lunedì, novembre 14, 2005

Persico, Grosso e Milanesi

Il sottotenente Milanesi non era d’accademia. Avrei dovuto capirlo dal fregio pulito sul berretto, dal taglio semplice della divisa e dalla poca sicurezza, che in alcuni suoi colleghi sconfinava in arroganza, con cui rispondeva al saluto. Era , come noi, di leva e temeva che, se l’avessimo scoperto, avremmo perso il rispetto dovuto al suo grado. Quello che ancora non aveva compreso, era che il rispetto al grado non si può negare.

Teneva le lezioni con entusiasmo cercando di trasmettere ad ogni allievo l’amore per l’Arma e la passione per il servizio. La sua umanità non gli impediva di comminare punizioni ma quando lo faceva, non sorrideva soddisfatto ma con aria corrucciata ne spiegava le motivazioni. Io stesso ne presi una a causa degli anfibi sporchi e, mentre mi diceva che sarei partito per casa con 6 ore di ritardo rispetto agli altri (su 36 ore di permesso, viaggio compreso, era una bella punizione...), dovetti fargli capire che comprendevo la sua impossibilità a condonarmela.

Il suo entusiasmo si infranse però contro un ostacolo: Francesco Persico.

Persico era il nipote di un Generale dell’Esercito e riteneva che questo fosse piu’ che sufficiente per garantirgli il superamento del Corso. In effetti, malgrado le minacce lanciate dal Comandante della Compagnia, il tenente Grosso, lui si d’Accademia, l’unico cacciato da un Corso per Ausiliari negli ultimi anni risaliva ad un paio di corsi precedenti al mio.

Alla fine del corso veniva fatta una classifica e girava voce che i meglio classificati(tenendo conto di voti, comportamento, uso delle armi e attitudine fisica) avrebbero avuto qualche chance in piu’ di essere avvicinati a casa. Era facile esser cacciati per problemi di comportamento, uso di droghe o perchè non si reggeva alla pressione del corso ma per il rendimento scolastico era molto difficile.

La sorte per gli esclusi era piuttosto dura. Si finiva ad Albenga ad un Car (Centro addestramento reclute) della fanteria additato da tutti come “quello cacciato dai Carabinieri”.

Ma Persico, con l’arroganza degli stupidi, sapeva bene ciò che faceva. Ed infatti non rispondeva mai in malo modo ai superiori ma si limitava a fare scena muta lanciando sguardi miti ed indifesi a chiunque osasse rimproverarlo e sguardi untuosi ai superiori in genere.

Ma quando era con noi, e non c’erano superiori in vista, si mostrava per quello che era:
“Mio zio è un Generale” ringhiava “non oseranno mandarmi via. Li faccio prendere a calci nel culo...“

I giorni trascorsero rapidi e le insufficienze di Persico crebbero con lo stesso ritmo.

Il limite fissato prima di essere mandati via era 4.

Persico era giunto a tre ed una mattina il Tenente Milanesi lo chiamò fuori. L’interrogazione durò circa un quarto d’ora e malgrado il tenente si sforzasse di fare domande semplici Persico non era in gradi di rispondere a nessuna di queste. Finita l’interrogazione il tenente compilò un foglio che certificava l’ennesima insufficienza lo mise nelle mani di Persico dicendo:

“Persico vada a rapporto dal Tenente Grosso e gli dica che deve essere trasferito ad altra arma...”
La sua aria non era di soddisfazione ma serena. Persico, invece, uscì dall’aula con la solita aria mite e gli occhi di chi aveva subito una palese ingiustizia. Milanesi, tra lo stupore generale, riprese la lezione come se nulla fosse.


Passò circa un quarto d’ora e Persico bussò alla porta. Entrò e si mise sull’attenti.
“Comandi, il tenente Grosso mi ha detto di dirle di andare da lui...”
Il tenente Milanesi affidò l’aula al capoplotone e si congedò da noi.

Appena chiuse la porta tutti si precipitarono da Persico che subito riacquistò la sua aria arrogante:
“Adesso Grosso gli fa il culo...cosi impara a rompermi i coglioni!”

Dopo pochi minuti Milanesi tornò in aula. Era terreo. Non degnò di uno sguardo Persico e riprese la lezione. Era chiaro che Persico l’aveva avuta vinta...


Guglielmo
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