sabato, settembre 18, 2010

All'ombra della Grigna

E' cosi difficile dire cosa sia il ricordo dell'infanzia. Per me è il ricordo delle sconfinate giornate d'estate. Sono i giorni della montagna con i miei nonni. Dei giochi. Degli strofinacci che lasciavo sventolare come bandiere e dei bastoni che diventavano fucili. Di mio nonno che, salendo da Milano verso la Val d'Intelvi, si fermava sempre nella stessa pasticceria e che comprava sempre la stessa torta. Di mio nonno che ci portava in un negozio di giocattoli in paese e dove potevamo vagare liberi, curiosando ovunque, e scegliendo che ciò che piu' ci colpiva. Erano gli anni dei primi libri. Delle avventure della “Banda dei Cinque” che mi fecero smaniare per le avventure in castelli diroccati, per le borracce, i panini imbottiti e i pic nic nelle pinete. Delle serate trascorse in infinite partite a giochi in scatola. La luce che pareva non voler mai dissolversi dopo cena. Ed il buio profondo dalla finestra, da i vetri irregolari che parevano soffiati nel telaio, della cucina della casa che affittavamo. Perchè pur essendo bambino, ma forse è solo una questione di estrema sensibilità, capivo che quegli anni erano un dono prezioso che non sarebbe durato e che avrei dovuto imparare a serbare per sempre. Ed infatti, senza preavviso, tutto svanì. E quella luce, la stessa, immutabile che ora indugia fuori dalla finestra, ed il buio profondo che scivola dai boschi e delle vette di roccia hanno ancora, su di me, lo stesso indescrivibile effetto. E' come una nostalgia non per qualcosa che è stato o che non sarà ma per qualcosa che finirà. E lo provo quando, per una settimana, resto solo con i miei figli. Non parlo se non con loro e non penso, travolto dalla loro ansia di vivere, che a loro. Osservo Riccardo che si allena con i bambini della scuola di calcio a cui lo abbiamo iscritto. Non si arrabbia. Non recrimina e continua a correre in difesa cercando di passare la palla ai suoi compagni. Ed in lontananza, dopo che ha battagliato con me a rigori, osservo Federico che, palla al piede, corre verso la porta urlando “Ecco.... Zanetti...Zanetti...va verso la porta...va a far goal...MILITO! CAMPIONE DEL MONDO!” ed alza le braccia al cielo . E per lui, una minuzia nel cuore di un porta immensa, mi viene in mente la canzone di De Gregori che dice “...fa che gli sia dolce anche la pioggia nelle scarpe...”Federico che mentre giochiamo ad un gioco di carte usa frasi che mi ripeteva mia nonna e che io ripeto a loro: “Questa la tengo da conto...”. O Riccardo che continua, dopo che lunedi mi sono svegliato con la febbre, a chiedermi “Come stai? Stai meglio adesso?” (E se gli dico che forse non ce la faccio a portarlo a calcio perchè sto male mi guarda e dice “Non importa...se ce la fai bene se no andiamo domani” e mi chiedo se ha davvero sette anni) o che mi guarda e sorride complice per le facce da matto che fa suo fratello quando giochiamo insieme. O quando, imbarazzato ma incapace di vincere una pulsione che gli nasce dal cuore, si avvicina e mi dice: “Ti voglio bene papà...”. O quando gli racconto qualche storia pazzesca e lui, indeciso, mi chiede “Ma stai scherzando? E' una storia vera?”. O quando gli dico “Vedi quel bambino? E' un pirla. Come suo padre. Nel senso milanese del termine...nel senso che è uno che gira molto”. E loro non capiscono le parole ma capiscono il senso dal mio sguardo e dal mio tono e ridono. O se passiamo da Rezzago e gli dico che già Dante nel quarto Canto dell'Inferno parla della brutta fama del paese facendo dire ad un viandante che transitava da Urbino verso Chartres “Rezzago...vi passo ma, per prudenza, non vi cago....” e loro ridono. E sento quasi un dolore al petto quando li vedo felici di niente. Quando, se prometto che la sera andremo avanti a leggere le storie del “Grande Gigante Gentile” o se mostro cinquanta centesimi dicendo che li useremo per la nostra sfida a biliardino , gioiscono come matti. Quando Federico salta fuori con 20 euro che gli ha regalato il nonno è dice: “”Oggi il gelato lo pago io...”. E mi tornano in mente le parole che mia nonna mi diceva ogni volta che andavo trovarla: “ Come stanno i bambini? Tienili da conto. Perchè sono il tuo tesoro....”.

Guglielmo
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