domenica, agosto 31, 2008

Lontani dal mondo


L’ultima settimana di Agosto l’ho trascorsa insieme a Riccardo e Federico in una casetta che abbiamo affittato in Vallassina.

L’assenza di Susanna e la totale mancanza di obblighi (se non quelli casalinghi legati alla pulizia, il minimo per evitare epidemie, ed al nutrimento) cu hanno consentito di vivere in pieno i cinque giorni. Subito, senza rimostranze, ho abolito le inutili opere di manutenzione buone solo a far perder tempo. Imborotalcature, pulizia delle orecchie, pettinature e taglio unghie sono stati banditi. La scelta dei vestiti è stata affidata al mio personale buon gusto ed alla praticità dei ragazzi. Per aumentare il coefficiente di difficoltà e portare alla luce l’essenziale delle cose, non ho portato la tv e non abbiamo praticamente toccato la Corolla.

Abbiamo dunque affrontato il palcoscenico locale un po in disordine ma non privi del nostro naturale fascino.

Ogni mattina facevamo un’escursione di un’ora, un’ora e mezza. Marciando come legionari romani abbiamo percorso sentieri nei boschi. Mentre attraversavamo pinete come cattedrali e faggete inondate di sole discutevamo degli alberi, animali e corsi d’acqua. Chiedevo a Riccardo di descrivere ciò che vedevamo e, scegliendo con cura le parole, cercavamo di fissare le emozioni e le impressioni che le rocce cupe, i massi erranti ed i pianori inondati di sole ci trasmettevano. Di fronte ad un bivio ho lasciato sempre che scegliessero loro il sentiero da percorrere.

Abbiamo dato la caccia ai grilli nei prati ed alle formiche tra le pietre. Abbiamo catturato ed imprigionato lucertole cui Riccardo ha subito restituito la libertà. Abbiamo ispezionato formicai e ci siamo arrampicati su balle di fieno. Abbiamo visitato una stalla e scoperto strani fiori che scoppiano sul palmo della mano come petardi.

Abbiamo riso dei capricci di Sbuzzy. Icus e Ricky qualche volta hanno bisticciato ma spesso hanno giocato insieme: nella vasca e sul letto bisognava farli smettere di ridere e fare scherzi.

Dopo pranzo riposavamo. Fede dormiva ed io e Riccardo leggevamo tranquilli a letto o ci sfidavamo a calcio. Io battevo punizioni e lui, gettandosi di qua e di là sul prato, in porta.

Verso le 16 un gelato e poi al parco giochi. Riccardo e Federico giocavano con altri bambini o mi sfidavano a pallacanestro (il che si risolveva nell’inseguirsi sul campo o in qualche tiro a canestro) e a rigori.

La sera, dopo cena, mentre il blu della notte calava dalle montagne circostanti, ci siamo sfidati in terribili battaglie a bocce sgranocchiando pop corn. Sbuzzy lanciava le sue due bocce blu e poi, altrove, il boccino. Io e Riccardo, contendendoci i punti a spanne, gareggiavamo punto a punto. Un paio di volte, con le mie tre bocce della vittoria che assediavano il pallino, Riccardo, concentrandosi, ha piazzato colpi di rara lucidità aggiudicandosi l’incontro.
Come è dolce essere sconfitti in extremis dal proprio figlio.

Ormai stremati dalla giornata ci siamo addormentati leggendo fiabe e programmando il giorno successivo.

Cosa resta?

Mi resta un’immagine, che ho intrappolato in una foto, di Riccardo e Federico che si stringono fiduciosi la mano. Riccardo sembra parlare. Sbuzzy stringe nella sinistra un barattolo di bolle di sapone (ogni mattina insieme al Corriere compravamo un fumetto o le bolle). Insieme si inerpicano su un sentiero cosparso di foglie. La via è leggermente in salita e fiancheggiata da felci. Ciò che c’è dietro la prima curva è nascosto dagli alberi ma loro, decisi, sembrano non curarsene.

Mi resta un istante: e’ ora di andare a casa. Siamo sul campo da basket. Un passo oltre la linea della metà campo.
“Adesso andiamo. Prima faccio un tiro. Scommettete che segno?” dico ai ragazzi.
“No. Non segni…” dice Riccardo.
“cosa scommetti?”
“Se segni andiamo a casa se no restiamo…”

Sorrido e faccio come gli ho spiegato pochi istanti prima. Immagino di vedere e mirare all’attaccatura tra l’anello e la staffa fissata al tabellone. Immagino la rugosità della saldatura. Porto la mano sinistra sul lato della palla ed inquadro, istintivamente, il canestra tra il pollice e l’indice della destra. Spezzo il polso e, lasciando la mano in aria, come a voler guidare la palla nella sua parabola, lascio partire la sfera.

Un padre può insegnare cose che non è poi capace di mettere in pratica? Un padre deve essere, almeno nei primi anni di vita, infallibile? I figli devono imparare che nella vita le cose non vanno sempre come devono e come si pensa?
Questi sono i pensieri che accompagnano il raggiungimento del culmine della parabola e la ricaduta della sfera.

La palla completa il suo percorso. Mi volto verso Riccardo. Ci fissiamo negli occhi e sorridiamo felici.


Guglielmo

1 Comments:

Blogger sibilo ha sostenuto

Lo strano fiore citato è la silene vulgaris detta anche bubbolina. Anche noi da bambini ci divertivamo a raccoglierli nei prati per poi farli scoppiare!

1:56 PM  

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