martedì, febbraio 13, 2007

Una dilatata percezione della realtà

Stamattina, approfittando del mio orario di lavoro (inizio alle 12), mi sono recato in Corso Vercelli per comprare un paio di scarpe.

Archie, che conosce i negozi, mi aveva, nei giorni scorsi, indicato un negozio in via Belfiore:
“Scarpe su misura! Un artigiano premuroso che ti modella il prezioso cuoio sul piede! Pelli morbidissime!”.

Io, sensibile al bello, mi sono lasciato irretire dalle scarpe di Archie (portate sotto un vestito grigio finissimo. Tessuto importato dall’Inghilterra e scolpito da mastri italiani capaci, con mani sapienti, di dare alla stoffa l’autorità manageriale del proprietario).

Tornando alle scarpe alle ore 10.00 circa ero in Via Belfiore. Sulla sinistra, dopo un centinaio di metri, è comparso un bel negozietto. In vetrina, disposte ordinatamente, decine di scarpe. Testa di moro, nere, lavorate, scamosciate.

Veniva voglia di accarezzare le tomaie bombate e lisce. Di rigirarsi tra le dita quei manufatti perfetti, equilibrati come pistole da duello di fine ‘800. Le suole di cuoio, marcate con il nome del negozio, promettevano passi sicuri sulle scalette di voli internazionali e passi felpati tra i parquet e le moquette di prestigiosi uffici dislocati nel cuore della città.

Io, piu’ modestamente, le avrei utilizzate sotto un paio di jeans o al limite pantaloni blu.

Il proprietario, le stigmate dell’artigiano sulle mani, ha esordito con un rassicurante:
“E’ già nostro cliente lei...”. non era una domanda.
Io, riprendendo coraggio di fronte al sacerdote di quel tempio del bello, ho immaginato Archie che faceva chiamare una delle sue tre segretarie per dire “Si...si presenterà un giovane distinto ma vestito dimesso. E’ un poliziotto e lavora sottocopertura. E’ il fratello di Archie. Lo tratti come se fosse lui!”
“No...forse si confonde con mio fratello.. Archie...mi ha detto lui di venire...”
“Può essere...può essere...”

L’artigiano, come preannunciato, ha gettato li, dopo uno sguardo attento:” 46...direi un 46 ½!”
Annichilito dalle sue capacità mi sono limitato ad annuire e ad indicare il modello che volevo provare.
Mentre il nostro cercava silenziosamente nel magazzino sottostante io, inebriato dall’odor del cuoio e del lucido, mi perdevo tra i vari modelli.
Dopo poco ricompariva. Calzavo, come promesso da Archie, un guanto. Il Maestro del calzare mi pregava di fare alcuni passi e, come già Archie mi aveva anticipato, individuava alcune piccole criticità.
“Attenda cinque minuti! Vanno un pò ammorbidite sulla tomaia” con perentoria gentilezza.

Le mie scarpa sparivano dunque nel ventre del negozio per essere ammorbidite e plasmate. Io intanto immaginavo i futuri pranzi con Archie.
“Cccoli” avrebbero detto i sudditi di Archie “i fratelli! Si sussurra che le loro scarpe, (si servono da un vecchio artigiano che fa le scarpe a mano) siano fatte con pelli rarissime e pregiate, conciate al naturale, che vengono curate dall’allevamento alla conciatura in Australia.”

Insomma non ero acquirente di un paio di scarpe ma di un pacchetto di servizi. Dulcis in fundo il rappresentante galattico del bon ton calzaturiero mi chiedeva i dati personal per registrare il modello e la calzata per me ideale.

“Qui...” sussurrava complice “c’è anche il nome di suo fratello!”

Cazzo! Il mio nome era contenuto nel prezioso quaderno in cui anche il nome di Archie faceva mostra di se. Io e lui eravamo clienti dello stesso artigiano. I nostri dati, piedi gemelli, emanazione di un medesimo genio, erano a poche righe di distanza.

“Io” avrei potuto dire “per le scarpe non perdo tempo o denari. Mi servo dove si serve mio fratello!”.
Garanzia!
Pagavo. Infilavo la scatola, probabilmente dipinta a mano da qualche artista londinese, nel sacchetto e via.
Subito un bel sms ad Archie (volevo fare una foto al sacchetto ed inviarla):

“Sono stato da “Vescovi” in via Belfiore! Che negozio! Trovate, numero perfetto! Comodissime!”

Preso dal raptus entravo in una caffetteria ed ordinavo un bel caffè.

Con il mio sacchetto in bella mostra immaginavo io ed Archie, dopo l’orario di chiusura come i veri potenti, scegliere paia di scarpe gemelle contendendoci i pezzi piu’ pregiati della collezione e sollazzandoci ad un ricco buffet preparato per noi. Dopo il caffe, sempre con il mio bravo sacchettino, andavo alla Feltrinelli per comprare un paio di bei libri. Che giornata!

Come tutte le belle sensazioni, spesso dettate dalla mia dilatata percezione della realtà, è subito sfumata...sms di Archie:

“ Quale "Vescovi"? Il negozio si chiama Belfiore....”

Mi sono augurato che il negoziante non inserisse i dati in un computer...

Sulla via del lavoro, in linea d’aria circa 500 metri dal negozio, sempre per la mia percezione della realtà che unisce brandelli di città tramite territori immaginari abitati da draghi ed elfi e che mette in comunicazione zone in realtà distanti chilometri (Milano nella mia mente è come l’Alaska) mi sono perso.

Sono arrivato al lavoro in ritardo...

Gughi
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