martedì, settembre 01, 2009

Assenza

Tornando dalla bici, mentre levo i guanti ed il caschetto, e mi appresto a riporre la mia Olmo nel gabbiotto, alzo lo sguardo verso il secondo piano. Il filo dei panni era sempre invaso da una infinita colorata varietà di stracci. Dalla imposte aperte, scagliati dalle casse della radio, piombavano nel cortile le note dell’Ave Maria o il monotono canto del Rosario di Radio Maria. Tornando a casa al mattino, potevo scorgere sul balcone la testa bianca di mia nonna lievemente piegata. La immaginavo assorbire i rumori della strada, la frenata ferrosa del tram, il colpo secco dell’apertura pneumatica delle porte ed il vento fresco che si incanala nella nostra via nelle mattinate primaverili. Ho trascorso una bella fetta della mia vita in questa casa. Ne conosco i suoni e gli odori. Il colore che assume la facciata interna, la piu’ vecchia, nei giorni in cui il sole tramonta diffondendo ovunque un giallo caldo che pare colare viscoso verso il polveroso cortile.

Conosco la casa in cui viveva mia nonna. L’odore di ogni stanza. La sensazione della carta da parati sulla nuca quando ci si sdraia sui letti appoggiando la testa alla parete e la sensazione delle piastrelle consunte della cucina sotto i piedi. Il profumo pungente di detersivo dell’armadio in fondo al corridoio, il rumore della porta d’ingresso che sbatte e il buio segreto che avvolge gli inservibili utensili da cucina ed i piatti buoni nelle ante del mobile in soggiorno. La sensazione sotto i polpastrelli dell’intonaco della parete del corridoio e dello scalino intarsiato nel legno del tavolo in soggiorno. Il sapore ferroso dell’acqua del rubinetto. L’odore di grissini e pane vecchio di un giorno della cucina.

Queste sensazioni sono solo ricordi. Anche se tornassi in quella casa tutte queste sembrerebbero sensazioni vuote.

Le imposte marroni chiuse. Il vuoto silenzio che sembra regnare dal secondo piano. Quello straccio grigio appeso ai filo dei panni. Dimenticato li chissà da chi e chissà quando mai verrà ritirato. Lo sguardo smarrito delle persone anziane che incrocio. I loro lento ed incerto vagare.

La morte di una persona cara è in tutto questo. Non è negli ultimi tumultuosi giorni che ha vissuto.

Non è nel rimpianto di ciò che non è stato detto. Se si è impresso un bacio o una carezza, se si è trovato il coraggio di salutare chi parte, allora nulla è da rimpiangere.

Lo sguardo dei familiari, i volti composti e tristi degli amici, le preghiere, un canto capace di consolare alla fine della cerimonia, tutto mitiga il doloroso tumulto degli ultimi giorni. Ma poi si resta soli. Soli con l’assenza.

La morte è l’assenza.

Cosa, consola.

Il sorriso sereno con cui Carlo, che ha celebrato l’ultimo saluto, ci ha accolti quel giorno. Le parole che mi ha detto pochi giorni fa: “Era la sua fine naturale.”

Il resto è il Mistero.

Guglielmo
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