domenica, settembre 20, 2009

Tutto in cinque ore

Questa mattina mi sono alzato verso le sei e mezza. Dopo un caffè ed una barretta ai cereali, che Riccardo usa come merenda a scuola, ero già in strada con la mia Olmo. Mentre il sole spiava la città da una feritoia tra le nubi, sono arrivato ai confini del bosco in città. Oltre la strada, che pare delimitare lo spazio tra città e campagna, un sottile strato di nebbia era posato su ogni cosa. Nel giro di pochi metri sono passato dall’asfalto al fango. Non faceva freddo ma l’aria era umida. La mia bambina, dopo la revisione autunnale, avanzava nel fango incurante delle frustate fradice delle piante che costeggiano i sentieri. Giunto al margine del bosco, il sentiero sembrava sprofondare tra i rami e la nebbia. Senza frenare, ma pensando a cosa avrei potuto trovare oltrel’abisso trovato, ho lasciato che gli alberi ci inghiottissero. Sul fondo del canale che attraversavamo abbiamo trovato acqua. Per un istante, suggestionato dalla coltre pallida che galleggiava a pochi centimetri da terra, ho temuto di essere attaccato da un branco di nutrie o di cani randagi. L’immagine di me rotolante nel fango mentre tento di divincolarmi dall’assalto delle nutrie assassine mi ha trasmesso nuovo vigore permettendomi di divincolarmi dal fango e dall’acqua per tornare all’asciutto. Dopo un giro nel bosco mi sono diretto vero il Parco delle Cave. Mentre passavo di fianco alla cava piu’ grande, una specie di lago circondato da sponde scoscese e verdeggianti, il sole si è spogliato delle nubi riversando la sua luce calda sull’acqua. Non ho potuto fare a meno di frenare, togliermi dalle orecchie le cuffiette, e raccogliere quell’istante. Verso le otto e mezza, sporco e soddisfatto, sono tornato a casa. I ragazzi, già svegli da tempo, scalpitavano per sapere cosa ci avrebbe atteso in questa mattinata di sole.

Dopo doccia, barba, una spremuta d’arancia Esselunga (100% succo), un caffè ed un pezzo di torta alla frutta, reduce da una serata con amici, ho radunato la squadra. Susanna, che già aggrediva il pavimento, dichiarava di voler iniziare ad effettuare il cambio degli armadi. Anche gli animi piu’ puri capivano dunque che era il momento di dar corso ad una evacuazione in grande stile e cambiare aria. Dopo aver caricato le bici in macchina ci siamo diretti alla volta del Parco Sempione.
Passando in zona Monumentale siamo incappati in uno schieramento di Polizia. Gli agenti, con scudo ed in assetto antisommossa, fronteggiavo un gruppetto di democratici che, striscioni tricolore alla mano, manifestavano contro i mussulmani riuniti in preghiera. Bisogna ammettere che vedere una massa di uomini rivolti verso oriente pregare all’unisono non è rassicurante. Ma vedere la Polizia che li protegge dall’intolleranza lo è ancor meno. Ci preoccupiamo che questi uomini rispettino i nostri valori quando noi per primi li calpestiamo negandogli il diritto di radunarsi a pregare.

“Perché c’è la Polizia?” mi ha chiesto Riccardo.
“E’ qui per proteggere quelle persone che pregano. Perchè quei signori vorrebbero cacciarli. E la Polizia lo impedisce.”

E se uno ci pensa, non c’è modo migliore di radicalizzare uno scontro che non quello di far sentire qualcuno mal tollerato e cosi diverso da dover essere protetto da uomini armati mentre prega. Forse sarebbe meglio dare a queste persone un luogo dove, sempre vigendo la nostra legge, essi siano liberi fare ciò che ritengono opportuno. C’è solo una cosa di cui aver paura, diceva FDR, la paura stessa.

Finalmente siamo arrivati al Parco. Mentre Riccardo veleggiava in giro e Federico, ancora un po in difficoltà sui pedali, avanzava al mio fianco siamo stati sorpassati da un gruppetto di ragazzi e ragazze capitanati da un giovanotto rasato, in maglietta attillata e pantaloni mimetici. Il gruppo, sbalzante da una siepe all’altra come fosse inseguito da uno stampede di bufali delle Grandi Pianure, era un sedicente gruppo di giovani dediti al fitness di stile militare (cosi ho dedotto dalle scritte sulle magliette). Ne ho avuto conferma osservandoli mentre replicavano esercizi visti in “Ufficiale e gentiluomo”. Sperando di vedere qualche calcio nelle costole e sentir urlare dall’istruttore “Da dove vieni figliolo?” rivolto ad uno degli adepti ci siamo fermati un po’.

Insoddisfatti abbiamo ripreso il cammino. Riccardo ha trovato alcuni amici ed ha iniziato con loro una partita a calcio. La nostra attenzione, mia e di Fede, è stata invece attratta da due cavalli della Polizia Locale (i vigili urbani). I due, Giove ed Urano, avevano finito il loro giro di pattuglia e si apprestavano a salire sul mezzo adibiti al loro trasporto. Mentre Urano, dopo essersi fatto accarezzare dai bambini presenti, è docilmente salito sul camion Giove, con l’occhio pallato, recalcitrava all’idea. Mentre la folla faceva capannello e cominciava ad osservare con ben celata malizia le difficoltà dell’operazione di carico un tizio, poco piu’ vecchio di me, mi ha rivolto, con marcato accento romano, la parola.
“Io sono un ex ufficiale di cavalleria e le dico che stanno sbagliando tutto…”
Io, che adoro queste cose, ho subito risposto: “In che senso?”
“Intanto lo tirano per il morso e lo fanno innervosire. Poi lo vede quello la dietro che cerca di spingerlo? Ha paura. Il cavallo lo sente e non si muove. Lo vede poi come è mal tenuto? La muscolatura e molle. Senza parlare dei rischi per la gente qui intorno…”
“Ma lei montava?”
“Avevamo i cavalli. Ma solo per attività sportive. Poi usavamo i blindati. Non è il loro mestiere…le pare che anche la Polizia Locale debba avere i cavalli? Nemmeno i Carabinieri quasi li usano piu’….guardi l’assurdo: dalle scuderi e a qui li portano in camion. Ci potrebbero tranquillamente venire a cavallo. Con che costi? E per cosa?”
“Basterebbe” ho chiuso io “mettere due in moto…comunque mio padre era Carabinieri a cavallo e mi diceva che dedicavano un sacco di tempo ai cavalli ed alla loro cura.”
“Infatti…beh vado. Mi saluti suo padre e non gli racconti questa scena… ”

Si sono fatte le dodici e quindi ci siamo avviati verso casa. Nel giro di dieci metri ho assistito alle seguenti scene. Una madre che urlava al figlio di inseguire il padre che se stava andando: “fermalo!” ingiungeva la signora. Il bambino prendevail padre per mano convincendolo a tornare alle altalene (ho temuto di vederlo salire ). Subito dopo un madre, in preda ad una crisi isterica, urlava minacce degne dell’ispettore Callaghan verso la figlia, anch’essa in preda ad una crisi, piangente. Il padre, accovacciato sui talloni nel fuoco dello scontro, non tentava di calmare la figlia ma ripeteva come un mantra, rivolto alla madre e con voce monotona: “Non devi urlare…non devi urlare…stai calma…stai calma….”.

Siamo arrivati a casa. Sul divano, rilassandomi dopo una mattinata si piena, si è avvicinato Icus.

“Io ti voglio tanto bene!” mi ha detto.
Io l’ho abbracciato forte ed anche lui mi ha stretto a se.
“Anch’io te ne voglio tantissimo…ma perchè me lo dici?” ho risposto.
“Voglio saperlo…” ha risposto lui senza lasciarmi il collo. Io l’ho stretto piu’ forte senza capire se intendesse dire che voleva farmelo sapere e se voleva essere rassicurato da me.

In ogni caso,non era importante.

A pranzo gli ultimi brandelli di pecorino (zio, non si può organizzare una spedizione?), crudo, fichi neri deliziosi ed una bottiglia di Moretti rossa.

Alla mamma abbiamo avuto di che raccontare.

Gughi
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