domenica, settembre 23, 2007

Di pietra e...

Nei giorni scorsi, per abbeverarmi alla viva fonte del sapere manageriale, sono stato in visita presso la sede dell’azienda nelle cui firmamento brilla, luminosa, la stella di Archie.

Archie, camicia a righe e nodo della cravatta freschissimo, si è palesato nell’atrio per accompagnarmi ai piani alti.

Già in ascensore Archie aveva modo di manifestare malumore apostrofando un incauto con : “Ce la faremo ad arrivare al 5 piano?”.

Il malcapitato, la cui carriera a questo punto è a rischio, aveva la colpa di porre il deretano tra le fotocellule dell’ascensore per tardarne la partenza ed attendere due valchirie del marketing (in questo tipo di aziende tre quarti delle persone lavorano nel marketing, l’altro quarto ambisce a lavorarci).

Le due ci hanno apostrofato con un “Ciao!”. Nelle grosse aziende, i cui utili vengono riversati in tasche anglosassoni, l’ultimo dei fattorini saluta l’amministratore delegato con un bel “Ciao!” dandogli poi, ricambiato, del “tu”. La ragione non va ricercata nella assenza del tu e del lei in inglese ma nel semplice fatto che “Ciao! Cosa cazzo hai combinato in quel lavoro? L’aumento te lo puoi scordare!”è piu’ diretto di : “Buongiorno! Cosa cazzo ha combinato in quel lavoro? L’aumento se lo può scordare!”.

Siamo dunque arrivati nell’ufficio di Archie. Subito sono rimasto colpito dalla luce. Un’ampia vetrata sembra assorbire la luce solare. Una metafora da gotico catalano. Il dirigente vive nella luce (non trama, ma vive di cristallina trasparenza) e (è) di luce.

Le dimensioni dell’ufficio fanno già capire al cospetto di chi trovi. L’ufficio di Archie è ampio, tanto da poter essere utilizzato da due o tre sherpa, ma non cosi ampio da determinare uno spreco di spazio. Tre sedie nere, di pregevole fattura, disposte intorno ad una penisola, emanazione diretta della scrivania in cristallo di Archie, parlano di dure riunioni e brainstorming (tempeste di cervello).

La sedia di Archie, le cui multi regolazioni dicono ai postulanti “io sto seduto su questa sedia ore ed ore per garantire il benessere della tua famiglia ed il tuo mutuo e necessito di una sedie massimo confort”, si staglia sullo sfondo della luce milanese abbagliando così gli interlocutori.

Sparsi per la stanza, una cella monacale aziendale, i simboli del potere.

Piccolo poster di quelli che il sottoposto rimira quando interloquisce con il superiore immaginando, e drammaticamente tale sogno rimane per sempre confinato nell’onirico, di strapparlo dalla parete per farne scempio nell’intimo del possessore.

“Il capo rompe le palle(disegno di due palle da tennis) ma è sempre il capo”. Un simile poster se lo può permettere solo un capo e che non riceve visite da nessuno dei suoi capi. Dice quindi semplicemente due cose : “io sono il capo, rompo le palle, ma sono il capo e nessuno dei miei capi verrà mai qui perché se i miei capi mi devono parlare io prendo un aereo e volo a Londra!”.

Il prossimo passo è un modellino del Millennnium Falcon o della Uss Enterprise e una foto di Arche con William Shatner (il capitano Kirk) o Harrison Ford e Chubecca.


Segue...
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