martedì, gennaio 30, 2007

Ambrogio

Venerdì, in occasione della spesa settimanale, mi sono recato nel mio solito supermercato di fiducia. Con il carrello carico di spesa, battendo in velocità anziani che si trascinavo nelle corsie subendo il loro supplizio di Tantalo quotidiano (“Sarai condannato ad andare a fare la spesa ogni giorno!”), e con un occhio al Corriere appena acquistato cercavo la fila meno lunga.

Dalla visione panoramica che il settore “Elettronica e video” mi concedeva subito balzava all’occhio la cassa numero 11.

L’unica concessione alla mia corsa verso la cassa era una bottiglia da un litro di “Menabrea Speciale” una confezione prestigiosa in occasione del bimillenario della mia birra preferita.

Arrivato alla cassa, la pagina sportiva aperta sulle confezioni dell’acqua adagiate sul seggiolino del carrello, gettavo uno sguardo alla cassiera.

Con orrore, vero, scoprivo che si trattava di Ambrogio. La snella coda che si dipartiva dalla sua cassa non aveva il dolce sapore dell’efficienza e della rapidità che inebria il consumatore ma l’acre odore che impregnava l’aria Dresda dopo il passaggio della terza ondata di bombardieri inglesi: la morte dello Spirito.

Il nostro eroe, che ho già studiato in passato, ha uno stile lavorativo tutto suo.

Gli occhi fissi verso la schiena della suo collega, il gomito sinistro appoggiato sul bordo del bancone, tanto rigido da far temere un’invalidità che tutto perdonerebbe, e la mano destra che, con la velocità e frequenza con cui si apre e chiude il ponte di Londra, sposta la merce dal nastro mobile al lettore ottico.

Questo stato catatonico, che impedisce di rispondere anche con un semplice cenno del capo al saluto del cliente, si protrae per minuti, interrotto solo dal passaggio di riviste e giornali.

In questo caso Ambrogio getta uno sguardo ai titoli e per alcuni istanti, tanto fuggevoli da sembrare un illusione del cliente, sembra vivo.

Dopo diversi minuti e due clienti arrivava dunque il mio turno. Ambrogio, con lo stesso piglio, passando la mia spesa ma, nel cuore del conteggio, incappa in quella che il mio capo, amante dell’efficientamento, definirebbe una criticità: la mia Menabrea (ormai pronta per i festeggiamenti del trimillenario) era infatti priva del codice a barre. Un addetto propositivo (altro mito del mio capo) cosa avrebbe fatto? Avrebbe immediatamente chiamato il collega con il tesserino per inserire a mano i prezzi e poi, infervorato dal fuoco divino, avrebbe chiamato il direttore non solo segnalando l’anomalia ma, e qui Archie fa scattare il premio in denaro per i suoi apostoli, proponendo una soluzione.

Ma Ambrogio, che ha troppi pensieri per farsi carico di queste criticità, ha adottato la soluzione più semplice: ha accantonato la bottiglia in attesa di tempi migliori (troppo semplice continuare a battere la spesa mentre attendevamo l’arrivo del collega).

A carrello svuotato, con il sospetto ancora vivo che non abbia battuto l’acqua, il nostro fissava la bottiglia di Menabrea con l’intensità di una lampadina bruciata.

Fedele al motto “obbedivo agli ordini” Ambrogio ha preso il telefono ed ha cominciato, come una velocità insospettabile, a battere numeri a casaccio sulla tastiera. A questo punto ho buttato li: “Cosa dice…vado a vedere il prezzo della birra e poi la battiamo?”.

Lui, piuttosto piccato per questa iniziativa imprevista, ha ribattuto : “NO! NO! Non basta. Io devo segnalarlo!”

A questo punto la coda alle casse, compresa la sua, era diventata imponente. Il nostro continuava a battere numeri sulla tastiera del telefono e , ogni tanto, si fermava, lo sguardo fisso nel vuoto carezzando la Menabrea morbosamente.

A poco piu’ 5 di metri, stipata di commessi indaffarati, stava l’assistenza clienti. Con un cenno Ambrogio avrebbe potuto richiamare l’attenzione di qualcuno ma lui, imperterrito, ci dava dentro di telefono.

Uno normale avrebbe desistito: “ Guardi si tenga quella cazzo di birra e mi dissequestri!”.

Non io. Volevo la mia Menabrea e volevo vedere il “punto di rottura” che ognuno, come ricorda la Du Maurier, ha.

Il tempo passava. Ambrogio cominciava a dare segni di cedimento. La mano iniziava a tremare. Le labbra ad incresparsi in un sorriso di schifo per la situazione in cui era finito. Era uscito dall0oblio per finire sotto l’occhi di bue della notorietà. La fila cominciava da incazzarsi ed io, che non davo cenno di insofferenza o cedevolezza, minacciavo di andar via con quella cazzo di birra nel bagagliaio della mia Ibiza.

“Un prezzo alla 11! Un prezzo alla 11” urlava con voce strozzata nell’altoparlante del Super. Niente.

“La colpa”diceva isterico Ambrogio “è di chi organizza il lavoro! Non ha messo qualcuno ai prezzi! Io non so cosa fare!”. E qui la natura di Ambrogio si è palesata. Non solo fa il minimo per non essere licenziato ma ce l’ha pure con chi gli da lavorare. E questo suo comportamento, che lui crede si ispiri al Comandante Che, in realtà ha come unico risultato quello di scaricare il suo lavoro sui colleghi e di danneggiare l’immagine dell’Azienda che gli da il pane e di quelli che con lui condividono la fatica quotidiana per il pane.

Di Ambrogi è pieno il mondo e tutti, chi più chi meno, ne incontra e ne subisce a iosa.

Il cliente dopo di me, che aveva riempito il nastro con la sua spesa e che quindi non poteva andar via, sembrava una guardia giurata. Temendolo armato ho lasciato perdere: “Guardi, lasci perdere. Non importa. Prenderò la confezione per il quadrimillenario…”

Ambrogio è ripiombato nello stato catatonico. La mia Menabrea è stata accantonata di fianco alla cassa, dove sarà rimasta sino a fine turno, e il problema non è stato ne risolto ne segnalato.


Il Maresciallo
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