domenica, dicembre 16, 2012

Quello che siamo

Il vecchio solaio polveroso custodiva per tutto l'anno, in una scatolone ammaccato e piu' volte curato con strisce di scotch, l'albero di natale. Un albero bianco, con palline di vetro orfane, e fili di luce con bulbi a forma di cristallo il cui unico modo per produrre piu' di quella tenue luce pareva essere prender fuoco. Non era bello come quello che avevamo a casa ma, ugualmente, ci era familiare. Novembre era una lenta distesa di pioggia e freddo ma dicembre era un precipizio verso il 24. Mio nonno non c'era mai. "E' al trani" diceva mia nonna. Pensavo fosse un bar particolare ed invece era solo il paese d'origine del gestore di una trattoria in cui mio nonno spendeva il tempo giocando a carte. Mio nonno brillava spesso per la sua assenza ma era come se in ogni istante stesse lavorando a qualcosa per noi nipoti. Mia nonna, invece, la ricordo che imbraccia la Vaporella e pulisce la tappezzeria bianca del soggiorno. Il pomeriggio della vigilia lo trascorrevamo da lei guardando i cartoni di Asterix (ai nostri genitori non erano forse ben chiari i devastanti effetti dell'esposizione prolungata alla Tv) mentre la casa di mia nonna era percorsa dai fremiti dell'organizzazione. Era se come tutto il mistero del Natale fosse concentrato in quel frenetico andirivieni in corridoio. La cucina, fradicia dell'odore grasso del brodo di carne, era un'esposizione di vassoi di acciaio colmi di salumi, gorgonzola e mascarpone con le noci, sottaceti, tartine imburrate e macchiate dal nero del caviale ( o succedanei...), enormi buste di salmone affumicato ed alici piccanti (immancabilmente, ogni volta che mangio questi piatti, penso al Natale). A volte si scendeva nella chiesa vicina a salutare Gesu' bambino. E mentre camminavo immerso nella notte, che lentamente si posava su tutte le case preparando l'oscurità propizia per Babbo Natale e la sua squadra (per sanare la frattura con il mio semplice Catechismo immaginavo che alla guida della slitta ci fosse Gesù Bambino Pantocrator che impartiva ordini), pensavo che nessuno, nessuno, avesse un Natale come il mio. Che i mie nonni custodissero un qualche segreto, una qualche misteriosa relazione con gli abitanti polari, che mi garantiva un Natale impareggiabile. Anche in chiesa, sommessamente, c'erano preparativi. Ricordo delle scatole di Stock 84 (anche noi ne avevamo una in cui riponevamo le palline) poggiate vicino al confessionale (credo contenessero gli addobbi per la messa del giorno seguente. Immaginavo che quelle scatole cosi colorate venissero prodotte appositamente per contenere tutte le meraviglie natalizie. La mangiatoia era vuota ma, esposta davanti all'altare, colma di attesa. L'aria era piena di promesse. Mi chiedevo come mai le persone, che attraversavano la strada lentamente, non fossero elettriche come me. Come facessero a non vedere quello che stava per accadere. Che quella lenta attesa, a saperla assaporare, gustosa come le pietanze che ci attendevano per il giorno successivo, era qualcosa di una bellezza inimmaginabile (pur non comprendendone il senso profondo quella notte mi rimandava davvero al senso unico della Promessa). Verso le 19 salutavo i mie nonni e andavo a casa. Ci attendeva una cena semplice e poi una feroce lotta con il sonno che non arrivava. Mi disperavo pensando che sarebbe bastato addormentarsi prestissimo e, dopo pochi istanti, quell'incredibile giornata sarebbe iniziata. Non posso non pensare che quei pochi natali (mio nonno è mancato che avevo 11 anni e dopo non è piu' stato lo stesso) mi abbiano influenzato molto piu' di quanto io stesso sia in grado di riconoscere. Il Natale, da quando ci sono i miei figli, è tornato a quella lontana magia. A quei ricordi se ne sono aggiunti allora altri. Negli ultimi anni della sua vita, Natale era portare a mia nonna un piccolo albero già addobbato, un piccolo presepe ed una stella di Natale che compravo all'Esselunga. Ecco...questi sono dettagli che si sono aggiunti, sedimentati, ai ricordi di Natali piu' lontani. E se passata dalla piazza su cui si affaccia la casa in cui vivo con la mia famiglia riconoscerete le finestre dell'appartamento perché sono bordate da un filo di luminarie che immagino si possano vedere anche dalla Luna ("Che ha comprato? i lumini per i morti?" mi ha detto la commessa che aveva colto il mio spirito prima di rimpiazzare il mio acquisto con due file di led). Nella notte della vigilia, quando tutti sono a letto, mi affaccio dalla finestra e guarda per strada. I tetti delle case chiazzati di neve, le luci intermittenti, le strade deserte...un po di quella magia è ancora li. Reazioni al post: Mio fratello: probabilmente non lo lo leggerà o liquiderà tutto con un alzata di spalle (con gli anni ho capito che non è indifferenza ma preferisce non parlare dei ricordi). Mia cugina: inventerà un pezzo di ricordi in cui nessuno si riconosce (come probabilmente per quello che ho appena scritto io...) Zia: perchè il vitello tonnato che facevo io non te lo ricordi? Altri mie cugini: mi rinfacceranno quella volta che, bambini, li ho convinti che Babbo natale aveva avuto un drammatico incidente in slitta e che le consegne erano in discussione. Zia: liquiderà tutto con un paio di battute iconoclasti Mia madre: malgrado tutta la tv che vi facevamo vedere ti sei laureato in Cattolica! Ma questo è il mio Natale...è come io lo ricordo. Guglielmo
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