giovedì, gennaio 19, 2006

U-boot

Ieri sera ho quasi finito di vedere il film “U-506”. E’ un film molto bello poichè, con realismo, descrive la difficile vita di quei marinai tedesche che, durante la seconda guerra mondiale, battevano l’atlantico in cerca di navi britanniche e americane. Se combattere a bordo di un sommergibile garantiva una cuccetta in cui dormire e la quasi certezza di pasti caldi esponeva però l’equipaggio alle privazioni della navigazione, al rischio di essere affondati dai caccia torpedinieri britannici ed alle difficoltà di una vita che, in mare per diverse settimane, si svolgeva in pochi metri quadrati.

Emblematica la figura del comandante che, in quegli spazi angusti, non solo non gode di alcun privilegio ma è costretto persino a mascherare ogni sua espressione e timore poichè gli occhi di ogni membro dell’equipaggio sono, nei momenti difficili, su di lui. Egli è solo e non può confidare a nessuno, prezzo il caos, i suoi timori e le sue incertezze. Per di più il capitano non è un nazista ma solo un soldato dilaniato tra la fedeltà alla Patria ed alla Marina e la consapevolezza che Hitler sta portando la Germania ed il suo equipaggio alla rovina.

Quanti uomini così giacciono sui fondali dell’Atlantico, tra le sabbie del Nord Africa, sulle spiagge normanne, sul fondo della Manica, nelle pianure russe ed ucraine?

All’inizio del film il regiostya ci fa sapere che la Germania mandò, a bordo dei temibili u-boot, 40.000 uomini. Di questi, 30.000 non fecero mai ritorno a casa ed alle famiglie non rimase nemmeno la consolazione di un luogo in cui piangerli.

Guglielmo
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