domenica, agosto 17, 2008

Tattiche di plotone

Dopo un breve raid di riscaldamento effettuato ieri mattina, raid durante il quale abbiamo rischiato di essere travolti da una decina di mucche in formato Stampede, oggi ci siamo impegnati in un’escursione di circa un’ora e mezza.

Sbuzzy, piuttosto restio ad affrontare pendenze diverse da cumuli di pasta, si è piantato nell’asfalto dichiarandosi, scuotendo la testa, irremovibile. Solo la promessa di essere nuovamente coinvolti nella corsa di Pamplona versione brianzola lo ha convinto a salire sul passeggino ed affrontare una nuova avventura.

La meta, suggerimento del padrone della casa presa in affitto in quel di Caglio, la Madonna di Campoè.

Dopo poche centinaia di metri ci siamo trovati in un folto bosco di faggi e castagni. Camminando tra le lame di luce che filtravano tra rami ne ho approfittato per dare ai mie ragazzi alcune gradite lezioni di tattica di plotone. Spiegando l’importanza della posizione in battaglia (da Azincourt a Waterloo) ho chiuso la lezione con alcune tattiche di contro guerriglia e di pattugliamento. Sbuzzy, galvanizzato, ha quindi abbandonato il passeggino per impugnare un bastone. Subito lo ha infilato sotto l’ascella sinistra percorrendo il sentiero, divenuto pesante nell’umida oscurità, con il piglio di Lord Mountbatten Vicerè d’India.

Dopo aver guadato un paio di ruscelli ci siamo trovati di fronte ad una biforcazione priva di indicazioni. Citando Terzani, ho detto ai ragazzi “Come dice il saggio: di fronte ad un sentiero che sale ed uno che scende prendi sempre quello che sale”.

Per essere certo che ai mie ragazzi fosse ben chiaro il concetto, mentre iniziavamo ad arrancare tra foglie fradice e radici, ho ripetuto la massima. L’ho ripetuta sino a che, una Susy spazientita ed evidentemente indifferente alle mie lezioni, ha buttato li: “Lo hai già detto tre volte…abbiamo capito.”

Ricky “mitraglia” (ribattezzato così per una certa propensione alla chiacchiera) stordiva gli uccellini con una serie di domande e riflessioni che svariavano da presunte uova di scarafaggio ad ipotesi piu’ o meno suggestive su presunti sentieri che, a suo dire, si dipanavano ad ogni svolta. Durante l’ora trascorsa nel bosco si stima che non abbia parlato per circa cinque minuti, minuti che ha impegnato a piangere dopo essere letteralmente franato sul sentiero. Sbuzzy invece, sempre inseguendo la chimera delle mucche e contrariato dalla totale assenza di chioschi e punti di rifornimento vari, si piantava nuovamente nel fango dichiarandosi totalmente contrario a qualsiasi opzione che non fosse un piatto di salsiccia. Ad una mia citazione sulla mancanza di confort della spedizione il nostro eroe, prendendo lucciole per lanterne, ha ribattuto: “Papà! Coccorn! Coccorn! (Popcorn! Popcorn!)”.

Sua madre, generosamente, lo ha preso in braccio proseguendo cosi verso la nostra meta. Alla fine dell’impervia salita (mi sono permesso di ristare il saggio…) ci siamo cosi’ ritrovati di fronte al vecchio faggio. Spesso, abituati a sorprenderci per le nuove versioni di Suv e Sav della Bmw, ci dimentichiamo quanto sia potente la natura. Di fronte ai nostri occhi si infatti parato un faggio immenso. Duro come cemento, con radici che affondavano salde nella terra grassa come muscoli tesi nello sforzo di trattenere quella possente ed immobile belva, il faggio pareva, con una gloriosa chioma, contendere lo spazio agli alberi circostanti annichiliti da tanto fulgore. Qui apparve, in data imprecisata, la Madonna. Riccardo, che intanto esplorava i dintorni, ha subito chiesto come mai la Madonna fosse scomparsa. Nell’elaborare la mia insoddisfacente risposta ho compreso come la natura, indomita, sia la porta verso la spiritualità. Come l’uomo mopdreno, che alla fine non gradisce molto la natura non regolamentata, abbia perso una delle porte verso la spiritualità e la tensione verso “altro”. Non è un caso, credo, che la Madonna sia apparsa proprio li. Il faggio è stato un bel premio per la nostra fatica.

A questo punto abbiamo iniziato a scendere. Il sentiero, non pensato per passeggini e bambini di due anni, si è fatto dunque insidioso. Sbuzzy, aggrappato come una scimmiotta al mio collo, ha iniziato a disperare che si potesse essere a casa per pranzo. Riccardo, anche se provato dal alcune cadute, ad ogni passo si imbaldanziva per l’impresa che si stava compiendo. Dopo qualche caduta e qualche incertezza ci siamo dunque ritrovati sulla strada verso casa.

Quell’oretta, trascorsa tra saltellanti ruscelli, ombrose forre e scivolosi sentieri ci ha fatto sentire una squadra. Soddisfatti della nostra caparbietà e del nostro spirito di squadra ci siamo dunque diretti al desco.

Nel tardo pomeriggio abbiamo lasciato, prima di tornare in città, i ragazzi dai nonni. Riccardo era triste ma paziente. Sbuzzy, il Vicerè, è un uomo munito di una certa inventiva. Mentre ci scambiavamo i saluti Fede, Icus di Pomerania, imbracciava un insignificante sacchetto e se lo gettava sulle spalle: “Ico giù…ciao ciao…ciao ciao…!”. Per consolare suo fratello, che veniva ovviamente sacrificato come diversivo, lo carezzava sul petto con tenerezza sussurrandogli “Ciao Ichi…Ciao….”.
Prima che potesse varcare la porta, ultimo sottile diaframma prima delle Grande Fuga, veniva braccato dalla nonna.

Mentre scendevo le scale ho ripensato alle parole con cui ho concluso la mia lezione di controguerriglia: “I Marines non lasciano mai un compagno indietro….”.

Scusami Sbuzzy…


Il Maresciallo
Creative Commons License