martedì, febbraio 26, 2008

Aurelio e Marianna

Aurelio barcolla lungo il marciapiede che costeggia la montagnetta di San Siro. Le macchine sono rasoiate che sollevano onde di gelo spumose di gas. Un furgone bianco lascia una nube nera e le macchine che seguono si gettano al suo interno creando piccoli vortici gassosi. Aurelio ha occhi sgranati e grigi. Intorno all’iride piccole pietre dorate. Pagliuzze visibili solo da vicino. Ha una bottiglia di vino in mano. La tiene stretta per il collo con la mano senza guanto. La destra accarezza il cilindro della bottiglia sentendo la lana strisciare sul bordo dell’etichetta. Ha già bevuto a canna due bicchieri abbondanti e tutto sembra piu’ leggero. Ha imparato che anche un alcolizzato ha bisogno di temperanza. Bere una bottiglia tutta d’un fiato da un sollievo temporaneo. Poi solo mal di testa e dolori e quando ci si risveglia non si ricorda di nulla. Bere poco alla volta, prolungare i sorsi, permette di conquistare un’euforia poco piu’ che passeggera. E’ quasi marzo. C’è ancora luce e l’aria, malgrado i cavalloni di gelo che arrivano dalla strada, ha un retrogusto di primavera che nemmeno il vino riesce a cancellare. E’ in ritardo. Accelera il passo e beve un altro sorso. Gli fa male la milza e gli viene da vomitare. Controlla ancora una volta il Casio da bambino che tiene nella tasca interna della giacca di velluto. Rallenta un poco. Le macchine continuano ad aumentare. Tra poco saranno tutti imbottigliati. Al sicuro tra le lamiere delle loro auto, convinti che nulla possa toccarli. Tutti convinti di avere in tasca la carta vincente. La risorsa estrema che può tenerli al riparo da ogni avversità. Un talento. Un’eredità. Una proprietà. Un titolo. Aurelio sorride. Un sorriso sgangherato sotto il berretto rosso e giallo di lana appoggiato sui capelli stopposi. Sorride perché sa che tutto, in un istante, può essere spazzato via. Nulla ha la solidità di ancorarti bene alla vita se finisci nella tempesta. La sua vita, un buon lavoro, una laurea, vacanze puntuali, sport, l’aspirazione ad un figlio, tutto travolto in un anno. Meno, forse. Sua moglie con il suo capo. L’alcool. Il lavoro perso. I debiti. La morte di sua madre e di suo padre subito dopo. Ed alla fine la strada. Ed in fondo alla strada, ancora l’alcool. Solo l’alcool. Sbuca tra le siepi. Il rumore della macchine attutito. Si siede sulla panchina.

Eccola.

Marianna corre lungo il rettangolo verde costeggiato da alberi spogli e cemento. Ha circa 35 anni, pensa Aurelio. Tre meno di lui. Marianna ha occhi azzurri che scintillano sul volto pallido. I capelli biondi raccolti sopra la nuca. La coda ondeggia al ritmo della corsa. È alta circa un metro e settantotto. È miope (una volta l’ha vista fermarsi perché aveva perso una lente) ed è una donna pratica. Non porta anelli, braccialetti, collane. Una felpa grigia con cappuccio, con il logo di un’università di Boston, le cade lungo i fianchi coprendole il sedere. Non ha segni di gravidanze, non ha lo sguardo che solo le madri hanno, e non ha un uomo. L’ha vista correre il giorno di San Valentino, il sabato, la domenica. Non porta mai il cellulare. Non abita molto lontano. Viene sempre a piedi. Si è imposto di non seguirla mai al di fuori dei tracciati della Montagnetta. Non vuole spaventarla, non è un maniaco, non è guardone, solo un uomo che osserva una donna. Due mondi, distanti, che si intersecano tra le panchine e gli alberi del parco. In quello spazio comune Aurelio può guardare Marianna correre senza sentirsi a disagio.

La corsa è un misto di tecnica, testa e cuore. Anche avendo due di queste doti in abbondanza nessuno può dirsi un buon corridore. E’ necessario, per ciascuno, trovare il giusto equilibrio. La perfetta combinazione fa il buon corridore. Cosa è mancato a lui? Si chiede Aurelio. Beve un altro sorso dalla bottiglia e continua a fissare le gambe forti di Marianna fasciate nei pantaloni attillati della Nike. Un paio di calze nere di spugna aderiscono alle caviglie sottili. Marianna ha trovato il sue equilibrio tra cuore, testa e gambe. Indossa un G-Shock nero da uomo che non guarda mai se non quando mancano meno di cinque minuti alla fine del suo allenamento. In quei ultimi cinque minuti respirare le è quasi doloroso. I muscoli della gambe sono gonfi di acido lattico e la testa è annebbiata. In quegli ultimi cinque minuti Marianna corre solo con il cuore. E’solo per quegli ultimi cinque minuti che lei corre i precedenti 52. Quando smette di correre continua a camminare e sorride, per un istante infinitesimale, felice. Felice, sino quasi a piangere, immagina Aurelio. Le gambe si possono irrobustire, imparare la tecnica, ma il cuore, quello, ti viene messo nel petto da bambino e quello resta.

La nostalgia si fa strada nel ventre di Aurelio. Stringe ancora la bottiglia ormai quasi vuota. Può sentire il profumo di borotalco che scivola lungo la schiena di Marianna e gli ricorda qualche estate di quand’era ragazzo. Getta un ultimo sguardo alle sue gambe lunghe che paiono appena toccare terra.

Scompare dietro la curva ed Aurelio si arrampica sul versante nord della montagnetta. Se lo vedesse probabilmente Marianna si spaventerebbe ed allora, sdraiandosi su un giornale che stende sulle foglie marce, si accuccia nel punto in cui il terreno è stato livellato. La tosse minaccia di farlo scoprire. Cerca di ricacciare i singulti nel torace e scruta l’orologio. Oggi non è in forma. Ci ha impiegato un minuto piu’ del solito. Aurelio la guarda in volto. È pallida piu' del solito. Le braccia non sono fluide. Continua a guardare il nulla di fronte a se, la testa persa tra le cuffie dell’I.pod. Appena scompare dietro il culmine del sentiero, Aurelio, scrutando intorno per esser certo che nessuno lo stia guardando, si rimette in piedi. Un piede scivola sulla merda, che il barbone spera essere di un cane, e d allora Aurelio rotola verso il sentiero di ghiaia sottostante. Si graffia il volto su un ramo che sporge dal tappeto fradicio di foglie e riesce a fermare la sua caduta aggrappandosi alla radice di un albero. Malconcio, piu’ per il vino che per la botta, torna verso la sua panchina. Mancano 3 minuti. Oggi forse ne impiegherà 4. Assapora i minuti che lo separano dalla sua apparizione come se avesse un vero appuntamento. In fondo, pensa stordito e la bocca ormai impastata, lo è. Oggi proprio non è in forma: 4 minuti e 35 secondi. A 5 minuti e 10 secondi decide che qualcosa non va. Marianna, ma davvero si chiamerà così, pensa in un istante di lucidità, è un corridore abitudinario. Non corre mai meno di 57 minuti, sempre sullo stesso percorso, sempre gli stessi giorni (Mercoledi, sabato e domenica)
e sempre alla steesa ora (le 17.30). Si alza a fatica in piedi. Getta la bottiglia. Il cuore gli batte in gola. Qualcuno le sta facendo del male, urla una voce nella sua testa. Si passa la mano sporca sul volta per ritrovarla imbrattata del sangue che sgorga dal quello che non è un graffio ma un taglio. La vista del sangue prima lo atterrisce e poi gli da nuova energia. Inizia a correre ma il vino confonde gli ordini che il cervello cerca di dare alle gambe. Inciampa negli scarponi pesanti che lo proteggono dal freddo del cavalcavia della stazione delle Nord di Quarto Oggiaro. Sbatte e striscia prima il naso e poi la faccia nella ghiaia polverosa e gelida. Bestemmia. Perché Dio mi hai lasciato? Urla dentro di se. Vorrebbe piangere ma imparato che non serve a nulla. Fatica a respirare e sente qualcosa comprimergli il petto e la schiena. Si ferma. Ha paura di morire e ha paura che qualcuno faccia del male a quella donna. Cerca di alzarsi. Ricade e si graffia rabbioso la faccia sulla terra. Si accendono i lampioni, l’odore di primavera si dissolve in una lingua di gelo pare scivolare dalla cima della montagnetta.

Poi, solo silenzio…

3 Comments:

Blogger Tecnologo ha sostenuto

nonostante la lunghezza che ti ammazza... e' solo questione di trovare i 10 minuti di pace per leggere e assaporare la tua prosa.
bravo.
tec
ps: a essere proprio precisini... ipod, senza punto fra i e pod...

9:28 AM  
Blogger Guglielmo il Maresciallo ha sostenuto

Quando ho postato ero certo di due cose.

Mi avresti detto che era troppo lungo, avresti chiosato su come si scrive Ipod. Nella versione da antologia l'ipod sarà sostiuito "da un vecchio walkman a cassetta ritrovato chissà dove"

9:40 AM  
Blogger Guglielmo il Maresciallo ha sostenuto

Non è finito, comunque....;-)

9:41 AM  

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