martedì, ottobre 23, 2007

Medici

Negli Stati Uniti, la diffusa abitudine di fare causa ai medici, ha innescato un meccanismo paradossale.

Per fronteggiare le numerose cause i medici sono costretti a stipulare assicurazioni. Nel corso degli anni i professionisti, sottoposti a denunce anche per inezie e facilmente condannati da giudici che tendono a tutelare i pazienti, sono costretti a pagare premi talmente onerosi che diventa antieconomico lavorare. Rinunciano quindi alla sala operatoria per dedicarsi agli studi privati. Il fenomeno ha portato molti bravi dottori a non effettuare piu’ interventi ed in pratica a ritirarsi dalla prima linea della chirurgia.

Un altro aspetto non trascurabile riguarda i rischi che i medici si assumono. Per evitare cause e denunce molti medici ammettono di non andare oltre il dovuto. Evitano interventi rischiosi limitandosi a fare ciò che li mette al riparo da denunce di qualsiasi tipo. Nel dubbio la priorità non è piu’ la salute del paziente ma l’inattaccabilità del medico stesso.

Anche sul consenso informato la questione è delicata. La normativa è talmente stringente che facilmente un medico può essere accusato di aver indotto il paziente ad accettare un intervento piuttosto che un altro. Spesso il convincere un paziente ad effettuare un intervento, necessario ed utile, espone il medico a rischi di conseguenze legali.

La medicina insomma si è trasformata in un campo minato. Una scienza che di fatto non è esatta viene trattata come tale. Un medico ha il diritto di sbagliare? Ha il diritto, se ha operato con il massimo scrupolo e la massima diligenza possibile, di commettere un errore? Il prezzo di un errore è a volte altissimo ma una politica iperprotettiva nei confronti dei pazienti mette i medici di fatto nelle condizioni di non poter piu’ lavorare utilmente.

In Italia il fenomeno è ancora limitato ma non è escluso che anche qui diventi una piaga del sistema sanitario.


Guglielmo
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