sabato, novembre 17, 2012

Sul tram

Il tram che mi porta al lavoro è di quelli vecchi. Mi piace, alla fermata, vederlo sbucare da dietro la curva e ondeggiare rapido verso di me. Pare sbucare dal nulla come avesse traversato ore ed ore di viaggio. La sagoma del suo muso giallo si ingrandisce sino a fermarsi in uno stridore di freni ed un sapore di ferro che si può persin sentire sulla lingua. Un vagone di acciaio, legno, cuoio e panche lucide. Nelle giornate d'inverno è piacevolmente freddo. In quelle d'estate la luce lo invade come l'aria fresca che soffia attraverso i finestrini a ghigliottina. Ci sono autobus piu' veloci, tram piu rapidi, ma nessuno ha il suo fascino. Sembra che le panche, i porta lampade di vetro la meccanica, le manovelle ottonate del guidatore che paiono fuggire alla morsa del tempo inducano tutti ad essere piu' gentili. Come si navigasse lungo un fiume, Milano scorre dolce ed educata ai suoi fianchi. Spesso trovo posto a sedere. Dalla borsa tiro fuori un libro e leggo. A seconda dell'orario, incontro quasi sempre le stesse facce. Non ci salutiamo mai. Nemmeno un sorriso. Ma ci riconosciamo. Questo basta. Il vagone è silenzioso. Di rado qualcuno parla ed è come se, facendolo, rompesse un tacito patto tra noi passeggeri. Restiamo in silenzio preparando la giornata da affrontare. E quando il motore ed i cigoli si fermano, tutto tace. Le conversazioni telefoniche, unica concessione, si arrestano. E' possibile immaginare che dall'altro capo della linea siano spiazzati da quell'improvviso silenzio. Sale una donna anziana con il bastone. Il bestione albanese con la barba sfatta ed il giubbotto di plastica che sembra pelle è il piu' lesto ad alzarsi e a lasciarle il posto accompagnandola nella sua incerta seduta con un gesto attento. Uno tira fuori un Ipad e comincia a battere le dita sullo schermo con foga. Lo fa con aria distratta ma sa che ha gli occhi di tutti su di sè. Molti accarezzano ossessivamente il cellulare e aggiornano furiosamente la costruzione della loro identità. Una ragazza solleva lo sguardo dallo smartphone cercando in aria la risposta giusta da dare. Pare trovarla e, afferrandola in aria con l'indice, la infila nello schermo che ora le illumina il volto e gli occhi di una luce gelida. Sorride. Qualcuno ripassa freneticamente appunti in vista di un interrogazione, un esame o una presentazione al lavoro. Si perde con lo sguardo oltre i finestrini e sussurra qualche frase saggiandone l'effetto e assaporando sulle labbra le parole. Tanti leggono. Il corpulento africano, il capo infilato in un cappello di lana grigia, è da un mese che studia il cinese. Una donnone con i capelli in disordine, gli occhiali dalla sgraziata montature nera legge "50 sfumature di grigio". Mi sporgo sul libro e scorro le righe che parlano di sesso spinto sino a che lei, imbarazzata, non chiude il libro e lo ripone in borsa. Ogni tanto alzo lo sguardo. Sospendo la lettura. Lo faccio quando passiamo di fianco al parco. Mi piace pensare ogni mattina di poter scendere ed attraversarlo a piedi. Guardo la distesa di foglie, verdi, scintillanti nel sole del mattino, o incendiate di arancio e marrone. Via Vincenzo Monti è un passaggio scuro. Penso agli scapigliati, al Manzoni alla Milano dell'800. Nelle mattine di sole, la luce che cola sui tronchi dei rami degli alberi, ripenso agli anni del liceo. Immagino che avrò nostalgia anche di questi anni. Forse invecchiare porta questa consapevolezza. A Cadorna scendono quasi tutti. Il tram si svuota e subito si riempie. Salgono i paesani. Ci sono le due ultra quarantenni un po appesantite che salgono da dietro. Lanciano uno sguardo rapace alla carrozza e ondeggiano i grossi culi su tacchi troppo alti verso il loro posto. Se c'è il sole si nascondono dietro enormi occhiali neri. Se il cielo è troppo grigio nulla nasconde occhi fiaccati e stanchi di cercare. Gli uomini, con pettinature e cravatte assurde, barcollano mentre il tram riparte. La voce gracchiante che annuncia le fermate sbaglia l'accento della fermata. Qualcuno, sorridendo, ripete l'errata pronuncia. Quella concessione alla modernità, gli altoparlanti che annunciano le fermate, sembrano le uniche cose, su quel vecchio vagone, incapaci di essere affidabili. Scendo un paio di fermate prima e faccio un tratto a piedi. Cammino svelto. Svolto in Cordusio ed ecco che ricompare. Impieghiamo lo stesso tempo, facendo strade diverse, per ricoprire lo stesso tratto. Lo osservo ripartire. La giornata è iniziata... Guglielmo
Creative Commons License