbi ed carnefici canonizzati, i magistrati fatti saltare per aria, i poliziotti uccisi e gli onesti perseguitati per capire che no, non siamo una democrazia. Che ciò che vediamo oggi non è che il naturale proseguimento di 50 di storia.
Ma cosa mi ha veramente colpito?
Gli occhi tristi della D’Addario.
Quella donna, anche con il suo voler sembrare piu’ vittima di quanto non fosse, mi ha fatto pena. Mi ha fatto pena immaginarla infilarsi, pare per mille euro, a bordo di una macchina dai vetri oscurati insieme ad altre donne e mi ha fatto pena immaginarla usata ed insonne, in queste notti, pensando a come uscire da questa storia. Intorno a lei, come avvoltoi, ci si accaniva, comandati a distanza, per farla apparire peggiore di quanto fosse. Incuranti che farla apparire peggiore di quanto fosse non rendesse un buon servigio a chi le ha aperto le porte di casa. E se si prova pena per l’umiliazione cui è stata sottoposta quella donna è sufficiente guardare la televisione ed i giornali per capire che tutte le donne sono vittime di una sistematica umiliazione cui non si capisce perché non si ribellino. Vedere all’ora di cena donne fasciate di nero o argento dimenarsi come concubine se soddisfa l’oscuro lato maschile non può non far riflettere sulla deriva morale (perché di questo parliamo) cui noi e i nostri figli sono sottoposti ogni giorno. Io, personalmente, sono nauseato dalla televisione e dai modelli che ormai piu’ senza pudore ci impone ogni volta che tocchiamo il telecomando. Mi hanno fatto pena i giornalisti impegnati in difese d’ufficio. Piu’ simili ad avvocati di parte che non a colleghi di Steinbeck.
Ed ho provato imbarazzo vero quando ho visto Zapatero di marmo di fronte alle domande che un suo conterraneo poneva al nostro premier e la maniera sprezzante con cui veniva liquidato.
A volte, vedendo qualche film americano, si resta sorpresi vedendo come spesso la trama si risolva quando il protagonista, un politico corrotto o coinvolto in qualcosa di poco chiaro (anche un “semplice” adulterio), inciampi in una minuzia. Gli scappa una parola di troppo, si trova una mail compromettente o il buono, ricordando un’affermazione fatta dal cattivo, riesce a scoprire una piccola incrinatura nella difesa. Tutto, da li crolla. Il malvagio è perduto. La sua fine pubblica, certa. Negli Stati Uniti, che molti dei nostri Conciliabers, adorano, è sufficiente fare un apprezzamento un po pesante per veder messa in discussione una carriera.
Non qui. Ci sono uomini politici di lunghissimo corso coinvolti in mille e piu’ gravissimi scandali che ancora vengono chiamati ossequiosamente “Presidente” all’inizio di ogni intervista e vengono interpellati come oracoli. Uomini dichiarati colpevoli di reati gravi che siedono tranquillamente sui propri scranni.
Quello che accade in questi giorni, il vergognoso tentativo di intimidire i pochi ancora degni di chiamarsi “giornalisti”, sarebbe bollato in ogni democrazia come antidemocratico. Leggendo i giornali o seguendo trasmissioni tv ancora si sentono invece sottili distinguo che puzzano piu’ di protagonismo che non di pulizia intellettuale.
Guglielmo