giovedì, novembre 24, 2005

Il giorno della civetta

Mi è capitato di recente di assistere ad un dibattito pubblico e di sentire affermazioni azzardate, quanto meno, sul capolavoro di Sciascia. C’è infatti chi sostiene che sia un romanzo facile, in qualche modo, e il suo protagonista – il Capitano Bellodi – sia un investigatore stereotipato, senza alcuna profondità, senza caratterizzazione. Ma c’è di peggio: qualcuno sostiene anche che il finale sia consolatorio.
Sento da sempre citare il romanzo nelle sue parti più note: la figura di Don Mariano Arena, la classificazione dell’umanità, la tecnica per aggredire la mafia secondo il Capitano Bellodi e così via.
Non che io voglia parlare de “Il giorno della Civetta” per far polemica nuova o per aprirne di vecchie: vorrei solo parlare della passione per un romanzo.
Infatti, è l’episodio finale, l’oggetto di questo breve contributo: per me, una delle immagini più vivide della letteratura.
Il Capitano Bellodi, giunge a Parma, sua città natale, per una “licenza” di un mese, in una “indolente sera di Parma, toccata da una struggente luce che era già di lontananza, memoria, indicibile tenerezza.”
Il protagonista si ritrova quindi a camminare per la città e mentre scende la neve, d’inverno, incontra un amico, decidono di andare ad una festa dove ci sono anche delle ragazze.
In questo finale Sciascia costruisce un parallelo, tra i ricordi di Bellodi – che ripensa alla sua esperienza appena trascorsa – e la “indolente sera di Parma”. Il capitano, incalzato dalle domande sulla Sicilia, non sa che rispondere dicendo “la Sicilia… è incredibile”, così come più avanti dirà che “la mafia.. è molto complicata da spiegare…è incredibile, ecco”. Insomma tutto appare lontano e il Capitano Bellodi sprofonda nella festa, nella vita normale, nelle chiacchiere e tutto ciò che ha passato diventa ricordo, si scolora: “Al diavolo la Sicilia, al diavolo tutto”, pensa il Capitano, ad un tratto.
Del resto, il lettore, a quel punto del romanzo – mancano 10 righe alla fine – sa tutto, ha visto l’indagine svilupparsi in tutta la sua durezza, ha visto i mafiosi architettare trappole e ha visto il Capitano fallire dopo esser stato ad un passo dal successo. Il lettore, nello sviluppo della storia, ha conosciuto tutta l’impossibilità di una vita normale in Sicilia, ha letto dei delitti efferati, e degli inauditi soprusi, e - insomma – ed uno come me, all’apparire di Parma, alla fine di tutto, pensa “ma sì, qui da noi è diverso, qui da noi ci si può rifugiare nel lavoro, nella famiglia, negli amici e non avrai mai a che fare con quelli” e si specchia nel Capitano che, lentamente, torna alla normalità e non possono che mancargli le parole per definire la Sicilia – nel senso che non la capisce più.
Ma non è finito il libro.
Ci sono poche righe che fissano nella memoria del lettore cosa sia la passione civile, il senso di missione e, forse, l’eroismo.
“Rincasò verso mezzanotte, attraversando la città a piedi. Parma era incantata di neve, silenziosa, deserta. pensò: che forse il carattere delle civiltà era dato dalla neve o dal sole, secondo che neve o sole prevalessero. Si sentiva un po’ confuso. Ma prima di arrivare a casa sapeva, lucidamente, di amare la Sicilia: e che ci sarebbe tornato.
- Mi ci romperò la testa – disse a voce alta”.
Ecco: “mi ci romperò la testa”, e non sta parlano di un rebus. No: ci sono persone che hanno deciso proprio così, di rompersi la testa, spendendo la propria vita al servizio dello Stato, o di un’idea e hanno incontrato davvero i Don Mariano Arena.
La grandezza di Sciascia, mi vien da pensare, in un romanzo come questo è che è riuscito a far capire cosa sia la Sicilia a chi, come me, è nella stessa posizione dell’amico del Capitano Bellodi e chiede “com’è la Sicilia?”
E la risposta è indicibile, quasi a dire, “non ti posso spiegare cosa sia, ma io mi ci romperò la testa, per amore della Sicilia”.
Le parole vengono a mancare a Bellodi, non è neanche in grado di articolare un discorso, si limita a dire che è incredibile. Eppure sa che non ne potrà fare a meno, non potrà fuggire dal destino che si è dato.
Non riesco a capacitarmi di come alcuni possano pensare che Bellodi sia una figura monodimensionale o, peggio, che il romanzo sia rassicurante. Perfino il titolo è un capolavoro.

E chi non vorrà combattere oggi con una simile speranza, se ne torni a casa propria e vada a letto: e se ardirà mostrarsi alla luce del giorno, sia fatto oggetto di scherno o meraviglia, come avviene alla civetta quando fuori d’ora si mostra
W. Shakespeare – Enrico VI, Parte terza, atto quinto, quarta scena.

1 Comments:

Blogger Guglielmo il Maresciallo ha sostenuto

Sono d'accordo con te. Non è consolatorio. Anzi. La mafia è spietata e spffoca la vita. E' nella distanza tra Parma e la Sicilia che si coglie la frattura dell'animo del Capitano combattuto tra il dovere e la voglia di fuggire e disinteressarsi.

Sciascia è grandioso. Ogni frase cela meccanismi segreti.

5:24 PM  

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