martedì, novembre 10, 2009

Una cosa divertente che non farò mai piu'


Ci sono persone capaci di comprendere ciò che gli altri vedono ma non comprendono. Persone capaci di afferrare il senso nascosto delle cose, di leggere in controluce le situazioni e di intuire ciò che l’apparenza nasconde. Alcune di queste persone sono in grado di riportare queste impressioni su carta. Di trasmettere, grazie alla parola scritta, ciò che hanno provato e visto. E’ il caso di David Foster Wallace cui negli anni novanta fu commissionato, da una rivista patinata e ad alta tiratura, di scrivere un reportage su una delle leggendarie crociere sei giorni e sette notti ai Carabi. Dagli articoli è nato un libretto capace di tenervi svegli la notte. Un libro che vi farà ridere sino a farvi togliere gli occhiali, se li avete, per asciugarvi gli occhi. Che vi farà leggere e rileggere una frase per capire cosa vi abbia fatto ridere cosi cercando di smontare quel perfetto meccanismo narrativo. Un libro che vi tornerà in mente mentre correte sotto la pioggia ed osservate le rughe che l’acqua forma sull’asfalto nero ed i mucchi di foglie accumulate nei canali di scolo.

“Una cosa divertente che non farò mai piu” descrive l’opulenza, il consumismo ed il divertimento di una crociera di sette giorni. Ma non è solo questo. Quella nave di un bianco abbagliante, che solca i mari lasciando una scia non solo di spuma alle su spalle e che naviga sul vuoto assoluto dell’oceano, è la metafora della nostra società. Descritta non, come erroneamente dice la controcopertina, con satira spietata. Ma descritta quasi con pietà. Non c’è infatti compiacimento. Non c’è il trionfo dell’osservatore arguto e al di sopra delle parti. C’è il dolore per ciò che si vede. Per la disperazione che la notte scivola tra i passeggeri, per la sensazione di morte e decomposizione che emana dall’oceano stesso e da tutto ciò che a bordo sembra immacolato. Non a caso nelle prime pagine l’autore cita Moby Dick. Cita il capitolo in cui il mozzo Pip cadendo in mare, impazzisce per l’immenso vuoto in cui si trova a galleggiare. Penso che David Foster Wallace sapesse di essere anche lui un passeggero. Passeggero di una nave da cui, per mille motivi, non poteva scendere se non dopo sei notti e sette giorni.

Su internet si parla di lui come un genio. Ho letto solo un suo libro, troppo poco per poter condividere questa opinione. Non posso però fare a meno di pensare che in poche pagine riesce a far ridere e riflettere. E dalle pagine emerge la sua voglia di raccontare, di trasmettere parola per parola quello che tumultuosamente percepisce e che si agita nella sua anima. E’ prigioniero del narrare. E si chiude il libro rimpiangendo le mille questioni che lui ha rimandato. Le mille piccole avventure che non ci ha raccontato perché non ha avuto spazio, o forse la capacità, sembra quasi ammettere,di raccontare.

David Foster Fallace si è suicidato circa un anno fa lasciandosi dietro diversi saggi, molti racconti e pochissimi romanzi.

Non so perché si sia ucciso. Posso solo immaginare, per quel poco che lo conosco, che non abbia retto a tutto ciò che ha visto.


Guglielmo
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