mercoledì, ottobre 24, 2007

La valigia di mio padre

Con una dedica capace di emozionare mi è stato donato un piccolo libretto: “La valigia di mio padre”.

E’ una raccolta di tre discorsi tenuti dal Nobel per la letteratura Orhan Pamuk sulla scrittura e sulla letteratura.

Una riflessione, quasi amara, sul senso stesso della letteratura. Cosa ricerca lo scrittore? Cosa lo spinge ad isolarsi in una stanza, asserragliato tra pareti di libri, rinunciando in pratica a vivere?

Scrittura, per Pamuk, significa “prendere coscienza delle proprie ferite interiori e raccontarle ai lettori che le riconoscono per averle provate in prima persona”.

Lo scrittore costruisce mondi con le parole. Fugge dal mondo reale e ne costruisce uno diverso.

Un mondo che lentamente si anima e prende una propria vita. I personaggi, le strade, le piazze, le case, gli uomini e le donne iniziano ad interagire da loro sfuggendo al controllo del loro creatore (o scopritore?).

Ma esistono poi mondi così come vengono descritti? La Port Royal di Steinbeck è quella in cui passeggiò Henry Morgan? Il Sacco di Roma avvenne come lo vide secoli dopo “Leone l’Africano” di Maalouf?

Credo di no. Quelli descritti sono mondi possibili, mondi probabili ma non reali. E allora perchè si scrive? Perchè si legge? Forse per vivere altre vite. Appunto possibili, probabili.

Berardi, autore di Ken Parker, disse in un’intervista che il suo personaggio aveva assunto vita propria. Che per come era cresciuto nel tempo e per le esperienze che aveva vissuto nelle varie avventure non poteva che comportarsi in un certo modo. L’avventura umana del biondo Ken aveva preso la sua ineluttabile direzione. A Berardi non restava da fare che scriverla. Ad un certo punto, negli ultimi numeri che precedettero la chiusura, Ken divenne l’autore delle sue stesse storie. Il protagonista narrava ricordi della sua vita e a sua volte diventava scrittore di romanzi. Berardi scriveva storie scritte dalla sua creatura narrativa. Scrivendo, in un gioco di specchi, avrà tenuto conto della sua sensibilità ma anche di quella, che lui come autore aveva forgiato, di Ken stesso.

La scrittura è saper ordinare la parole su un foglio. Saperle “pesare”, continua Pamuk, legandole ad altre parole. Rimirarle da lontano e cesellarle con attenzione certosina. Ma ancora di piu’ scrivere è “parlare di cose che tutti conoscono ma che non sanno ancora di conoscere. La grande letteratura non parla delle nostre capacità di giudizio, ma della nostra abilità di metterci nei panni di un altro”.

Questa sensazione, aggiungo io, è dolorosa.

Calarsi nella vita altrui, vedendone con l'occhio di un esterno le miserie che a lui sfuggono o che preferisce non vedere, è dolorosissimo.

Questa difficile operazione, vivere la vita di un altro, illumina le miserie delle scrittore perchè non solo lo rende consapevole che ci abituiamo sin da bambini a levare lo sguardo dalle nostre miserie, dai nostri fallimenti e dalla caducità delle cose ma anche perchè nelle miserie altrui rivediamo invariabilmente le nostre.

Scrivere forse è questo. I grandi scrittori non hanno bisogno, non hanno nemmeno il tempo, lo spirito o semplicemente la possibilità, dice Orhan, per vivere le vite che narrano. È la loro abilità nel narrare la vita altrui come fosse la propria e quella propria come fosse di altri che li guida nella scrittura.

Alcuni dei pochi personaggi che ho creato sono nati in macchina, nel traffico, sotto la pioggia, o pedalando in bicicletta. Alcune pagine, alcune frasi, le ho scritte nella mente facendo altro. Dopo ore, a volte giorni, le ho riversate su carta e poi le ho limate. In questi giorni sto scrivendo un racconto per i bambini del gruppo a cui io e la mia famiglia partecipiamo. Il protagonista, un bambino che vive in una indefinita e avventurosa preistoria, è comparso da dietro una roccia nelle profonde viscere delle grotte di Toirano. Nella “sala dei misteri” vi sono concentrate impronte di uomini preistorici, orsi delle caverne e palline di argilla rimaste attaccate alla parete contro cui furono scagliate, forse in un rito di iniziazione. Il bambino preistorico, il cui nome se digitato in Google rimanda ad un sito porno giapponese, ha provato e fallito il rito di iniziazione ma ha trovato un pronto riscatto.

Ora il personaggio non è piu’ mio. Qualcuno lo ha disegnato, diverso da come io lo immaginavo. I bambini hanno parlato di lui. I genitori hanno risposto alle loro domande a modo loro (senza interrogarmi su come Tiki fosse in realtà. Sempre che avessi la risposta alle loro domande....) Ed ora lui è nell’aria. Ed io sono costretto a raccontare la sua storia. Ogni tanto Tiki, sullo sfondo di una foresta gelida ed umida, mi balza davanti e mi racconta un pezzo della sua ultima avventura.

Aggiunge piccoli pezzi della sua storia che si incastrano perfettamente con quelli che già mi ha raccontato o che pongono tutto sotto una nuova luce.

Scrivere è una meravigliosa avventura.


Guglielmo
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